L’uomo che interroga gli astri

Biografia , oroscopo e analisi grafologica di grandi personalità

Sommario: 1 – Pietro il Grande ( biografia); 1bis-Pietro il grande ( oroscopo); Mussolini ( oroscopo e analisi grafologica); Cavour ( oroscopo e analisi grafologica); Gurdjieff ( biografia); Gurdjieff ( oroscopo); Gandhi (oroscopo); .

Trovi altre biografie, oroscopi, analisi grafologiche nella rubrica “Archivio” ( per localizzare tale rubrica vai alla prima facciata della Rivista e guarda in alto).

Biografia di Pietro il Grande

I russi del diciassettesimo secolo erano abituati a pensare al loro sovrano come a una creatura quasi divina . Un loro proverbio diceva, “Un unico sole splende in cielo, lo Zar di Russia sulla terra” . Pur infinitamente distante, lo zar si preoccupava dei bisogni del suo popolo con sollecitudine e amore : egli ne era il batijuska , il padre ; e, naturalmente, come un padre doveva essere ubbidito, senza limitazioni : perché “chi può limitare l’autorità di un padre se non Dio ?”.

Immediatamente dopo lo zar, c’erano i “boiari” . Termine con cui il popolo si riferiva ai membri della più elevata nobiltà e della più alta burocrazia .

Più sotto c’era l’aristocrazia minore ; più sotto ancora, la borghesia, e infine, alla base della piramide, c’erano i contadini e gli schiavi della gleba, che costituivano la stragrande maggioranza del popolo russo .

Nel terzo quarto del diciassettesimo secolo, il ruolo di zar era ricoperto da Alessio, secondo della dinastia Romanov .

Alessio era il più calmo, il più gentile, il più pio di tutti gli zar . Spesso digiunava ( 8 mesi su 12 calcolò un medico, che ne frequentava la Corte ) ; e, quando digiunava, si nutriva solo di pane di segala e si dissetava solo con vino leggero e birra .

La moglie Maria, della potente famiglia dei Miloslavkain, lo aveva lasciato vedovo quand’egli aveva solo quarant’anni .

Maria aveva dati al suo augusto sposo ben quattordici figli, ma quasi tutti erano morti in tenera età . Solo due dei suoi figli maschi, alla sua morte, sopravvivevano ,Fedor e Ivan .

Però Fedor, di dieci anni, era molto gracile e Ivan, di tre anni, era già quasi cieco e aveva un grave difetto di parola : nessuno dei due bambini sembrava insomma in grado di continuare la dinastia dei Romanov ; e ciò rendeva opportuno che Alessio prendesse una seconda moglie .

Questa fu trovata da Alessio dopo che già da un anno era vedovo .

Lo zar passava sovente le serate in casa del suo primo ministro e caro amico, Artamon Matvcev ; un uomo colto, che aveva sposata una scozzese ed era affascinato dalla cultura occidentale .

Ora in casa di Matvcev era ospitata una giovane donna, Natalia Naryskin : la figlia di un proprietario terriero di origine tartara, che, per evitarle la piatta vita della nobiltà di campagna, aveva chiesto al suo amico Matvcev di prenderla sotto la sua protezione e di portarla a respirare l’atmosfera di cultura e libertà, che caratterizzava la sua casa .

L’ipocondriaco e depresso Alessio fu colpito e attratto da questa giovane donna : dalla sua bellezza, dal suo corpo sano, dal suo sguardo vivo e brillante, dai suoi occhi ( a mandorla ), dal suo comportamento semplice e sereno, dal buon senso delle sue risposte : la sposò .

E fu, questo, un matrimonio felice: la giovane donna dai lunghi capelli neri infondeva al serio e austero zar un senso di serenità e di calma .Egli la voleva sempre accanto a sé e la portava con sé ovunque andasse .

La felicità dei due sposi fu piena quando il 30 maggio 1672, all’una del mattino, Natalia partorì un maschietto dal bel colorito roseo, sano, gli occhi neri, vagamente “tartari” come quelli della madre, un ciuffo di capelli castani . Gli fu dato il nome dell’apostolo, Pietro .

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Il matrimonio di Alessio e Natalia durò poco : solo cinque anni : il tempo perché Natalia desse al suo zar un altro figlio, una bambina a cui fu dato il nome di Natalia ( e a cui Pietro sarà sempre affezionatissimo ) .

L’8 febbraio 1676, quando Pietro aveva solo 3 anni e mezzo, lo zar Alessio, all’ancor giovane età di quarantasette anni, morì, in seguito ad una banale infreddatura .

Con la morte del padre, cambiò anche la situazione di Pietro . Era stato fino ad allora l’adorato figlio d’un padre innamorato della madre , d’un tratto divenne…..un problema politico. Infatti ad Alessio successe Fedor, il figlio della prima moglie, Maria Miloslavkaja ; e ciò comportò un “cambio della guardia” al Cremlino : i posti di potere passarono dal clan dei Nariyskin ( si ricordi che la seconda moglie di Alessio era una Nariyskin ) al clan dei Miloslavskain : e le speranze dei primi di ribaltare nuovamente la situazione poggiavano solo sulla vita e sull’ascesa al trono di Pietro : insomma, questi diventava il punto di riferimento di un partito avverso, se non allo zar, alla famiglia dello zar .

Come si comportò questi verso il suo potenziale rivale ? Con umanità e senso di giustizia : si preoccupò del suo benessere fisico, provvide alla sua educazione .

Ma Fedor, dopo soli sei anni di regno, morì precocemente e senza lasciare figli .

E ciò rese drammatica e attuale la soluzione del problema politico, a cui prima accennavamo : due infatti erano i possibili candidati alla successione : Ivan, il secondo figlio di primo letto di Alessio, e Pietro, il suo unico figlio di secondo letto .

Ivan era più vecchio di sei anni di Pietro e a rigore avrebbe dovuto essere lui lo zar , però era quasi cieco, zoppicava e stentava a parlare ; Pietro invece era sveglio e pieno di salute .

Il patriarca Gioacchino, i vescovi, i boiari discussero animatamente su quale dei due fanciulli dovesse mettersi sul trono ; ma senza mettersi d’accordo . Per cui il patriarca interpellò il “popolo”, cioè la folla che sostava, in attesa del nuovo zar, davanti al palazzo imperiale : “Lo zar Fedor Alekscevic di venerata memoria è morto . Non lascia altri eredi che i fratelli, lo zarevic Ivan Alekscevic e lo zarevic Pietro Alekscevic . A quale di questi due principi affidate il potere ?” . I più risposero : “A Pietro Alekscevic” : la scelta era fatta .

Quando il patriarca, tornato all’interno del palazzo, pregò il decenne Pietro di essere il nuovo zar, questi, arrossendo, rifiutò, dicendo che era troppo giovane e che suo fratello avrebbe governato meglio . Ma il patriarca insistette : “Signore, non rifiutate la nostra richiesta” ; e Pietro accettò : egli sarebbe stato il nuovo zar, la madre sarebbe stata la reggente e Matvcev ( il vecchio protettore della madre ) avrebbe di fatto governato la Russia .

Così avrebbe dovuto avvenire e così sarebbe avvenuto, se non ci fosse stata…la zarevna Sofia .

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Sofia era sorella di Ivan, più precisamente era la terzogenita delle otto figlie, che lo zar Alessio aveva avute dalla prima moglie .

Il suo destino sarebbe dovuto essere quello di tutte le figlie e sorelle di uno zar ; che, non potendo sposarsi né con una persona di condizione sociale inferiore né con uno straniero, vivevano, praticamente recluse come monache, nel terem ( cioè in una sorta di gineceo, un complesso di locali situati nella parte più tranquilla della casa, riservato solo alle donne ) .

Ma Sofia era una donna eccezionale . Quand’era ancora bambina riuscì a persuadere il padre, lo zar Alessio, a infrangere per lei la tradizione del terem e a permetterle di assistere alle lezioni del fratello Fedor . La sua superiore eccellenza non mancò di essere ben presto notata ; e tanto apprezzata che, quando il fratello divenne lo zar, spesso veniva ammessa alle riunioni in cui si discutevano le più gravi questioni di politica .

Inutile dire che la morte di Fedor e l’ascesa al trono del fratellastro Pietro, furono vissute da Sofia come due eventi catastrofici : la madre del nuovo zar, la zarina Natalia, che la detestava, senza dubbio l’avrebbe relegata nella soffocante clausura del terem .

Ciò che evitò alla zarevna tale squallida fine fu un terribile evento ( non si sa fino a che punto provocato dalla zarevna stessa ) ; e con ciò ci riferiamo alla rivolta degli strelizi .

Gli strelizi erano un corpo di soldati di professione creato da Ivan il Terribile . Per la maggior parte era formato da gente del popolo, che, pregiudizialmente contraria ad ogni innovazione e riforma, si sentiva investita dalla funzione di custode, della tradizione, della Chiesa Ortodossa, del patriarca e dello zar .

Questa truppa, in tempo di pace, montava la guardia al Cremlino ed era acquartierata in Mosca . Ora tra di essa fu fatta correre la voce ( da chi ? da Sofia ? non si hanno prove certe ) che il clan dei Nariyskin ( il clan a cui, si ricordi, apparteneva il neoeletto zar Pietro ) , dopo aver ucciso lo zar Fedor e sottratta la corona al suo legittimo successore, Ivan, tramava per aprire la Santa Russia all’influenza occidentale e per umiliare la Chiesa Ortodossa . Scoppiò incontenibile la rivolta (maggio del 1682 – età di Pietro, anni 10 ) : migliaia di strelizi entrarono nel Cremlino e, nello spaventoso massacro che ne seguì, moltissimi del clan nariyskin, tra cui Matvcev, trovarono la morte .

I principali esponenti del partito avverso uccisi, Sofia si trovò spianata la strada al potere supremo . A cui giunse rapidamente, ma per gradi .

Gli strelizi ( sobillati da chi? da Sofia ? è ben possibile ! ) chiesero, una decina di giorni dopo la loro vittoriosa rivolta, che anche Ivan fosse nominato zar .Quindi due sarebbero stati gli zar : Ivan, primus inter pares, e Pietro.

Il patriarca, gli arcivescovi e i boiari riuniti in assemblea presero in esame la richiesta degli strelizi e…l’accolsero ( come avrebbero potuto dir di no a quella strapotente milizia ?!) .

Ma entrambi i nuovi zar erano troppo giovani :occorreva nominare un reggente .Chi poteva essere ? La risposta a tale domanda la impose una (nuova ) delegazione di strelizi che, presentatasi alla Corte, “chiese” che reggente fosse nominata Sofia . Patriarca, arcivescovi, boiari (naturalmente!) acconsentirono a tale richiesta ( fatta da soldati che avevano ancora le mani sporche del sangue di chi aveva osato ostacolarli ) .

Sofia aveva così raggiunto il suo scopo : per sette anni questa donna eccezionale governerà la Russia .

Quanto a Pietro, egli conservò durante tutti i giorni del massacro, giorni che vedevano la sua stessa vita in pericolo, un’ammirevole calma . Quando la madre, per smentire le voci che dicevano Ivan assassinato, su suggerimento dei Boiari, si presentò alla soldataglia , tenendo, per una mano, Ivan

e ,per l’altra, Pietro ,essa era terrorizzata e le sue mani tremavano, ma Pietro, a suo lato, non rivelò alcun timore e fissò uno sguardo fermo e tranquillo sui soldati inferociti .

E tuttavia lo spettacolo della primitiva ferocia di questi non lo abbandonerà mai ; e spiega, non solo la spietata vendetta che, una volta diventato maggiorenne, su di loro si prese, ma altresì perché egli non amò mai Mosca e a tale città preferì, come capitale del suo impero, Pietroburgo (la città da lui stesso fondata sul baltico ) .

