Principi di Diritto Civile


Principi di Diritto Civile


Gli scritti che seguono sono estrapolati dal libro dell. avv. Luigi Maria Sanguineti “Diritto civile Ragionato”. Questo libro è consultabile gratuitamente visitando il sito www.praticadiritto.it e cliccando sul bottone “Se vuoi scaricare o acquistare”.
Sommario : 1- La gestione d’affari altrui; 2 – Arricchimento senza giusta causa.
Trovi altri paragrafi del libro “Diritto civile Ragionato” nella rubrica “Archivio” ( per localizzare tale rubrica vai alla prima facciata della rivista e guarda in alto).


I. La gestione di affari altrui

Abbiamo visto nella precedente lezione che il Legislatore attribuisce al proprietario di un bene il potere esclusivo di disporne: solo tu, Tizio, proprietario della casa A con annesso terreno circostante, puoi decidere, se coltivare questo, se riparare il tetto di quella, se pitturarne le facciate in rosso o in giallo.

E qui possiamo aggiungere che, nel secondo comma di un altro importante articolo del codice, l’articolo 1372, il legislatore stabilisce che “il contratto non produce effetto rispetto ai terzi (….)”.

Cosicché si può affermare l’esistenza nel nostro Ordinamento di un principio che vieta l’ingerenza negli affari altrui. E la ragion d’essere di tale principio noi già la abbiamo, sia pure marginalmente, detta: evitare una paralisi nella gestione dei beni costituenti la ricchezza nazionale – paralisi che, nata dai possibili conflitti nella gestione, di coloro che vi fossero contemporaneamente ammessi, finirebbe per diminuire, di tali beni, l’ottimale sfruttamento e godimento.

Però ci sono dei casi in cui l’ingerenza di un terzo nella gestione di un affare altrui, giova, anziché nuocere, all’economia nazionale: esempio classico: la casa di Tizio brucia, e Tizio si trova nell’interno dell’Africa a cacciare tigri ed elefanti: vogliamo dire a Caio, che generosamente sarebbe disposto a combattere contro il fuoco, “Stop, non puoi il violare il sacro principio che solo il proprietario può gestire le sue cose; e se lo violi, guai a te, rischi di incorrere addirittura nei rigori della legge penale (ad esempio, rischi di incorrere nei rigori dell’articolo 635 Cod. Pen. sul danneggiamento, se sfondi una porta per impossessarti di un attrezzo o se calpesti le aiuole dei fiori) e naturalmente, se provochi danni, li devi risarcire”?

Discente: No, di certo: si cercherà invece di incoraggiare Caio a intervenire.

Prima di tutto assicurandolo che non incorrerà in nessuna responsabilità penale e civile anche qualora non esistessero gli estremi dello stato di necessità (art. 54 Cod.Pen)1: “Tranquillo, Caio, vai pure a spegnere l’incendio, perché così facendo eserciti un “diritto” che la legge ti dà, ciò che ti esenta, per l’articolo 51 C.P.2, dalle sanzioni penali previste dal reato di danneggiamento e, per la mancanza del requisito della “ingiustizia” del danno, dall’obbligo di risarcimento previsto dall’Art. 2043”.3

In secondo luogo, riconoscendogli un rimborso e un risarcimento per le spese e i danni da lui nell’occasione subiti.

Docente: Bravissimo, ma meno bravo del legislatore il quale si fa carico non solo di escludere una responsabilità penale o civile del “gestore” (tale la veste giuridica che verrebbe a rivestire il Caio del tuo esempio) in base agli articoli da te con tanta encomiabile precisione citati, non solo si fa carico (nell’articolo 2031, che subito andremo a leggere) di tenere indenne il gestore dalle spese, ma, pensando al caso che il “gestore” abbia stipulato dei contratti per ben gestire l’affare dello “interessato” o “gerito” come si preferisca chiamarlo, insomma di Tizio, fa obbligo a questi di adempiere le obbligazioni che Caio con il contratto ha assunte.

Discente: Ma perché mai il gestore dovrebbe trovarsi nella necessità di stipulare dei contratti?

Docente: Ma perché i casi in cui é necessaria l’ingerenza di Caio (nell’interesse di Tizio) possono essere i più vari e alcuni di essi possono ben richiedere la stipula di un contratto da parte del gestore. Pensa al caso in cui, nell’assenza di Tizio, occorra stipulare un contratto di appalto per riparare un tetto o un muro che minacciano di crollare, pensa al caso in cui Caio trova Tizio, esamine in mezzo alla strada (caso di c.d. “soccorso spontaneo”), per cui occorra noleggiare un’auto per trasportarlo all’ospedale, pensa al caso in cui Caio trova la figlioletta di Tizio piangente sotto la pioggia e in cerca di un riparo, per cui occorra farla ospitare in un albergo, pensa al caso in cui Caio per evitare un incidente con l’auto di Tizio sia costretto a una manovra di emergenza, che porta allo sfascio della sua auto, così che Caio deve stipulare un contratto con un carrozziere a che la rimetta a posto.

Discente: Ho capito, ma per chiarirmi meglio le idee vorrei leggermi la disposizione di legge, che tali obblighi, al gerito, impone: qual’è?

Docente: E’ il primo comma dell’articolo 2031, che recita:

“(Obblighi dell’interessato) – Qualora la gestione sia stata utilmente iniziata, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui, deve tenere indenne il gestore di quelle assunte dal medesimo in nome proprio e rimborsargli tutte le spese necessarie o utili (….)”.

Discente: Però mi pare di capire, in base all’incipit dell’articolo da te riportato, che, se il Caio del nostro esempio non riuscisse a spegnare l’incendio, non verrebbe rimborsato di nessuna spesa.

Docente: No, hai capito male. A che il gestore abbia diritto al rimborso delle spese ecc. basta l’utiliter coeptum,cioé che al momento in cui gli atti gestori furono compiuti essi apparissero utili: Caio ha cercato di spegnere l’incendio, ma non c’é riuscito: poco importa, ha diritto al rimborso delle spese, se c’erano buone probabilità che l’opera di spegnimento desse buon risultato.