Secondo alcuni, va attribuito alla tensione accumulata in quei terribili giorni anche un disordine nervoso di carattere epilettico, che, come diremo meglio dopo, lo afflisse nella maggiore età.

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Durante la reggenza di Sofia, i rapporti tra questa e Pietro furono corretti e formalmente cortesi : la reggente si preoccupò dell’educazione di Pietro e cercò di venire incontro alle sue necessità e anche a quei desideri, che potevano sembrarle infantili ( ad esempio, quando Pietro le chiese dei soldati per quei suoi “giochi di guerra” , di cui poi parleremo, essa senza difficoltà glieli fece avere ) .

Improntati, poi, addirittura ad amicizia e tenero affetto furono i rapporti tra Pietro e il fratellastro Ivan .

E ciò, nonostante che (o forse, proprio perché) i loro temperamenti fossero – così come risulta dalla seguente descrizione di una cerimonia ufficiale, trasmessaci da un frequentatore della Corte moscovita – diametralmente opposti : “Entrambe le loro maestà sedevano (….) sopra un trono d’argento, che somigliava a una cattedra vescovile, alquanto rialzato e coperto di panno rosso (….) Il più anziano dei due si tirò più d’una volta il berretto fin sugli occhi e, con lo sguardo abbassato sul pavimento, sedeva pressoché immoto . Il più giovane aveva il volto franco e aperto e il giovane sangue gli saliva alle guance ogni qualvolta qualcuno gli rivolgeva la parola. Si guardava continuamente in giro e la sua grande bellezza e i suoi modi vivaci – che talvolta lasciavano sconcertati i magistrati moscoviti – ci colpirono tutti, al punto che, se fosse stato un giovane qualsiasi e non un personaggio imperiale, saremmo stati lieti di ridere e discorrere con lui (…) Quando l’ambasciatore svedese consegnò le proprie credenziali, entrambi gli zar si levarono dai loro posti (…) ma Ivan, il maggiore, intralciò un poco la cerimonia poiché non capiva quanto stava succedendo e porse la mano al bacio al momento sbagliato . Pietro era così impaziente da non lasciare ai segretari il tempo abituale di sollevare lui e il fratello dai rispettivi seggi e toccarli sulla testa . Balzò in piedi di scatto, si portò la mano al copricapo e cominciò a formulare subito la domanda di rito : “Sua maestà reale Carlo di Svezia è in buona salute ?” . Lo dovettero tirare indietro affinché il fratello maggiore avesse la possibilità di parlare” .

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Durante la reggenza di Sofia, la madre di Pietro, volle allontanarsi dal Cremlino ( e dalla presenza di Sofia, che odiava ) e si trasferì a Preobrazensko , una villa distante 5,6 chilometri da Mosca, posta nelle vicinanze di un fiume e circondata da prati e foreste .

Nel tempo in cui abitò a Preobrazensko, Pietro, libero da gravosi impegni di governo, poté soddisfare quella che era una sua caratteristica esigenza : un’insaziabile curiosità .

Egli voleva conoscere ; ma non le cose astratte insegnate nei libri ( egli non amò mai né il leggere né la cultura libresca – e, di conseguenza, anche in età adulta la sua ortografia e la sua grammatica rimasero inammissibilmente difettose ), bensì le concrete conquiste della tecnica e dell’arte umana .

Pietro voleva sapere come funzionavano le cose ( com’è possibile che una nave riesca a sfruttare col gioco delle vele anche il vento contrario ? come può una persona misurare, col sestante, la distanza di un punto senza muoversi ?… ) . Amava soprattutto entrare nelle botteghe e nelle officine, osservare come lavoravano gli artigiani e, poi, presi nelle sue grandi mani i loro strumenti, cercare di imitarli .

E li imitava con successo . Procuratosi un bancone da falegname, imparò a maneggiare con maestria asce, scalpelli, martelli e chiodi . Diventò muratore . Si fece insegnare la difficile arte di lavorare al tornio e divenne un ottimo tornitore, prima in legno e, più tardi, anche in avorio . Apprese come si stampavano i libri e come si rilegavano .

Come molti fanciulli della sua età, anche Pietro amava i “giochi di guerra” . Ma anche questi giochi egli non li faceva solo per divertirsi : giocandoli voleva imparare : imparare il mestiere di soldato

( come si scava una trincea, come si manovra, come si spara il fucile e il cannone, come si assalta un fortino…) . E, convinto com’era ( e come restò sempre ) che, per imparare un mestiere, bisogna iniziare “dalla gavetta” , non pretese ( stoltamente ) il comando, ma volle partecipare alla “vita militare” al più basso livello : come tamburino ( e il tamburo, anche in seguito, rimase la sua passione) . E nessuna distinzione voleva che si facesse tra sé e gli altri : dormiva sotto le stesse tende e mangiava lo stesso cibo degli altri suoi “commilitoni” , come loro montava la guardia e scavava trincee .

Peraltro, questi giochi di guerra divennero, col crescere di Pietro, sempre più realistici ed elaborati e sempre più aumentò col tempo il numero delle persone, che vi erano coinvolte come ufficiali e come soldati .

Così che quando Pietro entrò, come subito diremo, in conflitto aperto con la sorellastra Sofia, egli poté contare sull’appoggio di due reggimenti di trecento uomini ciascheduno perfettamente addestrati (da ufficiali occidentali ) ; cosa che contribuì non poco alla sua vittoria .

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Mentre Pietro conduceva vita spensierata, Sofia regnava . E regnava bene, dato che, come già detto, era donna intelligente e di carattere fermo .

Però il suo era un regno “a termine”, destinato a cessare con la maggiore età di Pietro .Lei lo sapeva e, ambiziosa com’era, non se ne dava pace .

Tentò di ritagliarsi un ruolo alla pari con Ivan e con Pietro (non più reggente, ma coreggente ) : si appropriò ( indebitamente ) del titolo di “autocrate”, fece circolare tra le Corti estere suoi ritratti, che la raffiguravano ( di nuovo indebitamente ) con le insegne della regalità ( scettro e corona ) . Dovette però accorgersi che né gli strelizi né la Chiesa Ortodossa avrebbero tollerato, oltre ad Ivan e a Pietro, un terzo zar e per di più donna .

Sofia si preparò allora a fare un colpo di stato per detronizzare Pietro ( o Pietro e Ivan insieme ) ? Non si sa . Certo vi era tra i suoi amici chi coltivava tale disegno . E, a poco a poco, si formarono in Russia due partiti : il partito della reggente Sofia e quello dello zar Pietro .

E vale la pena di dire, per far vedere come i disegni della Storia operino a volta in maniera contorta e quasi buffa , che intorno a Pietro ( che fu, poi, il più deciso e radicale modernizzatore della Rus=

sia ) si raccoglievano la Chiesa Ortodossa e i boiari più conservatori, mentre Sofia era punto di riferimento delle forze filo-occidentali e moderniste .

La crisi politica, che così si delineava, precipitò quando due spedizioni fatte in Crimea, per difendere l’Ucraina dalle scorrerie dei tartari, fallirono disastrosamente ; e Sofia, invece di destituire chi le aveva comandate, mossa dall’affetto ( ne era l’amante !) si incaponì a riceverlo come se fosse stato un eroe vittorioso .

Ciò indebolì il partito di Sofia ; e quello di Pietro sentì giunto il momento per la resa dei conti .

Entrambe le fazioni erano sul chi vive e avevano i nervi a fior di pelle : lo scontro era inevitabile, ma nessuna delle due voleva fare la prima mossa . Si trattava, al contrario, di costringere la parte avversa a tentare per prima il colpo di stato ( ciò che l’avrebbe messa dalla parte del torto e quindi in svantaggio …sempre che si fosse riusciti a parare il colpo ) .

Il “gioco” riuscì alla fazione di Pietro . Una notte ( dell’estate del 1689 ) giunsero a Preobrazensko due cavalieri ; e, affannati, annunciarono che gli strelizi, sobillati da Sofia, stavano per giungere col chiaro intento di trucidare lo zar .

Non si sa se fossero in buona fede , è però storicamente accertato che la notizia, così concitatamente data, era falsa .

Quel che conta, comunque, è che Pietro la credette o finse di crederla vera ; e, senza neanche vestirsi, saltò in sella a un cavallo e terrorizzato ( o fingendosi terrorizzato ) si rifugiò in un monastero vicino a Mosca, il monastero della Trinità ; che era considerato dalla popolazione uno dei luoghi più sacri della Russia e, proprio per questo, era il tradizionale rifugio della famiglia reale nei momenti di maggior pericolo .

Là Pietro, lo zar costretto a fuggire per sottrarsi a un sacrilego attentato, ebbe la forza ( il cui nerbo era dato proprio da quei reggimenti ch’egli aveva, durante i suoi “giochi di guerra”, preparato e addestrato alla lotta ) e soprattutto l’autorità morale, per ordinare agli strelizi di venire da lui per confermargli la loro fedeltà .

Sofia reagì a tale manovra minacciando la decapitazione a chiunque si fosse recato a rendere omaggio a Pietro . Fu un braccio di ferro duro e spietato ; ma la sua conclusione non poteva essere dubbia : Pietro era lo zar incoronato dalla Santa Chiesa Ortodossa ; Sofia era la reggente sospetta di aver sacrilegamente attentato alla vita dello zar .

Le diserzioni dal campo di Sofia incominciarono ben presto e divennero inarrestabili : ogni diserzione indeboliva la posizione di Sofia e quindi favoriva altre diserzioni : a un certo punto Sofia si trovò sola e costretta a chiedere la clemenza di Pietro .

A questo punto per Pietro restavano da definire i rapporti col suo collega nell’impero, con Ivan : gli scrisse proponendogli che, da quel momento, fossero solo loro due a governare con l’esclusione totale della reggente : egli si sarebbe riservata la nomina dei ministri ( cioè il potere effettivo !), ma Ivan sarebbe stato, come zar più anziano, da lui onorato come un padre ( cioè a Ivan venivano attribuite quelle funzioni di “rappresentanza”, che Pietro aborriva ) . Ivan acconsentì ( e d’altra parte non poteva far altro che consentire ); e, in piena armonia col fratello, che ebbe sempre verso di lui rispetto e affetto, continuò nel suo ruolo di zar ( di facciata ) fino alla morte, che avvenne sette anni più tardi, nel 1696 .

Sofia fu relegata in un monastero vicino a Mosca, dove visse, reclusa, ancora per 15 anni .

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Con la destituzione di Sofia, Pietro si ritrovò ad essere ( praticamente ) l’unico autocrate della Russia : tutto il potere (reale ) era nelle sue mani . Ma per ben cinque anni non lo esercitò, ma lasciò che a governare fossero i membri più autorevoli del suo clan .

La spiegazione di questo fatto ( sorprendente !) la diede egli stesso in età matura : al momento della destituzione della reggente, egli aveva solo diciassette anni, era giovane e voleva divertirsi .

Attorno allo spensierato Pietro si formò un’eterogenea compagnia di nobili e di borghesi, di anziani e di giovani ; i più, naturalmente, erano russi, ma moltissimi erano anche stranieri .

Infatti Pietro si era messo a frequentare assiduamente il “Quartiere tedesco” , che era una cittadina vicina a Mosca riservata a residenza degli stranieri ( prima solo tedeschi, da qui il nome, ma poi provenienti da ogni regione dell’Occidente, soprattutto, dall’Olanda, dalla Scozia, dall’Inghilterra ); i quali avevano portato le loro usanze, i loro costumi, le loro idee e le loro arti ( molto più progredite di quelle russe – ecco il perché dell’assidua loro frequentazione da parte di Pietro, che, va detto per inciso, per amante si prese e si tenne per lunghi anni una ragazza tedesca di estrazione plebea, proprio nel “quartiere tedesco” conosciuta, Anna Mons ) .

Nonostante la loro eterogeneità ( c’erano tra loro persone di età, nazionalità, classe sociale diversissime) tutti coloro che gravitarono intorno a Pietro vennero a poco a poco a formare un gruppo molto compatto, che si definì “La Allegra Compagnia” e che seguiva Pietro ovunque andasse .

I membri di tale “Allegra Compagnia” facevano insieme vita vagabonda : piombando, quando sentivano necessità di mangiare, bere, dormire, in qualche villa nobiliare ( con meraviglia e costernazione dei proprietari, che si vedevano così messa a soqquadro la loro casa ).

Un loro banchetto ( numero dei partecipanti variabile da 80 a 200 ) cominciava di solito a mezzogiorno e finiva all’alba del giorno successivo. Si mangiava, naturalmente ; ma non si faceva solo quello : tra una portata e l’altra, si fumava , si chiacchierava e si giocava (a carte, a bocce e birilli, a tirare con l’arco ..). Ma soprattutto si beveva : birra e vino scorrevano in tali feste a fiumi . E, all’uso russo, una festa non si considerava ben riuscita se i partecipanti non ne uscivano ubriachi fradici .

Col tempo si insinuò, nei divertimenti che Pietro e i suoi compagni si prendevano, una venatura anticlericale .

Essi avevano costituito un “Sinodo di Matti e Buffoni, Semprallegri e Semprebrilli”, a capo del quale era stato eletto un “Principe-Papa-Pagliaccio” ; e, mascherati da cardinali, vescovi, preti e papi imbastivano, anche per le strade e in altri luoghi pubblici, delle parodie della Chiesa ( della Chiesa Cattolica, certo, e non di quella Ortodossa, ma anche così l’offesa al sentimento religioso dei russi non mancava ) .

Come si vede erano piuttosto grossolane le forme di divertimento, in cui Pietro e i suoi compagni indulgevano nella giovinezza ( e continueranno a indulgere negli anni della loro maturità : il “Sinodo” elesse un “papa” ancor poco prima della morte di Pietro ) . Ma i componenti la “Allegra Compagnia” non erano certo uomini dai gusti raffinati . Erano uomini d’azione, impegnati a costruire e governare uno Stato, le loro mani erano impastate di sangue, di polvere da sparo e di fango, e…avevano bisogno di svagarsi . E quando si svagavano erano pronti a ridere e a scherzare senza inibizioni su tutto e su tutti ; e in particolar modo su quella Chiesa, che li ostacolava regolarmente ogni qual volta si apprestavano a fare qualcosa di nuovo .

Quel che importa notare, è che tali divertimenti per nulla resero Pietro uno debosciato e uno smidollato . Anche se lo (smodato ) libare a Bacco ( vizio a cui Pietro non seppe mai rinunciare ) finì per accorciargli la vita (Pietro morìrà a 53 anni ), almeno finché fu giovane non lo lasciava né esausto né infiacchito . Al contrario, egli, aiutato in ciò da un fisico eccezionale ( era alto due metri ed era vigorosissimo ), era capace, dopo una notte di bagordi, di alzarsi all’alba, quando ancora gli altri russavano distesi sul pavimento, per andare nella sua officina a piallare il legno o a forgiare il ferro ; oppure per mettersi al timone di una nave e prendere il largo incurante del tempo avverso ( e più di una volta la sua vita corse così pericolo ) .

E qui va fatto cenno a quella che fu (dalla prima giovinezza alla vecchiaia ) la grande passione di Pietro : la passione per la nautica .

Pietro amava sia costruire le navi ( si vuol dire, costruirle materialmente, armato di pialla e di ascia, lavorando cameratescamente insieme agli altri carpentieri ), sia condurre le navi ( come comandante o anche come semplice timoniere ), sia ideare e progettare le navi . E a tale passione la Russia deve, se Lei – che all’avvento di Pietro era, sì, un’immensa nazione, ma jugulata dalla mancanza di sbocchi sul mare ( aveva solo un piccolo porto, Arcangelo, che dava sul Mar Bianco ) – alla morte di Pietro aveva acquistati saldamente sbocchi nel mare, sia a sud ( con la conquista di Azov ai Turchi ) che a nord ( con la fondazione di Pietroburgo ) .

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Uno degli eventi fondamentali della vita di Pietro fu la “Grande Ambasceria” .

Fino ad allora nessun zar aveva, in tempo di pace, oltrepassato i confini della sacra terra russa . Pietro, invece, decise che un’ambasceria avrebbe visitato i principali Paesi dell’Occidente e ch’egli vi avrebbe partecipato ; non solo, ma, cosa che doveva scandalizzare particolarmente i tradizionalisti russi, che vi avrebbe partecipato, non nella maestà delle sue vesti imperiali, ma in incognito .

Quali le ragioni di tali (eterodosse) decisioni ? Pietro spiegò la sua partecipazione all’ambasceria con il proposito di sciogliere il voto, fatto una volta che stava per naufragare, di visitare la tomba del primo Apostolo . Ma la vera spiegazione la si trova nella scritta “Sono uno scolaro e ho bisogno di essere istruito” da lui fatta incidere in un sigillo prima della partenza : Pietro voleva andare in Occidente per istruirsi sui costumi e soprattutto sulla tecnologia occidentale . Sì, ma perché in incognito ? Perché egli voleva lavorare, come un operaio qualsiasi, nei cantieri e nelle fabbriche dei Paesi visitati e mischiarsi tra la gente comune per rendersi conto di come era realmente la vita in Occidente .

Bisogna riconoscere che il piano era ben studiato : il far parte dell’ambasceria gli avrebbe permesso di conoscere personaggi influenti ( e di giovarsi della loro influenza per aprir porte, che altrimenti gli sarebbero rimaste serrate ) , l’incognito, poi, avrebbe tolto quella barriera di ufficialità, che gli avrebbe impedito di muoversi liberamente tra la gente del popolo .

Il piano riuscì . Durante il suo viaggio Pietro ebbe, sì, modo di parlare con i regnanti e gli uomini più autorevoli dei paesi visitati ( naturalmente in forma privata : ufficialmente la presenza dello zar doveva essere ignorata ), ma anche di vivere e operare tra la gente comune .

In Amsterdam egli viveva nella casa, di un maestro funaio, procuratagli dal borgomastro e si recava all’alba nei cantieri navali – i cantieri più tecnologicamente avanzati del tempo ( Amsterdam era allora la capitale marittima, finanziaria, commerciale del mondo ) – con l’ascia e gli attrezzi in spalla come tutti gli operai ; e assolutamente non voleva che si facessero distinzioni tra lui e gli altri lavoratori : mangiava il pasto – che si cucinava da solo, come gli altri carpentieri – seduto su un tronco e conversando cameratescamente con i marinai e con chiunque lo chiamasse semplicemente “carpentiere Pietro” .

Ma Pietro non si interessa solo di navi . La sua curiosità e la sua sete di sapere sono insaziabili e spaziano dalla balistica ( a Konigsberg ne prende lezioni ottenendo un attestato scritto di competenza in materia ) all’arte della stampa ( le cui tecniche studia in Olanda, prendendo sul posto accordi per la stampa dei libri russi ) , dall’arte del coniare le monete ( in Inghilterra ne visita la zecca e al suo ritorno modernizzerà quella russa ) all’astronomia .

Non si stanca mai di visitare in ogni Paese : fattorie, segherie, filande, cartiere, botteghe di artigiani, musei, giardini botanici, laboratori .

Particolarmente lo interessa la scienza medica e, delle sue branche, particolarmente lo interessano l’anatomia e la chirurgia . Visita ripetutamente dei laboratori di dissezione ; e quando in Olanda, nel laboratorio di un luminare dell’epoca, il dottor Boerhaave, può vedere un corpo con alcuni muscoli abilmente sezionati, viene preso dall’ammirazione e dall’entusiasmo ( e, avendo udito delle esclamazioni di disgusto da parte dei suoi compagni, ordina loro, con orrore degli olandesi, di avvicinarsi al cadavere e tirarne fuori i muscoli con i denti ) .Dà istruzioni che lo informino di ogni operazione interessante che si compia nelle vicinanze e, quando può, si reca ad assistervi, non di rado fungendo da aiutochirurgo .Acquisisce così un’abilità sufficiente per sezionare, salassare, incidere e compiere altri piccoli interventi . E negli anni successivi porterà sempre con sé due cassette : l’una zeppa di strumenti utili per esaminare e controllare i progetti di costruzione che gli venivano presentati, l’altra colma di strumenti chirurgici ( e poteva capitare a un servitore, ammalatosi, di veder presentarsi al suo capezzale lo zar con la sua cassetta per offrire le proprie cure – non si sa quanto gradite!) . Ad Amsterdam, sul mercato, assiste all’attività di un cavadenti ambulante il quale compie le sue estrazioni con l’aiuto di strumenti quanto mai insoliti, come l’incavo di un cucchiaio o la punta di una spada . Ne è ammirato, si fa dare qualche lezione e….si mette a far pratica con i denti (sani!) dei suoi servi .

Distolse brutalmente Pietro da tanti interessi scientifici, un dispaccio urgentissimo con notizie inquietanti dalla capitale : quattro reggimenti di strelizi, all’ordine di lasciare Azov per la frontiera polacca, si erano ribellati e stavano marciando su Mosca .

Il dispaccio portava la data di un mese prima e Pietro si rese conto che, mentre lui lo leggeva, forse gli strelizi avevano occupato il Cremlino, posto Sofia sul trono e condannato lui per tradimento .

Decise immediatamente di tornare a Mosca . Fortunatamente, sulla via del ritorno, gli giunse la notizia che l’esercito strelizi era stato sbaragliato e la ribellione domata . Ormai però era sulla via del ritorno e decise di proseguirvi.

La grande Ambasceria, dopo 18 mesi, era terminata .

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Quando Pietro arrivò a Mosca, regolò i conti con gli strelizi ; in maniera decisa e brutale .

Gli strelizi ( quelli superstiti da una prima decimazione, avvenuta subito dopo la battaglia che li aveva visti sconfitti !) venivano, per prima cosa, sottoposti a tortura . Infatti Pietro riteneva ch’essi fossero stati sobillati e voleva sapere da chi ( da qualche potente boiaro ? dalla sorellastra Sofia ? dalla Chiesa Ortodossa ?….) . Quattordici camere di tortura furono costruite ( non a Mosca, perché la cosa si voleva tenere segreta per paura delle reazioni del mondo occidentale, ma ) a Preobrazensko . E lì non passava giorno ( salvo la Domenica considerata ….giorno di riposo ) che i prigionieri non fossero interrogati a colpi di Knut o con metodi ancor più raffinati di tortura ( ferri roventi, applicati ai piedi o alla schiena…) . Chi aveva già confessato per un capo d’imputazione veniva sottoposto a nuovo interrogatorio per un altro e così via . Chi sveniva o anche perdeva tanto le forze da non sentire neanche più la tortura, veniva affidato a un medico perché lo curasse e lo mettesse in grado di essere ulteriormente torturato . Fortunati potevano dirsi quelli che sotto i tormenti morivano o impazzivano o che riuscivano a procurarsi con le loro mani la morte .

Pietro, ossessionato dal sospetto, voleva interrogare personalmente i prigionieri che si pensavano coinvolti nella (supposta ) congiura e, roso dalla rabbia, spesso usava su di loro il suo grosso bastone da passeggio dal manico d’avorio.

Alla tortura seguivano le esecuzioni : a centinaia gli strelizi furono uccisi e i loro corpi appesi, come monito, alle mura di Mosca .