Discente: Dunque Caio che, visto il tetto di Tizio che fa piovere in casa, incarica una ditta di ripararlo, ha diritto di essere rimborsato di quanto, a tale ditta, pagato. Ma se Caio, non ha dato l’appalto, ma, volendo fare economia, ha provveduto di persona alle riparazioni? Non avrà diritto oltre al rimborso delle spese (per calce e piastrelle ecc.), anche a vedersi pagate le ore spese per fare le riparazioni?

Docente: La logica vorrebbe una risposta positiva alla tua domanda, ma secondo alcuni Studiosi ne impone invece una negativa la necessità di evitare il pericolo delle così dette “spese imposte”: Tizio fa il muratore e si trova disoccupato, se vede la facciata della casa di Tizio che avrebbe bisogno di una bella imbiancatura, sarebbe probabilmente tentato di mettersi, lui, a darle il bianco, qualora sapesse che la sua fatica troverebbe una renumerazione, ma ci penserebbe due volte, qualora non avesse a sperare altro che il rimborso delle spese.

Discente: Certo, tenere conto dell’esigenza di evitare le “spese imposte” é cosa fondamentale nella disciplina della “gestione di affari altrui”: ogni persona deve essere libera nella scelta delle spese da fare e tu ne hai ben spiegato il perché nella precedente lezione. E certo tale esigenza trova una sua tutela nel limite posto alla liceità della gestione dal requisito dell’utiliter coeptum e, come or ora tu mi hai spiegato, dall’esclusione di un compenso al gestore. Però una tutela insufficiente; che non impedirebbe, per esempio, a Caio, a cui dispiace vedere maltenuta la facciata della casa del vicino Tizio (anche per ragioni economiche: la vicinanza di una casa brutta svalorizza anche una casa bella) di dare l’appalto di rifare tale facciata a una ditta e poi….di presentare il conto a Tizio.

Docente: E’ così; ed effettivamente ulteriori limiti vanno apposti alla gestione di affari altrui, – limiti ricavabili, con una interpretazione sistematica, basata soprattutto sul primo comma dell’articolo 2028 e sul secondo comma dell’articolo 2031 del Codice Civile, ma anche sull’articolo 54 Cod. Pen., 48 Cod.Civ., 54 Cod.Civ.

E io ritengo che, a conclusione di tale lavorio interpretativo, si possa dire che presupposti di una valida gestione d’affari altrui sono i seguenti:

I – Primo presupposto: il difetto di un divieto, esplicito o implicito, dello “interessato”. Tale presupposto si argomenta dal secondo comma dell’articolo 2031, che recita: “Questa disposizione (idest, la disposizione contenuta nel primo comma dell’articolo, che dà diritto al gestore di ottenere un rimborso spese ecc.) non si applica agli atti di gestione eseguiti contro il divieto dell’interessato, eccetto che tale divieto sia contrario alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume”. E’ vero che la disposizione or ora riportata si limita, presa alla lettera, solamente ad escludere il diritto al rimborso delle spese, ma essa va chiaramente interpretata in senso estensivo, nel senso cioé che escluda tout court il “diritto” di gestire un affare altrui contro il divieto dell’interessato (con la conseguenza che Caio, il quale, contro il divieto del dominus Sempronio di potare gli alberi del suo giardino, in questo entra lo stesso, non solo non avrà diritto a un rimborso delle spese incontrate nella potatura, ma sarà responsabile dei reati e degli illeciti civili che, per eseguire la potatura, fosse venuto a commettere (si pensi al reato di violazione di domicilio – art, 614 C.P – per essere entrato nelle “appartenenze” di un luogo di privata dimora, così com’è considerato un giardino).

II- Secondo presupposto: la c.d. absentia domini, intesa però in senso lato, come impossibilità dell’interessato a gestire l’affare (metti perché malato o all’estero). Questo presupposto si argomenta dal primo comma dell’articolo 2028, che recita: “Chi, senza esservi obbligato, assume scientemente la gestione di un affare altrui, é tenuto a continuarla e a condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.

III -Terzo presupposto: la “attualità” della gestione, nel senso che questa, se procrastinata, potrebbe non risultare più utile. In altre parole, fino a che si può sperare che la cessazione della absentia dell’interessato avvenga in tempo per permettergli di decidere, lui direttamente, sull’opportunità di gestire l’affare, la gestione del terzo é inammissibile. Questo presupposto si argomenta (sia pure facendo un po’ di violenza alla logica) dal primo comma dell’articolo 51, che recita: “Non é punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta (…)”.

IV- Quarto presupposto: la gestione deve apparire utile. Questo presupposto, come abbiamo già avuto occasione di vedere, risulta dall’incipit del primo comma art. 2031.

V – Quinto presupposto: la gestione deve mirare solo alla conservazione del patrimonio (o, naturalmente, della vita dell’interessato o di un suo parente verso cui questi ha un obbligo di assistenza: sua moglie, suo figlio). Caio non ha diritto a provvedere nella absentia di Tizio a costruire nel giardino di questi una piscina (ancorché l’esistenza di una piscina possa valorizzare il giardino e quindi possa considerarsi come utile), ma ha, questo sì, diritto a riparare il tetto (della villa di Tizio) che rischia di andare in rovina. Questo presupposto si ricava dalla parte finale dell’articolo 48 C.C., che, in caso di “scomparsa” di una persona (e, bada, il caso della scomparsa di una persona é, rispetto ai casi previsti dall’art. 2028, un caso più grave e che di per sé autorizzerebbe una più forte ingerenza nei suoi affari), dà, sì, all’autorità giudiziaria il potere di adottare provvedimenti nell’interesse dello scomparso, ma solo se “necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso”.

Va da sé che, essendo vietate le gestioni non miranti alla conservazione del patrimonio dello “scomparso”, sono con ciò stesso vietati gli atti di alienazione dei suoi beni (atti che vengono autorizzati, ma con particolari cautele, solo nel caso di uno “scomparso” di cui sia dichiarata la “assenza” – vedi meglio l’art. 49 e l’art. 54).