Korb – un austriaco del corpo diplomatico, a cui dobbiamo molte informazioni sulla Corte impe=

riale – nel racconto che fa di quelle tragiche giornate, ci dice che Pietro, acceso da furia vendicativa, costrinse molti boiari a fungere da carnefici : veniva loro data una mannaia e l’ordine di usarla contro un prigioniero . Alcuni, impugnando l’arma con mani tremanti, sbagliavano il colpo, aumentando così l’agonia del condannato . Anche Pietro, sempre secondo Korb, avrebbe di persona giustiziato più di un prigioniero . Ma questa notizia non viene accettata da molti storici ( specie russi ); anche se non è inverosimile : Pietro per principio non si sottraeva mai ai “lavori” a cui chiamava i suoi collaboratori .

Tali e tanti orrori spinsero il patriarca a recarsi da Pietro per chiedere, ostendendo l’immagine della Santissima Vergine, clemenza. Ma Pietro, risentito, rispose alle sue richiesta di misericordia con la dura affermazione che, se si voleva estirpare la cancrena che aveva infettato l’apparato politico, non c’era altro mezzo che il ferro e il fuoco . Mosca, disse, si salverà, non con la pietà, ma con la crudeltà . (Va peraltro detto che questa, se pur profusa in dosi così massicce, non gli servì ad ottenere la prova certa della paventata congiura ! ).

Era dunque Pietro un sadico ( come senza dubbio lo fu Ivan il Terribile) ? No, egli non fece mai il male per il gusto di far il male . E’ probabile che nel suo cuore si sentisse come un buon chirurgo, che deva far soffrire, se vuole far guarire il paziente ( nel caso, la Russia ) .

Certo non fu un uomo dal cuore duro e insensibile .

A parte la tenerezza che ebbe verso molti dei suoi parenti e dei suoi collaboratori ( il fratellastro Ivan, la sorella Natalia, la moglie Caterina, e , fra i suoi molti collaboratori, Mensikov, Lefort, Gordon…),vari momenti della sua vita testimoniano della sua capacità di essere colpito e commosso per eventi luttuosi e disgrazie, ad amici e parenti, occorsi .

Quando apprende della morte di Lefort, che gli fu amico dalla giovinezza e stretto collaboratore, Pietro, che sta lavorando in un cantiere, lascia cadere l’accetta che ha in mano, si mette a sedere su un tronco d’albero, si nasconde la faccia tra le mani e piange . Quando la morte allunga la sua ombra su un altro suo vecchio amico e collaboratore, Paluck Gordon, egli lo va spesso a trovare, gli vuole essere accanto al momento del trapasso, gli chiude gli occhi e lascia la sua casa in lacrime .

Pietro, insomma, come il popolo tra cui aveva avuto i natali, era un istintivo, forte nei suoi odi, forte nei suoi amori . E dimostrò molto acume psicologico Sofia, la vedova dell’elettore di Hannover, che ebbe ad ospitarlo ( al tempo della Grande Ambasceria ), quando disse : “E’ un principe molto buono e molto cattivo : il suo temperamento è esattamente quello della sua terra” .

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Il castigo esemplare inflitto agli strelizi, dimostrò alla Russia che il potere si trovava ora in mani forti ed energiche ; a cui non era opportuno ribellarsi . E ciò facilitò l’opera riformatrice che Pietro volle intraprendere appena tornato dalla Grande Ambasceria .

Il giorno del suo ritorno era andata a dargli il benvenuto al Cremlino una gran folla di boiari e di ufficiali ; piena di entusiasmo : finalmente il batjuska era di nuovo tra di loro . Ma tale entusiasmo fu in quello stesso giorno messo a dura prova da uno strano comportamento dello zar : gentile e sorridente egli cominciò, munito di un lungo e affilato rasoio da barbiere, a tagliare le barbe che gli venivano a tiro .

Lo choc tra i suoi sudditi fu immenso : per loro portare la barba non era un semplice fatto estetico, ma rappresentava l’osservanza di un preciso dovere religioso . I preti si rifiutavano di benedire gli uomini senza barba : li consideravano peccatori della peggior specie. Ed erano, non di un prete bigotto, ma di un sovrano anche troppo smaliziato , Ivan il Terribile, le severe parole : “Radersi è un peccato che nemmeno tutto il sangue dei martiri può cancellare . E’ uno sfregio all’immagine dell’uomo creato da Dio” .

Le resistenze alla nuova moda furono quindi molte . Ma furono infrante : chi avrebbe potuto resistere alla volontà dello zar ?! Fu imposto a tutti gli ufficiali di tagliare le barbe di chiunque incontrassero, senza far distinzioni di rango . Solo chi rassegnava a pagare una forte tassa poteva sfuggire al taglio . Ma anche chi sarebbe stato disposto a pagare tale tassa, come poteva osare di suscitare l’ira dello zar presentandosi a Corte con la barba ? Rapidamente il costume occidentale della rasatura si diffuse .

E i moscoviti, così come dovettero rinunciare alle loro barbe, così dovettero rassegnarsi a fare a meno dei loro tradizionali vestiti .

Il loro costume tradizionale era dato, da ampi pantaloni infilati in morbidi stivali, una camicia ricamata e, sopra, un caffettano con strascico, dal collo stretto di velluto, di satin o di broccato, e maniche molto grandi e lunghe . Quando il russo usciva indossava ancora un soprabito, leggero, d’estate, guarnito di pelliccia, d’inverno, dal collo alto e squadrato e con maniche tanto larghe e lunghe da toccare terra .

Pietro detestava tale modo di vestire, che intralciava i movimenti ed era oggetto di divertita curiosità per gli stranieri . Decise di cambiarlo ; e, come aveva fatto per le barbe, anche per i vestiti usò una tattica diretta e originale : durante un banchetto cominciò a tagliare le ampie maniche dei boiari a lui vicini, suggerendo agli esterrefatti suoi ospiti di adottare abiti alla tedesca o alla ungherese : “Non vedete come vi sono d’impaccio queste vostre maniche troppo larghe ?!” .

Un anno dopo ( 1700 ), Pietro trasformò tale suggerimento in obbligo per tutti i boiari, i pubblici ufficiali e i proprietari terrieri . Ancora un anno e venne dato loro l’ordine di indossare giacchetta, pantaloni, ghette, stivali e un cappello alla francese o alla tedesca e di far indossare alle loro donne, busti, gonne, capellini e scarpe all’occidentale . Modelli dei nuovi vestiti furono affissi nei giardini e nelle pubbliche piazze, perché fossero copiati. E, a cinque anni di distanza, l’ambasciatore d’Inghilterra poteva riferire da Mosca che “in questa grande città non s’incontra una sola persona di rango la quale non vesta alla tedesca” .

Non è che i cambiamenti, così energicamente imposti dallo zar ai suoi sudditi, avessero solo benefici effetti .

Infatti, è vero che le antiche mode presentavano degli inconvenienti ( chi può dubitare che gli abiti della tradizione non fossero ingombranti ?), però esse erano le più adatte a riparare il corpo dai rigidi inverni russi . Quando la temperatura scendeva a venti, trenta gradi sotto zero, i russi che ancora vestivano all’antica, nei loro caldi stivali, nei loro ampi mantelli che dalle orecchie scendevano fino ai piedi, con le loro folte barbe che proteggevano la bocca e la guancia, potevano ben guardare con commiserazione i loro connazionali occidentalizzati con le facce arrossate dal freddo e con le ginocchia esposte al vento gelido dai corti cappotti .

Più felici e meno controverse furono le innovazioni che Pietro introdusse nel calendario russo .

Da sempre i russi calcolavano gli anni, non dalla nascita di Cristo, ma dal momento in cui ( secondo loro !) era stato creato il mondo . Col risultato che si era determinato un macroscopico scarto tra il loro calcolo degli anni e quello occidentale : ad esempio, per gli occidentali Pietro era tornato dalla Grande Ambasceria nel 1698, per i russi, invece, nel 7206 .

Inoltre i russi festeggiavano il capodanno, non il primo di gennaio, ma il primo di settembre ( non era più logico che il mondo fosse stato creato in autunno, la stagione in cui il grano e altri copiosi frutti si offrivano maturi all’uomo, anziché in inverno, la stagione che vede la natura irrigidita dal freddo e come morta ?).

Ma lo zar voleva che i suoi sudditi si allineassero con l’Occidente anche nel calcolo del tempo e, appena ritornò dalla grande Ambasceria, decretò ( dicembre 1699 ) che l’anno seguente sarebbe iniziato il primo gennaio e avrebbe preso il numero 1700.

E naturalmente ….fu prontamente ubbidito .

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La personalità di Pietro I, si presenta per molti lati paradossale .

E così, paradossalmente, egli, che fu certamente uno degli zar più dispotici, fu di essi anche il più “democratico” .

Abbiamo già avuto occasione di vedere come egli amasse mischiarsi e vivere tra la gente comune . Qui dobbiamo aggiungere ch’egli detestava nella vita ufficiale “porsi al centro della scena” : in guerra, nelle operazioni navali o terrestri, non si riservava, come sarebbe sembrato naturale, il ruolo di comandante in capo, ma di semplice subalterno . E, come un qualsiasi ufficiale subalterno, partecipò all’entrata trionfale in Mosca delle truppe vittoriose sui turchi : in testa al corteo c’era l’ammiraglio della flotta vittoriosa, Lefort, con un mantello rosso bardato d’oro , e, dietro la sua carrozza, mischiato agli altri capitani di marina, camminava Pietro, riconoscibile solo per una penna bianca sul suo ampio cappello nero e…per l’altezza, a quella di tutti gli altri, superiore .

Per Pietro era un gran fastidio indossare gli abiti di gala, sedere sul trono, ascoltare gli ambasciatori appena accreditati : il respiro gli si faceva pesante, diventava rosso in faccia e sudava . A suo giudizio il cerimoniale era “una legge barbara e inumana, promulgata ai danni dei soli sovrani, per impedir loro di godere del sodalizio umano” . Di conseguenza, quando poteva, egli snobbava le cerimonie ufficiali ; e perfino accadde che si facesse sostituire nel ruolo di zar da un amico : quando gli ufficiali svedesi, sconfitti nella decisiva battaglia di Poltava, si inchinarono in segno di sottomissione davanti allo “zar” seduto sul palco imperiale, non sapevano che lo “zar” a cui si inchinavano era in realtà un amico di Pietro, Lefort, e che il vero zar se ne stava tranquillo ad assistere alla cerimonia in seconda fila .

E Pietro, come detestava le cerimonie e l’etichetta, così detestava la vita raffinata : egli fu sempre amante della vita semplice . Quando, durante la grande Ambasceria, visitò l’Aia, venne condotto, naturalmente, nel miglior albergo, dove gli fecero vedere una bella stanza con un magnifico letto . Li rifiutò, dichiarando di preferire una cameretta dell’ultimo piano, con un semplice lettino da campo . Ma anche lì, evidentemente, si sentiva a disagio e fuori posto, perché dopo un po’ pretese che lo conducessero dove alloggiavano gli altri componenti la Grande Ambasceria ; e, lì giunto, rifiutando di alloggiare in una camera a parte, si gettò a dormire, insieme ai servi dell’ambasceria, su una pelliccia stesa per terra .

Senza dubbio Pietro era un uomo coraggioso. Una volta, si abbatté sulla nave che lo trasportava un furioso nubifragio : l’equipaggio, che pur era composto da esperti marinai, si raccolse in preghiera, mentre il vascello minacciava di capovolgersi da un momento all’altro : l’arcivescovo passava tra gli uomini per dar loro gli ultimi sacramenti : tutto sembrava veramente perduto . Solo Pietro non si perdette d’animo, ma inchiodato al timone ( abbiamo già detto che era un provetto marinaio ) riuscì a condurre sana e salva la nave in porto . Nella gloriosa battaglia di Poltava, in cui la potenza svedese fu umiliata, Egli, incurante del pericolo, non cessò di dirigere e incoraggiare i suoi soldati stando nel più folto della mischia, nonostante che la sua alta statura lo rendesse facile bersaglio del nemico : fu colpito ben tre volte, anche se tutte le tre volte rimase miracolosamente illeso : una pallottola gli tolse dalla testa il cappello, un’altra gli si infilò nella sella e una terza, che lo raggiunse in pieno petto, fu deviata da un’icona d’argento che portava indosso .

Eppure quest’uomo così coraggioso nella vita di società si rivelava spesso, ecco un altro lato paradossale della sua personalità ! impacciato e timido .Due grandi dame ( le elettrici del Brandeburgo e dell’Hannover a cui abbiamo già accennato ) le quali ebbero ad ospitarlo al tempo della grande Ambasceria, riferiscono ch’egli, messo a sedere nel posto d’onore in mezzo a loro, fu sopraffatto dalla timidezza e si coprì la faccia con le mani mormorando in tedesco : “Non so cosa dire” . Solo il savoir faire delle sue ospiti riuscì a poco a poco a metterlo a suo agio e, allora….si scatenò : bevve con gioia, mostrò con soddisfazione alle sue ospiti le sue grandi mani rese callose dai lavori manuali in cui si dilettava, ordinò ai suoi nani di ballare, baciò sulla testa la decenne principessa Sofia Dorotea, futura madre di Federico il Grande, distruggendone l’acconciatura, abbracciò e baciò il quattordicenne principe Giorgio, il futuro re d’Inghilterra .

Indubbiamente lo zar era un istintivo . E, come molti istintivi, era di carattere imprevedibile e facile agli scatti d’ira : alla corte dell’elettore di Brandeburgo ( futuro re di Prussia ) giunse a scaraventare fuori della sala un dignitario tedesco, rischiando un incidente diplomatico.

Tuttavia all’occorrenza sapeva controllarsi , adeguandosi anche alla mentalità e alla psicologia del suo interlocutore . Quando, al tempo della Grande Ambasceria, dovette incontrare l’imperatore absburgico, Leopoldo I, i suoi ministri lo informarono del protocollo concordato con la corte imperiale : i due monarchi dovevano entrare nella grande sala simultaneamente da due porte che si aprivano alle opposte estremità e, camminando lentamente, dovevano incontrasi esattamente al centro, all’altezza cioè della quinta finestra . Ma Pietro, aprendo la porta e vedendo Leopoldo, si dimenticò di tutto e a gran passi lo incontrò all’altezza della terza finestra . Costernazione generale : l’etichetta era stata infranta . Ma Pietro seppe rimediare alla gaffe . Quando i due sovrani si appartarono nel vano di una finestra, i ministri austriaci videro, con sollievo e con soddisfazione, il giovane zar trattare con gran rispetto e deferenza il loro imperatore : lo strappo all’etichetta era stato (sapientemente ) ricucito . Nessuno dei regnanti aveva un carattere più agli antipodi di quello di Pietro, che Guglielmo, principe d’Orange, statolder d’Olanda e dei Paesi Bassi Uniti, nonché re d’Inghilterra con il nome di Guglielmo III : tanto era freddo e disciplinato l’Olandese, tanto era impulsivo ed estroverso il Russo . Anche nel fisico erano opposti : l’uno ( l’Olandese ) piccolo, con la schiena curva e il respiro asmatico, l’altro ( il Russo ) un gigante, esuberante e pieno di salute. Eppure Pietro seppe intessere più colloqui con Guglielmo, a dir il vero non fruttuosi e proficui, ma comunque sereni e senza incidenti : i due per lo meno si parlarono e riuscirono ad intendersi, anche se non a convincersi. Pietro era, insomma, un impulsivo, ma non un primitivo .

Va qui detto – perché può servire a spiegare la sua instabilità caratterologica – che Pietro venne a soffrire nell’età adulta di una malattia nervosa, probabilmente di natura epilettica, non grave, ma noiosa e spesso mortificante : quando era troppo turbato o stressato, la faccia gli si contraeva . Il disturbo, che in genere interessava solo la parte sinistra del viso, variava di intensità e di durata a seconda dei casi ( e, verosimilmente, a seconda dell’intensità dell’emozione che lo aveva provocato) . Qualche volta si limitava a un tic facciale della durata di pochi secondi, altre volte si aveva una vera e propria convulsione, che iniziava con una contrazione dei muscoli del collo ed era seguita da un ulteriore spasmo, che interessava tutta la parte sinistra della faccia, e dalla rotazione dell’occhio finché la pupilla scompariva nella parte superiore dell’orbita . Durante gli attacchi più violenti, si notava anche la disarticolazione motoria del braccio sinistro ; essi terminavano, allora, solo quando Pietro aveva perso conoscenza .

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In tutta la usa vita Pietro amò solo quattro donne : sua madre, la sorella Natalia, Anna Mons ( quella ragazza conosciuta frequentando il Quartiere tedesco, della quale già abbiamo fatto cenno ) e Caterina . Di tutte quattro, forse la più importante fu quest’ultima ; anche perché dette la vita a due figlie, Elisabetta e Anna , la prima delle quali diventò imperatrice, la seconda, madre del futuro imperatore Pietro III (che sposò Caterina la Grande e fu da questa spodestato ) .

Chi era Caterina ? Era la figlia di un contadino lituano . Rimasta orfana in tenera età, ebbe diversi “protettori” altolocati ; l’ultimo dei quali, Mensikov , era il più fidato amico e collaboratore di Pietro . E fu proprio frequentando la casa di Mensikov, che Pietro la conobbe e ne fece la sua amante .

Fu un grande e tenero amore . Caterina era affettuosa, allegra, appassionata, spontanea, di animo buono e generoso . Godeva anche di ottima salute e possedeva una grande vitalità : era una delle poche persone che riusciva a tenere il passo con l’enorme energia di Pietro .

Non era certo donna di cultura raffinata ; ma era dotata di un solido senso pratico e si esprimeva, come Pietro, con un linguaggio semplice, diretto e naturale . Fu non soltanto la compagna di letto di Pietro , ma la sua confidente e la sua amica : la persona con cui egli poteva discutere e condividere le sue aspirazioni e i suoi progetti .

Potendo contare sulla sua forte tempra contadina e volendo star vicina al suo uomo, accompagnò Pietro nel suo girovagare per il mondo : in Polonia, in Germania, in Danimarca, in Olanda . Per due volte lo seguì anche in guerra, senza lamentarsi della fatica, delle marce e dei pericoli .

Quando erano lontani, Pietro le scriveva ogni tre o quattro giorni, parlandole della sua solitudine, preoccupandosi della sua salute, rassicurandola della propria, insomma condividendo con lei le gioie e i dolori della vita .

Pietro la sposò dopo un lungo periodo di convivenza , e, l’aver elevato al trono degli zar una contadina illetterata e straniera, dimostra, non solo l’amore che le portava, ma anche il suo coraggio .

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La frenetica attività, politica e militare, di Pietro, volta a far entrare di pieno diritto la Russia nel mondo occidentale, raccolse consenso e suscitò ammirazione in non pochi ; però furono molti coloro che la giudicarono negativamente .

Anzi, si può dire che la maggior parte del popolo russo non amò quello strano zar vestito all’occidentale ( ma era poi un vero zar o un impostore ?dove si era mai visto uno zar mischiarsi col popolo e comportarsi con così poca dignità ? lo sbalordimento e la costernazione dei russi non erano minori di quelli che noi oggi proveremmo se vedessimo il Santo Padre girare …in abiti laici per le vie di Roma a fare shopping!) . Quello “strano zar”, poi, non stava mai tranquillo, non amava la pace, faceva un mucchio di guerre ( contro i turchi, contro gli svedesi, contro i tartari, contro i cosacchi…) ; guerre alla fine vittoriose, che aprirono alla Russia preziosi sbocchi al mare e difesero la prosperità e la tranquillità di estese regioni, ma guerre lunghe e costose .

La pressione fiscale sotto Pietro aumentò a dismisura. E la continua domanda di denaro si accompagnava a una continua richiesta di uomini . Nei nove anni che precedettero la vittoriosa battaglia di Poltava, furono arruolati nell’esercito più di trecentomila uomini . A parte ciò i contadini, a migliaia, furono assoggettati al lavoro coatto reso necessario dagli ambiziosi progetti di Pietro ( la fortificazione di Azov, la costruzione della base navale di Tagauroc, la costruzione di un canale che collegasse il Don al Volga ) .

“Da quando Dio ci ha mandato questo zar, non ci sono più giorni felici” – si lamentavano i contadini . E non erano solo loro a lamentarsi . “Che tipo di zar è costui ?” – si chiedeva il figlio di un nobile – Ci ha obbligati tutti al servizio militare coatto, si è presi tutti i nostri vassalli e i nostri contadini per farli diventare soldati . Non gli si può sfuggire . Siamo tutti perduti . Anche lui va sotto le armi, ma che non ci sia mai qualcuno che lo uccida ?! Se ci fosse qualcuno che lo uccide, la sarabanda finirebbe e la gente starebbe meglio” .

E Pietro, oltre i sacrifici in oro e vite umane, voleva cambiare il millenario costume di vita del popolo : non era troppo ? Per molti lo era : il malcontento era diffuso e trovò il suo punto di riferimento politico in Alessio il figlio di primo letto di Pietro .

Sì, perché Pietro si era sposato all’età ( e qui dobbiamo fare qualche passo indietro nel nostro racconto ) di diciassette anni . La moglie gli era stata scelta dalla madre (tra le più nobili famiglie boiare ) . Ma era stata una scelta infelice . Evdokija Lopukhina, così si chiamava la nuova zarina, era graziosa, aveva un gran senso del dovere, cercava in tutti i modi di compiacere il suo signore, però…a questi non andava a genio : come si suol dire, i due sangui non si incontravano .

Pietro ben presto la ignorò e quando si ricordò di lei fu solo per spedirla in convento a vestire l’abito monacale : era questo il sistema usato dai mariti russi del tempo per liberarsi di una moglie diventata sgradita e convolare a nuove nozze .

Tale coppia ( male assortita ) dette comunque un frutto : quell’Alessio, da cui ha preso le mosse questa nostra breve digressione .

Alessio aveva un carattere del tutto opposto a quello del padre . Questi era un uomo d’azione, proiettato nel futuro ; lui, invece, era una persona introversa, meditativa, attaccata alla tradizione e alla Chiesa Ortodossa .

Pietro cercò di “svegliare” e di occidentalizzare quel figlio degenere, mandandolo a studiare in Occidente, facendogli sposare un’occidentale, spronandolo continuamente a interessarsi ai problemi dello Stato, della strategia militare, della costruzione delle navi…insomma , al suo mondo . Ma non ottenne nessun risultato . Gli pose allora l’aut, l’aut : o cambi vita e carattere o ti fai monaco .

Alessio trovava impossibile cambiare il carattere che la natura gli aveva dato e, d’altra parte, non voleva neanche farsi monaco ( dato che, sì , leggeva la Imitazione di Cristo e altri libri religiosi, andava sempre alla Santa messa ed era insomma un fervente credente, ma, in questo come il padre, era anche…un peccatore : si ubriacava regolarmente e trascurava la moglie per un’amante di estrazione plebea, Afrosina ) .

Alessio cercò di sfuggire al dilemma espatriando e mettendosi sotto la protezione dell’imperatore d’Austria . Fu ripreso ; e lui e le persone sospette di averlo aiutato nella fuga subirono la tremenda ira dello zar .

Davanti a una folla immensa calcolata tra i duecentomila e i trecentomila spettatori, i sospetti complici furono barbaramente uccisi : chi fu lasciato morire lentamente sulla ruota dopo che a martellate gli erano state fracassate le ossa, chi, dopo essere stato frustato e tormentato con ferri roventi, fu lasciato per ben tre giorni su una panca munita di chiodi e infine impalato . Potettero dirsi fortunati coloro che furono subito decapitati .