VI- Sesto presupposto: la scientia aliena negotia gerendi, la consapevolezza cioé di stare gerendo un affare altrui e nell’interesse altrui (se Caio si mette a riparare il tetto della casa sapendo che questa é la casa, non sua, ma di Tizio, però fa questo solo perché, preso possesso (abusivo) della casa, vuole dormirci senza che vi piova dentro, non si rientra nell’ipotesi che sto facendo). Questo presupposto (della scientia aliena negotia gerendi) si ricava dall’incipit dell’articolo 2028, e dà la giustificazione di due, diciamo così, vantaggi che il legislatore concede al “gestore”: il vantaggio di essere rimborsato delle spese (vedi meglio, il primo comma art.2031) anche nel caso che la gestione iniziata utilmente, alla fine non si riveli utile e il vantaggio di vedere “moderato il risarcimento dei danni” (vedi il secondo comma dell’art. 2030) conseguenti a un difetto di quella diligenza che, come detto prima, il dominus negotii avrebbe avuto diritto di pretendere da un suo mandatario.

Discente: Quindi non é vero che il gestore, come prima tu hai detto, è esentato dal risarcimento dei danni, da lui provocati durante la sua gestione.

Docente: Effettivamente avrei dovuto chiarire. Bisogna distinguere: il gestore é esente dal risarcimento di quei danni che qualsiasi mandatario, ancorché diligente,avrebbe causato nel contesto della gestione dell’affare (Caio per arrivare prima dove si é sviluppato l’incendio, calpesta un’aiuola di fiori). Mentre é tenuto al risarcimento dei danni, che un diligente mandatario non avrebbe causato (Caio nel potare un ramo che minaccia di cadere, calpesta per distrazione i fiori). In questo secondo caso, però, il giudice può “moderare” l’ammontare del risarcimento da lui dovuto.

Discente: Dalla citazione del primo comma dell’articolo 2028, che tu prima hai fatta, sembrerebbe doversi dedurre che dalla gestione di affari altrui derivano, non solo diritti, ma anche obblighi.

Docente: E’ così. Dalla “gestione” deriva, non solo, come abbiamo or ora visto, un obbligo di eseguirla con la stessa diligenza che si richiede a un mandatario, ma anche l’obbligo “di condurla a termine finché l’interessato non sia in grado di provvedervi da se stesso”.

Discente: Ma perché vincolare, chi ha iniziato a compiere una buona azione… a continuarla (chi mai penserebbe di obbligare Tizio, che ha dato l’elemosina di dieci, a continuare a dare…l’elemosina di dieci?).

Docente: Ma perché certe volte una buona azione, se non continuata, rischia di trasformarsi in una….cattiva azione. Io vedo Sempronio sanguinante sull’asfalto e mi fermo per dargli assistenza: Caio, un altro utente, della strada che, se avesse visto Sempronio bisognoso di assistenza si sarebbe fermato, vedendolo assistito tira dritto. Di conseguenza se a un certo punto io, guardo l’orologio, vedo che faccio tardi a un appuntamento e ….. pianto in asso il povero Sempronio, si può ben dire che io, assumendo in un primo momento l’assistenza di questo, ho fatto, non il suo vantaggio, ma il suo danno. Un danno che dovrò risarcire. Vi é inoltre da considerare che Caio, che subentrasse a Tizio che ha iniziata la gestione, per bene svolgere questa dovrebbe sapere cose che solo Tizio sa (ad esempio, l’esatto contenuto del contratto di appalto da lui stipulato). Anche questo non é un buon motivo per escludere….la staffetta nel corso della gestione? per far quindi obbligo, a chi l’ha iniziata, di continuarla?

Discente: Torniamo un poco indietro. Tu prima hai detto che, presupposto di una lecita gestione, é il difetto di una prohibitio domini; ma, dall’ultima parte del secondo comma art.2031, risulta che, all’esistenza di tale presupposto, é prevista un’eccezione.

Docente: Sì, e l’eccezione prevista è data dai casi in cui la prohibitio é contraria “alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume” (comma 2 art. 2031).

Si rientra in tale eccezione, ad esempio, nel caso che il proprietario di un muro, che minaccia di crollare sulla pubblica via, fa divieto di ripararlo (col rischio che il muro crolli e uccida dei passanti); sempre in tale eccezione si rientra, nel caso che un padre snaturato, non solo lasci il figlioletto privo del necessario per vivere, ma faccia anche divieto a terzi di alimentarlo e soccorrerlo.

La ragione dell’eccezione de qua é intuitiva: il legislatore lascia decidere al dominus negotii l’opportunità di compiere, o no, un atto di gestione, perché parte del presupposto che, la decisione di chi é il più interessato alla migliore gestione di un affare, sia anche quella che più corrisponde all’interesse pubblico. Ma tale presupposto si dimostra fallace in tutti i casi, in cui il dominus negotii non vuole compiere un atto, che lui, il legislatore, ha ritenuto conforme all’interesse pubblico (tanto da fare obbligo di compierlo). Ecco perché in un tale caso il legislatore fa una deroga al principio dell’illiceità degli atti gestori compiuti contro la volontà del dominus.

Discente: Un altro passo indietro. Abbiamo visto quali sono i presupposti per la liceità della gestione; e quindi per avere il diritto: a un rimborso delle spese che questa comporta, a una esclusione del risarcimento dei danni causati senza colpa (ancorché tali danni non si sarebbero verificati, se la gestione non fosse avvenuta), a una riduzione del risarcimento nel caso di danni causati con colpa. E tra tali presupposti tu hai indicato la scientia aliena negotii gerendi. Ma allora, Caio che ha riparato il tetto della casa di Tizio, credendo che fosse la propria casa (metti, perché egli credeva che la vecchia zia fosse morta senza fare testamento, lasciandolo così erede legittimo, mentre invece lo aveva fatto, diseredandolo a favore di Tizio) o Sempronio che, sì, in mala fede ha preso possesso della casa, però compiendovi delle riparazioni e addirittura dei miglioramenti, non possono pretendere nessun rimorso delle spese fatte?

Docente: Sì, anche nei casi da te citati – casi che rientrano nella c.d “gestione impropria” o “anomala” – il gestore (anomalo) potrebbe aver diritto a un indennizzo, ma in base a presupposti diversi da quelli prima da noi considerati. Vedremo ciò trattando dell’istituto dello “arricchimento senza giusta causa”. Però va sottolineato già da adesso, che il gestore anomalo non avrà diritto a un rimborso delle spese fatte per la gestione, se questa, non si é conclusa utilmente (quindi non sarà per lui sufficiente dimostrare lo utiliter coeptum per vantare un diritto a tale rimborso)e non avrà comunque diritto a quella “moderazione” dell’ammontare del risarcimento prevista dal secondo comma art.2030.

Discente: Quale la ragione di tale diversità di disciplina?

Docente: Evidentemente il legislatore, disciplinando l’istituto della negotiorum gestio ha avuto in mente il caso di colui che, in grado di intervenire per gestire l’affare altrui, non ha nessun interesse (egoistico) a tale intervento (come invece sarebbe il caso del vicino, che interviene a spegnere l’incendio sviluppatosi nel fondo del vicino, per impedire che il fuoco si propaghi anche al suo fondo), ma a tale intervento può essere sollecitato solo da un sentimento di altruismo; e, quindi, cerca di creare un incentivo alla “buona azione” eliminando quei timori (timore di non essere rimborsato delle spese in caso di gestione fallita, timore di dover risarcire i danni) che potrebbero costituire, al compimento di tale buona azione, altrettante remore. Giustamente, però il legislatore non ha ritenuto di creare degli incentivi alla gestione, per chi ad essa sarebbe comunque mosso da motivi egoistici.

Discente: Ma quello che tu chiami “gestore anomalo” dovrà risarcire i danni compiuti durante la gestione?

Docente: Se ritiene di gestire un affare proprio (é il caso di Tizio che si crede erede ab intestato, mentre in realtà erede é stato nominato Sempronio), no: ognuno delle sue cose é padrone di fare quel che vuole, anche di distruggerle a martellate. Potrebbe però discutersi se egli sia tenuto a un obbligo di risarcimento nei casi in cui riteneva, sì, di gestire un affare proprio, ma per ignoranza colpevole. Mutatis mutandis merita la stessa risposta il caso del gestore anomalo che, dopo aver iniziata una gestione, non la porta a termine, causando così dei danni.

Discente: Da quanto hai detto consegue che, chi causa dei danni gestendo un affare altrui sapendo che é altrui (ma agendo nel proprio interesse esclusivo) é tenuto al loro risarcimento. Ma é tenuto a tale risarcimento, anche chi gestisce un affare altrui, sapendo che é altrui, ma anche nel proprio interesse (sto pensando la caso del vicino che interviene per impedire che il fuoco si propaghi al suo fondo)? A me tale soluzione sembrerebbe ingiusta e penso che si debba evitarla applicando l’art. 2045 sullo stato di necessità.

Docente: D’accordo con te sull’iniquità di tale soluzione, ma non sull’applicabilità dell’articolo 2045 (mancando, per l’applicazione di tale articolo, l’estremo del “danno grave alla persona). Penso, però, che nella maggioranza dei casi si potrebbe giungere a escludere l’obbligo del risarcimento, applicando l’art. 2044 sulla “legittima difesa”; dato che l’esenzione da responsabilità deve ritenersi, a mio parere, non solo quando si causi un danno all’altrui cosa per difendere la propria o l’altrui persona, ma, come si argomenta facilmente dall’art. 52 C.P., anche quando si rechi un danno all’altrui cosa per impedire un danno alla propria o altrui cosa, e anche se tale danno deriva, non da un comportamento doloso del terzo danneggiato, ma anche da un suo comportamento dovuto a semplice colpa – colpa certamente ravvisabile, salvo la prova del fortuito di cui all’art.2051, in caso di omessa custodia di una res connessa a una abesntia domini.

1Art. 54 Cod. Pen.: “ Non é punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona (….).

2Art. 51 C.P.: L’esercizio di un diritto o l’adempimento id un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità, esclude la punibilità”

3Art. 2043 Cod Civ.: “ Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

II. Arricchimento senza giusta causa

Docente: Il caso di chi si é arricchito senza giusta causa é previsto e disciplinato, in via generale, dagli articoli 2041 e 2042; numerose norme poi contemplano e disciplinano casi particolari di arricchimento senza giusta causa.

L’articolo 2041 – sotto la rubrica “Azione generale di arricchimento” – recita:

Chi, senza una giusta causa, si é arricchito a danno di un’altra persona é tenuto, nei limiti dell’arricchimento, a indennizzare quest’ultima della correlativa diminuzione patrimoniale.

Qualora l’arricchimento abbia per oggetto una cosa determinata, colui che l’ha ricevuta é tenuto a restituirla in natura, se sussiste al tempo della domanda”.

A sua volta l’articolo 2042 così chiarisce: “L’azione di arricchimento non é proponibile quando il danneggiato può esercitare un’altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.

Discente: Veniamo al dunque, quali sono i presupposti a che Caio possa agire contro Tizio con l’azione di arricchimento generale?

Docente: Sono i cinque seguenti:

1) che il patrimonio di Tizio abbia avuto un incremento (al campo che Tizio ha in riva al fiume – faccio l’esempio con riferimento all’articolo 944 – si é aggiunto un appezzamento di terreno)1;

2) che Caio abbia subito un danno (il campo che Caio ha in riva al fiume ha perso quel appezzamento di terreno che si é andato ad aggiungere al fondo di Tizio),;

3) che tra l’incremento avuto dal patrimonio di Tizio e il danno subito da Caio (per la perdita dell’appezzamento di terreno di cui sub 2) vi sia una correlazione, nel senso che lo stesso fatto (nell’esempio, l’onda di piena del fiume) che ha determinato l’incremento ha anche determinato il decremento2;

4) che non sussista una giusta causa per l’incremento patrimoniale di Tizio (l’esempio che si porta é quello di Caio, che ha donato un anello prezioso a Caia: certamente, in seguito alla donazione, Caia ha avuto un incremento patrimoniale e Caio un decremento p., ma tale incremento e decremento hanno la loro giusta causa nel contratto di donazione)3.