Quanto ad Alessio, non servì a scampargli la tortura, l’essere figlio dello zar ; vi fu ripetutamente sottoposto . Deferito poi a un tribunale supremo, composto dei maggiori dignitari dell’impero, fu condannato a morte ; e la sentenza fu trasmessa a Pietro perché decidesse se eseguirla o no .

Il dilemma, che così veniva posto allo zar, era, non solo sul piano umano, ma anche sul piano politico, veramente drammatico . Pietro però fu sollevato dall’affrontarlo dalla morte di Alessio . Morte, dovuta, secondo la versione ufficiale, a un colpo apoplettico indotto dalla tortura e dallo stress psicologico ; morte ordinata e voluta dal padre, secondo voci che subito si diffusero ( e non mancò chi sostenne che fosse stato lo stesso Pietro a decapitare il figlio, poi disponendo che la testa fosse ricucita al corpo per occultare il suo gesto assassino ) .

Alla salma di Alessio furono tributate le esequie regali , e fu esposto nella bara aperta perché il popolo gli potesse rendere, secondo l’uso, l’estremo omaggio . Ma non ci fu lutto : il giorno dopo la morte dello zarevic era l’anniversario della battaglia di Poltava, e niente fu mutato nel programma delle celebrazioni . Pietro prese parte al banchetto e al ballo come se niente fosse .

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Nel 1725 lo zar aveva solo cinquantadue anni , ma era già un uomo vecchio : la sua magnifica costituzione era stata irreparabilmente danneggiata dagli sforzi e dal bere smodato .

Già da tempo soffriva di infezioni alla vescica e ai reni e aveva dei calcoli . Nel gennaio il suo male si aggravò . Il 23 di tal mese ricevette i Sacramenti e trovò la forza per ordinare un’amnistia e per raccomandare ai suoi ministri di proteggere gli stranieri .

Dopo pochi giorni, il 27, entrò in agonia e, in preda a fortissimi dolori, chiese più volte perdono dei suoi peccati . Disse anche . “Spero che Dio perdonerà i miei peccati per il bene che ho cercato di fare al mio popolo”. Quello che Puskin definì un “lavoratore infaticabile sul trono russo” entrò nel riposo eterno il 28-1-1725.

Oroscopo di Pietro il Grande

09 . 06 . 1672 00h 30m LMT 22h 00m GMT

Mosca Russia

Ascendente, Pesci Sole in Gemelli

Dai libri dello storico balza l’immagine di un Pietro I dalla volontà ferrea, che con spietata determinazione rivoluziona i costumi del suo popolo per trarlo , dal medioevo, alla modernità . Però la carta del cielo dell’astrologo pretende di apportare a tale immagine non poche correzioni .

Certo anche dalla carta del cielo risulta come caratteristica della personalità di Pietro la spinta rivoluzionaria . Vari sono gli elementi oroscopici che la testimoniano .

Prima di tutto Urano collocato proprio all’ascendente, e che, pertanto, va considerato la “dominante” dell’oroscopo e della personalità di Pietro, cioè il pianeta-chiave di quello e di questa . Ecco, infatti, il significato che il Sementovsky, nel suo famoso trattato di astrologia, ricollega a Urano in prima casa nel segno dei Pesci : “Aspirazione al rinnovamento del mondo che sa di utopia.

Questi individui dovrebbero limitarsi ad esporre le proprie idee e a riprodurre le visioni della loro immaginazione in opere puramente teoriche che in avvenire potrebbero essere utili all’umanità ; non dovrebbero invece mai tentare di mettere in pratica i propri sogni così lontani da ogni realtà . Facendolo correrebbero il pericolo di essere considerati come fantastici e messi in disparte, oppure di venir dichiarati nemici della società e come tali soppressi ( Robespierre ) “ . Noi sappiamo che Pietro effettivamente tale pericolo lo corse ( con la rivolta degli strelizi )anche se (più fortunato di Robespierre ) lo scampò.

Il significato di Urano, nel suo aspetto negativo di ribellione alla legge e alla tradizione, viene poi rinforzato, nell’oroscopo di Pietro, dalla quadratura del Sole con Giove – che il Sementovsky così interpreta : “Ribellione contro la legge, il costume, la tradizione . Giudizi superficiali e per lo più sbagliati sulle persone, cose e circostanze della vita”.

Anche la spietatezza, la mancanza di scrupoli e la brutalità di Pietro nell’attuazione del suo sogno di rinnovamento della società russa sono testimoniati da vari elementi. E principalmente da: Luna in quadrato con Giove – il cui significato secondo il Sementovsky è : “Mancanza di senso sociale, ma aspirazione al dominio dei propri simili . Pertanto tentativi fatti senza scrupoli, per arrivare a dominare singole persone o gruppi di individui . Il soggetto è temuto ma non amato” . Marte in opposizione a Giove – il cui significato secondo il Sementovsky è : “Volontà intermittente o mal impiegata (…) intemperanza e mancanza di ritegno nei discorsi e nelle azioni . Difesa senza scrupoli dei propri interessi e poca comprensione per le esigenze e preoccupazioni altrui . Urti con l’ambiente e l’opinione pubblica” . Giove in opposizione a Urano – il cui significato, sempre secondo il Sementovsky è : “Essere amorale . Dispregio cinico delle opinioni altrui . Spregiudicatezza nel parlare e nel fare” .

Se la spinta rivoluzionaria e la spietatezza di Pietro I trovano conferma nella carta del cielo, la sua

(pretesa) volontà ferrea non vi trova, invece, riscontri . Anzi vari elementi oroscopici ci dipingono un Pietro I dalle idee confuse, dal carattere dispersivo, debole e suggestionabile . Tali aspetti negativi della personalità di Pietro risultano dagli elementi che ora passiamo a indicare ( avvertendo che la loro interpretazione è da noi tratta, come il solito, dal Trattato del Sementovsky ) .

Luna in quadrato con Marte – interpretazione : “Progettare e agire impulsivo . Spesso gli ultimi fini dell’esistenza non sono chiari” .

Mercurio in quadrato con Saturno – interpretazione : “ Impedimenti nel parlare e nell’agire. Mancanza di autofiducia e diffidenza verso i propri simili” .

Sole in quadrato con Urano : “Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico . Progetti inattuabili ed ideali lontani dalla realtà della vita che ciononostante vogliono essere messi in pratica ad ogni costo, con molta insistenza e altrettanto entusiasmo” .

Sole nei Gemelli : i nati sotto tale segno sono, secondo il Sementovsky, irrequieti ( il loro sguardo, nelle parole del Sementovsky, ”vivace, inquieto, con curiosità scruta il mondo circostante” – si ricorda il lettore l’impressione che lasciò Pietro fanciullo a un ambasciatore ?) . Molti di essi “abbandonandosi – stiamo citando sempre il Sementovsky – alle più svariate occupazioni o in continua ricerca ricerca di nuovi campi di studio o di azione, rassomigliano allo scoiattolo” che fa girare la ruota della propria gabbia senza costrutto – questa descrizione non si adatta forse a Pietro I, che un po’ fa il mestiere del fabbro, un po’ quello del falegname, un po’ quello del tornitore, un po’ studia chirurgia, un po’ balistica e così via ?!

Ascendente in Pesci : i nati sotto questo segno vengono dagli astrologi descritti come persone piuttosto inclini a farsi trascinare, di carattere umile, del tutto prive di una volontà dominatrice e conquistatrice . Queste rispondenze potrebbero ritenersi non adeguate a chi, come Pietro I, fu uno zar temuto ( ma è anche vero che pure Nerone fu temuto : i sudditi ben a ragione temono anche i sovrani deboli, che sono però soggetti a stati d’ira durante i quali compiono efferatezze !) ; si deve però convenire che esse spiegano molti atteggiamenti di Pietro : Pietro che quasi sempre rifiuta il comando in capo della flotta e dell’esercito e si limita ad assumere ( lui, lo zar !) i gradi e le funzioni di un ufficiale in subordine ; Pietro che, dopo la vittoria sui turchi, non conduce in testa il corteo del trionfo, ma vi partecipa in coda, mischiato agli altri ufficiali (…) .

Volendo concludere, dal punto di vista dell’astrologia, l’attributo di “grande” dato a Pietro sembra del tutto immeritato : Pietro era un uomo che, sì, aveva una buona propensione per i mestieri manuali e tecnici ( Mercurio in sestile con Marte ), che, sì , aveva una spiccata originalità, un’immaginazione fervida ed esuberante, addirittura era un vero e proprio “vulcano ambulante” di idee e di energie (merito di Plutone e di Nettuno !), ciò che veniva a costituire il suo grande fascino e la sua attrattiva, ma era…del tutto incapace di regnare (come si accorse per sua disgrazia il popolo russo che con sollievo ne accolse la morte ).


Oroscopo e analisi grafologica della scrittura di Mussolini

Oroscopo
Come Napoleone I , Mussolini ha l’ascendente nello Scorpione e il Sole nel Leone : il suo temperamento ha quindi molto in comune con quello dell’Imperatore che esportò la rivoluzione in Europa. Però , mentre l’oroscopo di Napoleone I indica una personalità portata alla distruzione e alla autodistruzione , quello invece di Mussolini merita il giudizio del Von Klokler ( Corso di astrologia,vol II, Ediz. Mediterranee ) che di seguito riportiamo : “ L’oroscopo di Mussolini, ricco di trigoni e di sestili, ha un’impronta d’insieme fortemente armonica che grazie ai numerosi rapporti angolari, determina prestazioni socialmente positive”.
Riportiamo alcuni aspetti ( positivi e negativi ) che caratterizzano l’oroscopo di Mussolini .
Aspetti positivi:
Sole in Leone e in IX = “ Sforzi continui per conseguire il proprio intimo perfezionamento. Nobile concezione di vita che si rispecchia in tutte le azioni. Grande forza di attrazione e nel contempo la possibilità di vedersi circondato da una schiera di sinceri ammiratori disposti ad ogni sacrificio pur di mostrarsi degni dei legami spirituali col soggetto”.
Sole sestile Luna = “ Natura equilibrata. Facile ascesa sociale”.
Sole sestile Saturno = “ Persone serie con uno sviluppato senso del dovere”.
Luna sestile Mercurio = “ Buon senso. Senso sviluppato per le esigenze pratiche della vita”.
Mercurio in sestile con Saturno = “ Precisione e coerenza . Laboriosità”.
Venere congiunta a Giove = “ Armonia interna . Vita affettiva raffinata e nobile concezione di vita. Trattamento generoso e amorevole dei propri simili”.
Giove sestile Urano = “ Perspicacia. Interesse per molti essenziali problemi della vita, specie per questioni sociali”.
Giove sestile Nettuno = “Amore del prossimo. Molti amici ovunque nel mondo”.
Nettuno trigono Urano = “ Personalità eccezionale. Trovate e ispirazioni originali. Ampie vedute”.
Con ciò abbiamo riportato gli aspetti positivi della personalità di Mussolini; passiamo ora a indicare alcuni degli aspetti negativi della sua personalità:
Luna in Gemelli e in VII = “ Mentre la natura fondamentale di questi individui è incline ad abbandonarsi a moti sentimentali e atti impulsivi, la loro posizione sociale impedisce manifestazioni ed espressioni del genere costringendoli a ponderare con massima prudenza ogni decisione che intendono prendere, ogni mossa che sentono di dover fare. Pertanto il loro operare nei confronti del mondo esterno non può non essere motivo d’intimi conflitti che a loro volta li portano a commettere errori anche gravi e a compiere azioni irragionevoli poiché di quando in quando non riescono a superare il contrasto fra le forze in atto della propria natura”.
Mercurio in Leone e in IX = “ Una spiritualità messa in certo qual modo in mostra con gesta e parole persuasive, ma alla quale in realtà manca una vera profondità”.
Saturno in Gemelli e in VII = “Relazioni d’affari utili oppure – qualora si tratti di persone che hanno una parte nella vita culturale – rapporti d’amicizia con i rappresentanti maggiori di quest’ultima che si risolvono a vantaggio del soggetto”.
Urano in Vergine e in X = “ Azioni rivoluzionarie o comunque di vasta portata, specie sul piano sociale o politico . Dinamismo creativo che cela il pericolo di sopravalutare le proprie possibilità”.
Nettuno in Toro e in VII = “ Può essere indizio di aspirazioni romantiche protese verso la rivalutazione di valori tradizionali ; non è improbabile che il soggetto nel realizzare i propri intenti cada vittima di oscure mene o addirittura di un attentato alla vita; non deve fidarsi incondizionatamente di nessun collaboratore”.
Plutone in Gemelli e in VII = “ A volte questi individui magari si chiedono, in quale modo riescano a contenere, anzi a sopportare la pienezza della propria natura, tutta l’esuberanza di pensieri, di idee, d’iniziative, ecc. che li muovono. Il soggetto finisce per elevarsi molto al di sopra dell’ambiente in cui è nato, ma all’inizio dell’ascesa sociale è incline ad adoperare mezzi indegni” .
Luna congiunta a Saturno = “ Impedimenti psichici, diffidenza e a volte incapacità assoluta di esternare il proprio intimo, spingono questi individui nella solitudine o li isolano anche in mezzo ad una famiglia o comunità. Tutti gli interessi e tutte le aspirazioni si concentrano sulla persona stessa del soggetto ; solo il suo io ha importanza e valore”.
Marte congiunto a Saturno = “ Testardaggine e boria. A volte pare che l’energia di questi individui sia paralizzata, ogni attività mentale spenta. S’impuntano a non voler vedere certe cose, si rifiutano a pensarci sopra. Spesso odiano i propri simili e finiscono per odiare se medesimi”.
Riportiamo di seguito i giudizi di due grandi astrologi su Mussolini.
Giudizio di Von Klokler (Corso di astrologia, vol. II , Edizioni Mediterranee) : “L’oroscopo di Mussolini, ricco di trigoni e di sestili, ha un’impronta d’insieme fortemente armonica che, grazie ai numerosi rapporti angolari, determina prestazioni socialmente positive”.