Discente: Tanto basta a che Caio possa chiedere a Tizio di essere indennizzato del danno subito?

Docente: Sì, tanto basta. Ma Caio dovrà tenere presente che potrà chiedere un indennizzo a Tizio solo nei limiti dell’arricchimento da questi avuto: se il danno é di sei e Tizio ha avuto un arricchimento solo di cinque, Caio potrà chiedere solo cinque.

Ancora, Caio dovrà tenere presente che l’arricchimento riportato da Tizio dovrà essere valutato con riferimento al momento in cui verrà proposta la domanda di indennizzo: se l’incremento di valore del campo di Tizio in seguito all’aggiunta dell’appezzamento di terreno avulso doveva, al momento dell’avulsione, essere valutato in cinquemila, ma, per il peggiorare del mercato immobiliare, al momento in cui l’azione é proposta va valutato in tremila, Caio può chiedere solo tremila.

Infine, Caio dovrà tenere presente che a Tizio potrà chiedere un indennizzo solo nei limiti dell’arricchimento di questi esistente al momento della domanda: se il fiume, capriccioso, dopo aver incrementato il campo di Caio dell’appezzamento avulso al campo di Tizio, con una nuova ondata si riprende tale appezzamento per portarlo chissà dove, cosa per cui al momento della domanda il campo di Tizio da nulla risulta incrementato, Caio potrà chiedere a Tizio……nulla.

Discente: Mi sembra di aver capito, ma fammi vedere se ho capito bene. Mettiamoci nel caso che Marieto, spendendo 150 (centocinquanta), abbia messo sù un bel night club: il night ha successo, e dei bei soldi entrano nel portafoglio del nostro Marieto, ma ecco il punto, dei bei soldi entrano anche nella saccoccia della Beppa, che ha una pizzeria a cinquanta metri dal night, pizzeria in cui entra a frotte la gente dopo aver ballato nel night di Marieto: da quel che ho capito, Marieto potrà dire alla Beppa, tu ora guadagni di più perché io prima ho tolto dal mio portafoglio centocinquanta per creare il night, quindi tu, che ti stai arricchendo a mie spese, devi rimborsarmi parte di quei centocinquanta da me spesi. Sbaglio?

Docente: Sì, sbagli, perché secondo i principi (o, se preferisci in analogia a quanto dispone, per il caso di arricchimento, il secondo comma dell’articolo 2041 poco sopra riportato) chi ebbe a subire l’impoverimento può chiedere l’indennizzo solo di una diminuzione patrimoniale ancora esistente al momento in cui propone la domanda stessa. Ora é vero che, al momento in cui creava il suo night, Marieto ha avuta una diminuzione patrimoniale di 150, ma é anche vero che in seguito e come effetto di tale diminuzione patrimoniale (idest, della spesa di 150) ha avuto un incremento di trecento, per cui al momento della domanda di indennizzo il suo patrimonio risulta aver avuto, e, si ripete, come effetto della spesa prima fatta, un incremento, non un decremento patrimoniale.

Discente: Ma se non l’avesse avuto, tale incremento, mentre invece la Beppa, lei, sì, l’avesse avuto? Mi spiego con un altro esempio forse più chiaro: il produttore di un film inserisce in questo una scena in cui il protagonista chiede al bar un certo, preciso tipo di birra. Il film non fa cassetta, il produttore é in passivo; però la fabbrica di “quella birra” ha visto, in seguito al film, incrementare le sue vendite: non ti pare giusto che questa indennizzi (naturalmente nei limiti del suo arricchimento) il produttore del film?

Docente: Se il produttore del film riesce a provare che effettivamente l’incremento delle vendite di birra é dovuto a questo (e non, metti, a un miglioramento della qualità della birra, o a un particolare exploit dei suoi piazzisti)………

Discente.…….. ma questa difficoltà di provare che l’arricchimento del convenuto é correlato solo al danno subito dall’attore, penso, sussista per tutte le cause basate sull’art.2041….

Docente:…se non in tutte, certamente in molte, lo debbo riconoscere; e questo é un po’ il tallone di Achille dell’azione di cui stiamo parlando; ma, riprendo il discorso, se effettivamente il produttore (del film) prova che l’arricchimento della fabbrica di birra é connesso al suo impoverimento (alias al suo “danno”, alias alle spese da lui fatte per girare il film, o meglio la scena in cui il protagonista chiede proprio “quella birra”), ebbene, sì, io riterrei che gli si dovrebbe riconoscere un diritto all’indennizzo.

Discente: A questo punto fai qualche esempio meno romanzesco di danneggiato, che può valersi del disposto dell’art. 2041, per ottenere un indennizzo.

Docente: Un primo esempio ce lo offre la normativa in materia di risoluzione dei contratti: Caio fa l’imprenditore edile e, in base a un contratto da lui stipulato con Tizio, ha costruita per questi una villetta. Tizio non paga, non ha un soldo in tasca: Caio chiede la risoluzione del contratto. E le spese che ha fatte per la costruzione della villetta? Le recupererà agendo ex art. 2041.

Discente: A patto che il valore della villa risulti superiore all’ammontare delle spese. Il che potrebbe anche non darsi: metti che Tizio, illo tempore miliardario, avesse avuto lo sghiribizzo di fare costruire la villa in cima a una montagna: é ben difficile che si trovi qualcuno disposto ad acquistare una villa a cui é tanto difficile arrivare. Cosa per cui il valore di questa verrà ad essere inferiore alle spese fatte per costruirla.