L’altro giudizio, di cui non ci risulta l’autore, è interessante perché fu pubblicato nelle Effemeridi di Raffael del 1927 e prevede la morte violenta del Dittatore. Eccolo ( nella nostra traduzione dall’inglese): “Ogni tanto e di nuovo il mondo vede dei Dittatori, Napoleoni e Kaisers sorgono tra di noi, e c’è una curiosa affinità nelle loro stelle. L’osservazione mi ha convinto che questi potentati hanno un forte legame tra le loro stelle e il meridiano del loro paese. Il meridiano dell’Italia nel tempo presente è sotto l’influenza del 20° grado dei Gemelli e della grande stella fissa “El halh” della natura di Marte. Una comparazione delle due figure è illuminante per il destino dell’Italia perché Mussolini ha Marte dominante in congiunzione con Saturno e Luna nel segno dell’Italia (Gemelli). Nel cielo di natività del Duce, Saturno, Sole e Luna ci si presentano in quadratura con Urano, così che noi possiamo prevedere una resurrezione politica del pugno di ferro, del sangue e del ferro nelle acque del mediterraneo e in definitiva egli porterà guerra, disastri e rovina al suo paese. Per il momento ha il suo Medio cielo prossimo alla congiunzione di Venere e Marte, ciò che gli apporterà aiuto, potere e rimarchevole successo e popolarità – il che è però per il momento. Di nuovo il pericolo di morire assassinato starà accanto a lui. Giove e Venere influenzano il suo ottavo e nono angolo ed egli avrà prestigio, successo ed influenza tramite segrete alleanze con la Grecia e le nazioni balcaniche. E’ probabile che egli faccia qualche fortunato raid alle spese dei Turchi, ciò che incrementerà la sua popolarità nel suo paese. Questi successi probabilmente saranno tali da portarlo a perdere il senso della realtà; e il culmine del suo egotismo sarà contrastare le Potenze di Inghilterra e di Francia, dato che il suo Saturno è congiunto con la stella Aldeharon dell’Inghilterra, mentre la sua quadratura Marte – Urano cade sul meridiano della Francia (….) Egli incontrerà una morte violenta” .

Mussolini: analisi grafologica di P. Moretti
Padre Moretti valuta l’intelligenza del soggetto la cui scrittura è sottoposta alla sua analisi ( e che noi sappiamo essere Mussolini) come “quantitativamente nella media ; qualitativamente di osservazione raffinata in modo del tutto originale”. La originalità del “soggetto” è vista dal Moretti “soprattutto nella discussione”: in questa “l’avversario, che non abbia la facoltà di penetrare la psicologia degli altri, si trova a disagio davanti a lui, in quanto che il soggetto esagera nella fortezza dell’animo, mentre se l’avversario è profondo nella pratica psicologica non può non scoprire che il soggetto è emotivo e impressionabile, e puntando sull’impressionabilità di lui riesce a distruggerlo” .
Altri giudizi del Moretti sul “soggetto” :
“Il soggetto gusta ogni sorta d’arte : letteratura, musica, pittura”; “Riesce per studi sociali ed ha belle doti di governo, specie per iniziativa ed organizzazione” .
Il suo carattere è “fondato su di un temperamento portato fortemente all’ambizione. L’ambizione è di supervalere, di comandare, di imporre la propria idea, di stroncare l’idea altrui, di riuscire a conquistare il sesso femminile. Nell’imporsi tende a usare di audacia; se l’audacia fallisce, cade nella paura”.
“Per tendenza rifugge da atti violenti, in quanto è sopraffatto dalla impressionabilità circa gli effetti che ne scaturiscono; ma l’ambizione in lui fortissima di arrivare a uno scopo può renderlo violento, nascondendo e riversando sugli altri la sua violenza con l’arte di chi sa fare” .
Peraltro “ è capace di sentimenti delicati, specie quando non entrano in gioco le sue passioni”.
“E’ tipo molto affettivo e anche idealista”. Però “tende a non essere sincero con se stesso e ad adoperare la sincerità o insincerità secondo che detta l’opportunismo”.
Conclude P. Moretti: “Temperamento molto complesso. Uomo di grandi doti e di grandi difetti, e nei difetti ha molte attenuanti”.


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Oroscopo di Cavour e analisi grafologica della sua scrittura

Oroscopo
10.08 .1810 – 17h 45m LMT – 17h 14m GMT
Torino, Italia
Ascendente Capricorno, Sole in Leone
Una qualità l’astrologo deve senza dubbio riconoscere a Cavour: quella della volontà: una volontà seria e tenace, che non si lascia scoraggiare dagli ostacoli che incontra, ma risolutamente e perseverantemente opera per superarli. E infatti in tale senso parlano numerosi elementi oroscopici; di cui di seguito riportiamo i principali con il commento del grande Sementovski : Marte trigono Saturno (= “Sopportare e non farsi scoraggiare, tale potrebbe essere il motto di questi individui”);- Sole trigono Saturno(= “Serietà, capacità di concentrazione, profondità di pensiero);- Sole trigono Luna.(= “Dinamismo psichico e fisico. Forza eccezionale di resistenza e di attrazione”);- cuspide della decima casa in Scorpione (= “Risoluto perseguire le mete prefisse”);-Luna trigono Mercurio (= “Concordanza fra sentire, pensare, agire. Operare risoluto”) .


Dunque Cavour era un uomo politico dotato di grande volontà ; ma era anche un politico “lungimirante”, o, almeno , in possesso di un chiaro disegno politico ? Su questo punto l’astrologo ha i suoi dubbi. Dubbi che nascono dal fatto che, accanto a qualche elemento che indica (in Cavour) intelligenza e anche senso pratico (Saturno congiunto con Nettuno ; – Marte sestile a Giove) , ve ne sono molti altri che ci mostrano il grande ministro piemontese nell’aspetto (eretico per gli storici) di un uomo dalle idee parecchio confuse: un uomo in posizione, sì , critica verso il mondo che lo circonda (Sole opposto a Nettuno) ma senza nessuna idea chiara sul come migliorare questo mondo. E così nella carta del cielo di Cavour troviamo ( e riportiamo sempre con la spiegazione del Sementovski) : Sole in quadrato con Urano ( = “Spirito irrequieto che solo difficilmente si adatta a pensare in modo conseguente e logico”) ; – Sole quadrato con Giove (= “ Giudizi sbagliati, apprezzamenti inadeguati delle cose, persone e circostanze della vita, per lo più perché il soggetto s’impunta su opinioni preconcette o si fa guidare da incontrollabili moti d’animo”) ;- Mercurio quadrato Urano (= “Spirito irrequieto. Attività mentale intensa e continua ma affatto sistematica”).
Se a tali elementi negativi aggiungiamo : Venere quadrata a Plutone ( = “Impuntature per vanità o testardaggine, su conoscenze o concezioni erronee”); Sole in congiunzione inferiore ai 3 gradi con Mercurio (= “Persona superba e intollerante” );- Marte quadrato a Urano (= “Fanatismo e intolleranza. Modi di fare privi di ogni scrupolo”) ;- Giove opposto a Saturno (= “Mancanza di sincerità e spesso addirittura disonestà”) , ebbene, se aggiungiamo alla “confusione di idee” tutti gli elementi negativi ora riportati, ne balza fuori il quadro di un ministro malfidato , di cui Vittorio Emanuele II giustamente diffidava e che molto opportunamente teneva “sotto controllo” (Sole di Cavour in campo settimo nel Leone = “Mentre il soggetto è convinto di essere superiore al proprio compagno, in realtà viene dominato o guidato da quest’ultimo, ciò che si risolve però a tutto suo vantaggio”).
Ma allora che cosa assicurò il successo a Cavour (oltre al fatto di muoversi…..in direzione della corrente) ? Risposta: oltre alla sua forte volontà (di cui si è già detto), il suo saper muoversi in società, la sua capacità di procurarsi le amicizie giuste. Ciò che dalla carta risulta da: Bilancia in campo nono (= “Queste persone appartengono alla categoria di quei beniamini della buona sorte che senza fatica e ovunque acquistano simpatie”);-Mercurio in Leone e in casa ottava (= “Il soggetto volentieri si presenta in veste di oratore al pubblico : pertanto possibilità di agire sul piano politico”) ;- Sagittario in campo XI (= “Relazioni con ambienti influenti: Amicizie con persone altolocate da cui si spera trarre vantaggi”).

Cavour : analisi grafologica di P. Moretti.
All’analisi grafologica l’intelligenza di Cavour appare “quantitativamente superiore; qualitativamente molto originale”.
Secondo il Grafologo chi ha una scrittura come quella di Cavour: “Potrebbe essere un conferenziere magnifico, che incanta col concetto, non con la forma” ;-“Tende in tutte le cose alla sintesi” e “prima di agire ha tutta la visione dell’opera da compiere”.;- “Quando stabilisce di raggiungere uno scopo esamina tutti gli elementi” e, se ritiene che lo scopo è raggiungibile, agisce con “fermezza”,- Se durante la fase esecutiva della decisione “incontra difficoltà non previste, possiede l’abilità di virar di bordo, disponendo le cose in modo che l’animo altrui si sente vinto” ;- “Ha un’autostima giustificata e pronta ad ammettere le sue deficienze, ma pronta al tempo stesso a mettere in rilievo le proprie facoltà” ,- “ E’ quasi in perfetto equilibrio tra la tendenza alla inflessibilità e alla remissività” ,- “E’ buono ed è pronto ad accorrere dove ci sta bisogno” ;- “Tende al sarcasmo e all’ironia, però sempre cercando di non erigere barriere fra sé e chi viene preso di mira”.