Docente: Sarebbe una delle tante situazioni in cui noi giuristi dobbiamo dire al cliente….”porti pazienza”. Ma lasciami portare un secondo esempio, costruito, non da me, ma da un autorevole Studioso della materia (dico ciò per rassicurarti sulla sua serietà). In questo esempio entra in ballo l’articolo 535 (apri il codice e dacci un’occhiata, ti servirà per comprendere meglio il discorso che passo a farti). Poniamo, ecco l’esempio, che Tizio, credendosi in buona fede erede, venda la casa che apparteneva al de cuius: per l’articolo 535 egli, il prezzo, lo deve “restituire all’erede” ed é cosa senz’altro giusta. Ma le spese da lui sostenute al momento di fare la compravendita (spese per la agenzia immobiliare, spese per l’avvocato…)? ce le deve rimettere? No, si risponde autorevolmente, potrà chiedere il loro rimborso all’erede, se sarà in grado di provare che la casa si é venduta sovraprezzo grazie alla sua abilità nel trattare l’affare.

Discente: Finora abbiamo costruito, noi, dei casi in cui l’impoverito ha diritto a un indennizzo e li abbiamo costruiti in vista di un’applicazione dell’articolo 2041 (che é la norma che, come abbiamo già visto, in via “sussidiaria” prevede un diritto di indennizzo per l’impoverito). Mi pare interessante, però, vedere anche dei casi in cui il legislatore con una norma ad hoc stabilisce (o nega), all’impoverito, il diritto all’indennizzo (per cui l’articolo 2041 non entra più in gioco).

Prima però ti vorrei rivolgere ancora tre domande, soprattutto per chiarire il differente ambito di applicazione degli istituti della negotiorum gestio e dell’arricchimento senza giusta causa.

Prima domanda: parlando delle negotiorum gestio tu hai detto che il grosso pericolo, che presenta la sua ammissibilità é quello delle c.d. “spese imposte”: Tizio, il dominus, viene costretto a rimborsare cento al gestore per la riparazione fatta da questi al tetto, mentre egli avrebbe ritenuto più urgente spendere quelle cento per riparare il muro di cinta, che minaccia di crollare: tale pericolo (delle “spese imposte”) non sussiste anche concedendo a Caio, l’impoverito, il diritto di chiedere a Tizio, l’arricchito, un indennizzo?

Docente: No, non sussiste. E’ vero che Tizio, aprendo il portafoglio per pagare l’indennizzo, si priva di quei cento, che avrebbe potuto più utilmente spendere in altro modo. Quel che importa però é che il pagamento dell’indennizzo, essendo limitato all’arricchimento, non incide sul budget programmato prima: Tizio, prima di avere l’arricchimento, aveva programmato di spendere tot per A e tot per B e continua ad avere la possibilità di fare tali spese, anche se indennizza Caio.

Discente: Ed ecco la seconda domanda: abbiamo visto, parlando della negotiorum gestio, che il legislatore fa obbligo al gerito di rimborsare le spese al gestore, anche se l’affare, prima, utiliter coeptum, poi, si rivela di nessuna utilità. Perché identica soluzione non é adottata anche in materia di azione ex art. 2041?

Docente: Perché allora effettivamente, il pericolo per una persona di essere coinvolta in spese inconsulte dall’iniziativa di un terzo, ci sarebbe, eccome! Pensa al caso di Marieto, che vuole fare il commerciante (senza averne la stoffa) e spende fior di quattrini per aprire un night, che poi non dà soldi: é forse giusto che la Beppa venga coinolta nell’iniziativa pazzoide di Marieto e debba sopportare parte delle spese da questi ideate, solo perché…se l’iniziativa avesse avuto successo anche lei si sarebbe arricchita?!

Discente: Terza e ultima domanda. Per quale ragione il legislatore dovrebbe preoccuparsi che l’impoverito sia indennizzato dall’arricchito, se il danno del primo non é causato dalla colpa del secondo? Per rifarci all’esempio da te prima fatto, perché il legislatore dovrebbe preoccuparsi che Caio, il quale ha subito un danno dall’onda di piena del fiume, sia indennizzato da Tizio a cui, l’onda di piena, verso di lui tanto benefica quanto malefica era stata verso Caio, ha regalato (senza un suo pur minimo intervento, senza sua colpa) un appezzamento di terreno (sia pure lo stesso appezzamento di terreno rubato a Caio)?

Docente: Io mi rendo conto delle tue perplessità: si comprende che il legislatore, come abbiamo visto, obblighi il gerito al rimborso delle spese che sono state necessarie per la gestione (spese che sono altrettanti danni per il gestore): infatti questo é un modo per pungolare una persona a intraprendere quella gestione che eviterà il deterioramento o la perdita di uno dei beni costituenti la ricchezza nazionale. Si comprende ancora che il legislatore, come vedremo trattando la materia del risarcimento del danno (art.2043 ess), obblighi Tizio, che ha causato per colpa un danno di cento a Caio, a risarcire questo, dandogli cento: infatti la società ha beneficio se il portafoglio delle persone, che, come Caio, fino a prova contrario sono da considerarsi diligenti amministratori dei beni loro affidati (dalla società), di tanto si ingrossa quanto dimagra quello delle persone, che, come Tizio, si sono dimostrate negligenti (e tali si dimostreranno presumibilmente ancora nell’amministrazione dei beni loro, dalla società, affidati). Ma perché, riprendo la tua domanda, il legislatore dovrebbe costringere Tizio (l’arricchito) a indennizzare Caio (l’impoverito), dato che quello non ha nessuna colpa dell’impoverimento di questo?

Ebbene non c’é un’unica risposta a questa tua domanda, ma ce ne sono varie, così come sono vari i casi dell’arricchimento di una persona conseguente all’impoverimento di un’altra. E queste risposte sono certe volte facili, certe altre volte difficili, com’é difficile quella relativa al caso, a cui tu ti sei, poco prima, riferito.

Discente: Ebbene comincia a dare la risposta più difficile: perché, in caso di avulsione (art. 944), Tizio, l’arricchito, deve indennizzare Caio, l’impoverito.

Docente: Io penso che questo “perché” vada visto nel fatto che il legislatore sente come un danno per la società la destrutturazione di un patrimonio – destrutturazione che può verificarsi a seguito di un improvviso danno, dal dominus, subito.

Discente: Ma che cosa intendi per “destrutturazione” di un patrimonio?

Docente: Pensa a Caio, che fa l’agricoltore: per rimediare allo shock di un danno subito, deve vendere il trattore; ma, vendendo il trattore, mangia per quell’anno, e poi, non potendo più coltivare la terra, l’anno venturo, per procurarsi pane e companatico, é costretto a vendere il suo fondo a Cornelio, che, al contrario di lui, non fa il contadino ma l’avvocato. Senonché questo fondo ha un’organizzazione (il pollaio, la conigliera, il capannone per gli attrezzi) che, utile per un agricoltore, non é utile per l’acquirente-avvocato, che pertanto la spazza via (ciò che comporta distruzione di beni – il pollaio, la conigliera ecc. – beni costituenti la ricchezza nazionale). Ecco cosa intendo per destrutturazione di un patrimonio. Stando così le cose si comprende perché il legislatore cerchi, quando può farlo, di evitarla. E, per venire al punto che qui ci interessa, il legislatore ritiene di poterlo fare, nei casi in cui può eliminare o alleviare l’impoverimento di una persona, prelevando in modo indolore i necessari soldi da un altro patrimonio; così com’è nel caso dell’esempio da te fatto: Tizio, che si é arricchito in seguito all’avulsione, é portato a non lamentarsi (troppo), se, la parte dei beni di cui si é arricchito, gli é tolta per eliminare l’impoverimento di Caio: perché? ma perché su tali beni non si era abituato a fare conto e quindi ne può fare a meno senza sofferenza.

Discente: La tua risposta é stata un po’…. faticata, ma in fondo mi sembra convincente. Passiamo ora a risposte più facili.

Docente: Una risposta molto più facile si può dare al “perché” il dominus, arricchitosi per i miglioramenti apportati al bene dal suo possessore (in buona o mala fede, poco importa), deve indennizzare questi dalle spese sostenute per farli.

Discente: Spiegati meglio.

Docente: – Mentre Tizio era in Africa a cacciare elefanti, Caio si é impossessato del suo terreno e ha provveduto ad asfaltare la strada che conduce alla casa padronale: opera questa che anche Tizio é costretto a riconoscere come un miglioramento. In un tal caso Caio ha diritto un indennizzo da parte di Tizio per il disposto dell’articolo 1150 co 2, che recita: “(Il possessore, anche se di mala fede) ha diritto a indennità per i miglioramenti recati alla cosa, purché sussistano al tempo della restituzione”.

Discente: Bene, ora però devi dire il perché di tale disposizione.

Docente: Il perché é dato dalla volontà di incentivare il possessore alla migliore gestione del bene posseduto: “Tranquillo Caio, fai del tuo meglio per aumentare il valore e la produttività del bene, sapendo che, se il dominus si farà vivo, tu non avrai lavorato per niente: avrai pur sempre diritto a un indennizzo per i miglioramenti fatti”.

E, la prova del nove che, la ratio dell’obbligo di indennizzo, é quella che ho detto, la trovi nel fatto che, invece, il locatario, se fa dei miglioramenti, non ha diritto a un indennizzo (v. art. 1592): il locatario non ha diritto a un indennizzo perché egli ha già il suo incentivo a compiere i miglioramenti, nel fatto che é sicuro che, per tanti anni quanti sono quelli corrispondenti alla durata della locazione, egli, tali miglioramenti, potrà goderseli.

Discente: Torniamo a Caio-possessore. Quindi egli sa che qualunque opera costruisca sul fondo da lui posseduto, metti una strada, metti addirittura una casa, per mal che vada, sarà sempre indennizzato delle spese fatte.

Docente: Questo non l’ho detto; e non l’ho detto perché non sempre un’opera costituisce, dal punto di vista del dominus (punto di vista che é l’unico che conta) un “miglioramento”; metti che Caio abbia costruita la casa di cui al tuo discorso, ma che Tizio, il proprietario, abbia in progetto di costruire un grattacielo nello stesso posto in cui la casa si trova: in questa ipotesi, la casa non potrebbe essere considerata da lui un miglioramento, ma un ostacolo da eliminare.

Discente: E allora? Come si risolve nel caso la controversia tra Caio, che vorrebbe l’indennizzo per le spese fatte per costruire la casa, e Tizio, che, invece, lo nega?

Docente: Si risolve come indicato nell’articolo 936: spetta a Tizio decidere se la casa per lui costituisce un miglioramento o no. Se la considera un miglioramento e pertanto decide di ritenerla, potrà farlo o pagando “il valore dei materiali e il prezzo della mano d’opera” o pagando “l’aumento di valore recato al fondo” – e naturalmente sceglierà questa seconda alternativa quando l’aumento di valore del fondo (idest, il suo arricchimento) é inferiore al valore delle spese sostenute per la sua costruzione (idest, al impoverimento di Caio). Come vedi, nel punto, l’articolo 936 é praticamente in linea col disposto dell’articolo 2041.

Discente: Mettiamoci ora in un caso, per cui mi pare più difficile trovare una spiegazione: Caio dà a Tizio cento credendosi debitore verso di lui di cento, mentre, invece, Tizio non può vantare nessun credito (di cento) né verso di lui né verso qualsiasi altra persona; oppure anche, mettiamoci nel caso che Caio dia cento a Tizio credendosi debitore verso di lui di cento, mentre il reale debitore é Sempronio. E’ chiaro e intuitivo che in entrambi i casi va riconosciuto il diritto di Tizio a riavere indietro i soldi erroneamente dati; più difficile giustificare razionalmente tale soluzione.

Docente: E’ chiaro fino a un certo punto che Tizio debba restituire l’indebito ricevuto. Infatti, sia nel primo caso (caso così detto di “indebito oggettivo”) sia nel secondo (caso così detto di “indebito soggettivo”) potrebbero intervenire delle complicazioni, che potrebbero rendere dubbia quella soluzione che tu vedi tanto “chiara”.

Discente: Quali potrebbero essere queste complicazioni?

Docente: Nel primo caso potrebbe accadere che, chi ha ricevuto il pagamento indebito, ritenendolo dovuto, abbia speso i soldi, così ricevuti, per spese, di cui altrimenti si sarebbe astenuto: Tizio ha venduto il cavallo C a Caio e realizza, con i soldi così ricevuti, un sogno da lungo tempo coltivato: un viaggio nella favolosa India. Però il contratto aveva un vizio che ne provoca l’annullamento. Pertanto ex post, il credito, che Tizio credeva di avere verso Caio, non c’é più: é giusto in un tal caso obbligare Tizio a risputare tutti i soldi ricevuti? La risposta a questo quesito (che il legislatore saggiamente rifiuta di dare) potrebbe ben essere dubbia4.

Discente: E quali sono le complicazioni, come tu le definisci, che potrebbero rendere dubbio l’obbligo del creditore Tizio alla restituzione, in caso di indebito soggettivo.

Docente: La più ovvia complicazione ci sarebbe nel caso in cui il creditore si fosse privato in buona fede (poco importa se per una superficialità e un’imprudenza in cui un bonus pater familias non sarebbe caduto) “del titolo e delle garanzie del credito”5.

Altre complicazioni si avrebbero nel caso in cui la cosa (data da Caio in adempimento di una inesistente sua obbligazione) fosse perita o deteriorata6 oppure nel caso fosse stata alienata7.

Discente: Ma fingiamo che fortunatamente nessuna di tali complicazioni si sia verificata: dove la vedi tu la ratio del diritto (di chi ha pagato indebitamente) di ripetere quanto corrisposto?

Docente: Io tale ratio la vedrei nell’interesse dello Stato a scegliere, nelle soluzioni che dà alle controversie, quella meno “dolorosa”; in quanto, tale soluzione meno “dolorosa”, é anche quella che determina la minore tendenza alla “ribellione”, in chi la subisce e quindi pone meno in pericolo l’ordine pubblico. Ora la soluzione meno dolorosa é quella di obbligare alla restituzione chi ha ricevuto il pagamento, in quanto, così facendo, egli non deve che rinunciare ad un arricchimento – e tale rinuncia é meno “dolorosa” del sopportare un impoverimento – quell’impoverimento che dovrebbe sopportare chi ha pagato l’indebito, se non avesse diritto alla restituzione del pagato.

1Val la pena di notare, per la precisione, che, quel che determina l’aumento di valore del campo di Tizio, é la volontà legislativa di attribuire a questi la proprietà dell’appezzamento di terreno, non, in sé e per sé, l’evento naturalistico dell’avulsione dell’appezzamento di terreno e il suo trasporto nel fondo di Tizio.

2Questo é l’insegnamento della Giurisprudenza. Ma, in realtà, non é sempre così. Si pensi a questo caso: Caio, credendosi erede, vende un bene rientrante nell’asse ereditario, sostenendo spese per pagare l’agenzia immobiliare. Si fa vivo il vero erede e a lui, per il secondo comma dell’articolo 535, Caio deve restituire il prezzo ricavato dalla vendita. Nessuno può dubitare, però, che Caio abbia diritto ad essere indennizzato delle spese sostenute per questa, se grazie alla sua abilità nel trattare l’affare ha spuntato un prezzo superiore a quello che offriva il mercato (sovraprezzo che costituisce l’arricchimento senza giusta causa dell’erede). Tuttavia, come si può facilmente constatare, il fatto che ha determinato il danno per Caio (pagamento dell’agenzia) é diverso dal fatto che ha determinato l’arricchimento dell’erede (fatto che, si ripete, é da vedersi nella vendita a sovraprezzo del bene).

3A ben guardare, quel che esclude un diritto di Caio all’indennizzo (per il suo impoverimento conseguente al trasferimento del diritto di proprietà sul bene donato da lui a Tizio), é sic et simpliciter.…la volontà legislativa di escludere l’indennizzo. Volontà legislativa che si argomenta dal semplice fatto, che, se il legislatore concedesse al donante un diritto di indennizzo, con ciò stesso renderebbe un non-senso la donazione.

4E, per dare la risposta giusta, occorrerebbe operare delle distinzioni. Prima di tutto, bisognerebbe distinguere il caso di chi ha ricevuto il pagamento in buona fede, dal caso di chi lo ha ricevuto in mala fede. E’ chiaro che, chi ha ricevuto in mala fede, deve restituire tutto quanto ha ricevuto. Se, invece, era in buona fede, bisognerà distinguere ancora il caso in cui il vizio era dovuto a colpa di chi ha effettuato il pagamento, da quello in cui invece era dovuto a colpa della sua controparte.

5La soluzione da darsi al caso la dà l’articolo 2036 disponendo, nel suo primo comma, che la ripetizione non é ammessa, e nel suo terzo comma, che “quando la ripetizione non é ammessa colui che ha pagato, subentra nei diritti del creditore”.

6La soluzione, in caso di perimento o deterioramento, é data dall’articolo 2037, nei suoi commi 2 e 3, che recitano: “Se la cosa é perita, anche per caso fortuito, chi l’ha ricevuta in mala fede é tenuto a corrisponderne il valore; se la cosa é soltanto deteriorata, colui che l’ha data può chiedere l’equivalente, oppure la restituzione e un’indennità per la diminuzione del valore – Chi ha ricevuto la cosa in buona fede non risponde del perimento o del deterioramento di essa, ancorché dipenda da fatto proprio, se non nei limiti del suo arricchimento”.

7La soluzione del caso é data dall’articolo 2038, che recita: “Chi avendo ricevuta la cosa in buona fede, l’ha alienata prima di conoscere l’obbligo di restituirla é tenuto a restituire il corrispettivo conseguito. Se questo é ancora dovuto, colui che ha pagato l’indebito subentra nel diritto dell’alienante. Nel caso di alienazione a titolo gratuito, il terzo acquirente é obbligato, nei limiti del suo arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito. – Chi ha alienato la cosa ricevuta in mala fede, o dopo aver conosciuto l’obbligo di restituirla, é obbligato a restituirla in natura o a corrisponderne il valore. Colui che ha pagato l’indebito può però esigere il corrispettivo dell’alienazione e può anche agire direttamente per conseguirlo. Se l’alienazione é stata fatta a titolo gratuito, l’acquirente, qualora l’alienante sia stato inutilmente escusso, é obbligato, nei limiti dell’arricchimento, verso colui che ha pagato l’indebito”.