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Vita e oroscopo di Federico II

Colui che passerà alla storia come Federico il Grande venne alla luce a Berlino in una Domenica del 1712 ( e precisamente il 24-1-1712 ) .
Suo padre, Federico Gugliemo, era il secondo principe, dell’illustre e antica casata degli Hohenzollern, che poteva fregiarsi del titolo di re . A ottenerlo (dall’imperatore ) era stato con sottile diplomazia il nonno ( per bene intenderci, il nonno di Federico il Grande), Federico I – il quale, però, innamorato, come la maggior parte dei principi tedeschi del tempo, della cultura francese e volendo imitare gli splendori della corte di Versaille, aveva dissestato le finanze dello Stato con acquisti inconsulti di cose superflue (carrozze di lusso, addobbi, argenterie, diamanti…) e circondandosi di una pletora di parassiti ( cortigiani, paggi, ciambellani e – poteva mai mancare in chi voleva imitare il re sole ? – una favorita ).
Tutto questo ciarpame era stato spazzato via, alla sua morte, dalla mano di ferro del padre Federico Guglielmo ( succeduto al debole nonno) : argenterie, carrozze, ornamenti, erano stati venduti per rinsanguare le finanze pubbliche ; il personale della Corte era stato ridotto ai minimi termini : a quanto era necessario per un re militare e spartano . Quale ambiva essere e quale era Federico Guglielmo ; il quale, peraltro, era una figura complessa, in quanto a indubbi difetti ( era brutale, avaro, prepotente, eccessivo mangiatore e bevitore….) sapeva unire preziose virtù : era energico, meticoloso, leale, animato da un forte senso del dovere verso il suo Casato e verso il popolo su cui era stato chiamato a regnare .


Presente dappertutto, conosceva ogni villaggio del suo regno, riusciva a sapere tutto di tutti, esigeva spietatamente da ciascuno, civile, militare o funzionario, che facesse il proprio dovere ( che egli prescriveva minutamente !) reprimendo con mano terribile ogni manchevolezza . Per l’esercito aveva le cure di un padre affettuoso ; e soprattutto tra i soldati – che conosceva, si può dire, ad uno ad uno – amava vivere : era il “re sergente” . Peraltro era tutt’altro che un bellicista , solamente sapeva di vivere in un secolo di ferro e voleva poter difendere il suo regno : “La mia massima – diceva – è di non nuocere a nessuno, ma di non lasciare menomare me stesso” .
Aveva sposato Sofia Dorotea di Hannover, figlia di Giorgio I, re di Inghilterra, che, continuamente incinta, gli aveva dato quattordici figli, di cui dieci erano sopravvissuti – di essi la primogenita era Guglielmina , il secondogenito , con tre anni di differenza, Federico .
Sofia Dorotea, istruita, ma pettegola e vanitosa, detestava lo stile di vita militare di cui si compiaceva il consorte e sognava lo spirito e la galanteria della Corte di Francia : essa parlava così bene il francese , che un rifugiato ugonotto le aveva chiesto se capiva il tedesco .
Quale simpatia poteva sussistere tra questa donna raffinata e il suo rozzo consorte, che ( memore dei disastri che aveva causato la francofilia del padre ) detestava tutto ciò ch’era francese : lingua, letteratura, arte, abbigliamento, cucina ; e il cui ideale era dormire sulla paglia d’un granaio, lavarsi all’alba in una tinozza, vestire un’uniforme semplicissima, ispezionare fattorie, libri di contabilità e soldati, rimpinzarsi a mezzogiorno di grossolani piatti tedeschi, russare il pomeriggio sotto un albero e consacrare la serata al tabacco, agli scherzi grossolani e soldateschi e al bere ?
Sofia Dorotea si guardava bene dal contraddire il regale sposo, ma continuamente tesseva piccoli intrighi che, quando venivano scoperti, provocavano in Federico Guglielmo scene di un indescrivibile furore . essa allora si sfogava con le persone del suo ambiente e con i figli e…ricominciava daccapo .
Federico Guglielmo avrebbe voluto far del figlio un saggio governante e un buon soldato : egli era riuscito, con la sua grande energia e laboriosità, a restaurare lo Stato lasciato decadere dall’indolenza del padre ; aveva fatto rifiorire l’industria e l’agricoltura, accogliendo nel regno i perseguitati ugonotti, riformando il sistema fiscale ;aveva con accorte misure creato un efficiente e poderoso esercito : non poteva permettere che un erede imbelle distruggesse la sua opera !
Ed invece vedeva che il piccolo Fritz non cresceva come egli avrebbe desiderato : era pigro, sognatore, svogliato, capriccioso, delicato di salute . Con lui, poi, era troppo riservato e chiuso, come se contro lui covasse una segreta ostilità . Ed era vero : il piccolo Federico subiva l’influenza della madre e della sorella ( maggiore ) , Guglielmina, a cui era legatissimo ( come lei a lui : Guglielmina nelle sue memorie scriverà : “Non c’è mai stato un affetto come il nostro, l’uno per l’altra…Ho amato mio fratello così appassionatamente da cercar sempre di fargli piacere”) .
Dalla madre e dalla sorella Federico aveva imparato ad amare l’arte, la musica, la cultura francese : egli in francese, e non in tedesco, abitualmente si esprimeva ( e continuerà ad esprimersi per tutta la vita: quello che per i nazionalisti d’oltr’alpe è stato il “vindice delle libertà tedesche”, amerà pochissimo la lingua tedesca !) ; di conseguenza era portato a considerare il padre come un rozzo tiranno .
Questi, da parte sua, s’infuriava quando vedeva il figlio con libri francesi e ancor più quando lo scopriva a suonare il flauto . Strumento, questo, che la madre, con uno dei suoi soliti sotterfugi, gli aveva fatto imparare, facendo venire di nascosto dalla Corte di Sassonia un rinomato maestro .E si racconta – e l’aneddoto merita di essere riportato perché illustra l’atmosfera che si era creata tra madre e figlio, da una parte, e padre, dall’altra – che una volta, udendo il re avvicinarsi, Quantz, il maestro venuto dalla Sassonia, si nascose in un armadio e Federico rapidamente cambiò l’abito francese con un cappotto militare, però senza riuscire o dimenticandosi di nascondere i volumi francesi : il re li vide e ordinò ai domestici di portarli a un libraio ( meglio venderli che bruciarli !). Ma i domestici parteggiavano, non per il burbero padrone, ma per il raffinato padroncino : si guardarono bene dall’eseguire l’ordine ricevuto, si limitarono a nascondere i libri e in breve li restituirono al principe ; il quale continuò imperterrito nelle sue letture proibite e nei deliziosi duetti con l’amabile sorella Guglielmina : lui suonava il flauto, lei, il liuto .
Il re fece del suo meglio, con rabbia e con affetto, per fare del ragazzo un guerriero . Lo condusse con sé a battute di caccia, gli ordinò di vivere all’aperto, lo avvezzò al pericolo e al cavalcare rischioso, lo costrinse a vivere di un tozzo di pane e di poco sonno, gli affidò il comando di un reggimento, gli insegnò ad addestrare i suoi uomini, a montare una batteria e a sparare il cannone . Ma i risultati furono deludenti : il ragazzo imparava, sì, perché era intelligente, ma era svogliato, non metteva in quel che faceva la passione, l’entusiasmo .
E così la tensione tra padre figlio cresceva . Guglielmina nelle sue Memorie scriverà: “L’ira del re contro mio fratello e me stessa giunse a un culmine tale che, a eccezione delle ore dei pasti, eravamo banditi dalla sua presenza” . Una volta il re “gettò – è sempre Guglielmina che racconta – il suo piatto in testa a mio fratello, che sarebbe rimasto colpito se non si fosse piegato da una parte ; un’altra, lo scagliò contro di me, che mi sottrassi fortunatamente ; quindi torrenti di contumelie seguirono…mentre mio fratello e io gli passavamo accanto per uscire dalla camera, egli ci colpì con la sua stampella . Non gli capitò mai di vedere mio fratello senza minacciarlo col bastone” .
A Potsdam, nella primavera del 1730, se dobbiamo credere a quanto Federico riferì a Guglielmina, il re tentò addirittura di ucciderlo : “Mi mandò a chiamare una mattina . Quando entrai nella camera, mi afferrò per i capelli e mi gettò per terra. Dopo avermi battuto con pugni, mi trascinò alla finestra e mi legò alla gola la corda della tenda . Ebbi per fortuna il tempo di sollevarmi e di afferrargli le mani, ma mentre egli mi serrava con tutta la sua forza la corda alla gola, sentii d’essere sul punto di venire strangolato, e urlai invocando aiuto . Un paggio si precipitò in mio soccorso, e dovette usare la forza per liberarmi” .
Xxxxxxxxxxxxxxx
Federico, giunto ai diciotto anni, decise di sottrarsi all’oppressiva autorità paterna fuggendo in Inghilterra, alla corte dello zio Giorgio II .
Egli mise a parte del suo progetto un giovane ufficiale, il tenente venticinquenne Giovanni Hermann Von Katte ( figlio e nipote di due alti e influenti ufficiali ) .
Katte era colto, educato e brillante ; e devotissimo al principe. Dapprima cercò di dissuadere Federico, poi, in un drammatico colloquio che ebbero una notte nel bosco di Potsdam, gli giurò che non lo avrebbe mai abbandonato .
Nel progetto di fuga venne anche coinvolto un paggio, Keith . Questi, però, a un certo punto si lasciò prendere dalla paura e rivelò tutto .
Il furore del re non ha limiti : egli ( è il 12-8-1730 ) fa trasportare Federico alla fortezza di Kustrin ; quella di Spandau, troppo vicina a Berlino, non essendo giudicata abbastanza sicura : “E’ molto furbo –scrive il re – ed userà mille astuzie per evadere” .
Nella fortezza Federico viene assoggettato a una restrizione durissima comportante un isolamento completo . E’ lo stesso padre a stabilire minuziosamente le regole della carcerazione : il principe va vestito di un abito bruno da prigioniero ; alle sette di sera va privato della luce ; tre volte al giorno la porta della sua cella può essere aperta, ma per soli quattro minuti ; i servi senza pronunciare parola devono posargli davanti il cibo tagliato preventivamente a pezzettini ( in quanto al prigioniero non vanno date, evidentemente per timore di un suo gesto disperato, le posate ) .
Viene nominata una Commissione d’inchiesta ; la quale come primo suo atto sottopone a Federico 185 domande vergate dallo stesso re .
Questi mira chiaramente ad ottenere dal figlio una spontanea rinuncia ai diritti successori, facendogli balenare la minaccia di un’esecuzione capitale .Una domanda è in tal senso espli=
cita :“Poiché, violando il vostro onore, vi siete reso indegno di succedere al trono, volete rinunciare alla successione con un’abdicazione che sarà confermata da tutto il Romano Impero, per salvare la vostra vita ?” .
Il giovane principe non perde la testa, non si piega, e alla domanda evasivamente risponde : “Io non annetto molto valore alla vita . Ma la Maestà Vostra non vorrà usare così poca misericordia verso di me” . Peraltro ammette di aver mancato e chiede perdono .
La Commissione prende atto della confessione del principe, ma anche dei gravi torti e delle provocazioni del re . I Paesi Bassi, la Svezia, l’Inghilterra, l’Elettore di Sassonia e perfino l’Imperatore intervengono a Berlino per evitare una tragedia . L’affare non può oltre protrarsi : il 21 Settembre il “colonnello Federico” viene sottoposto a Consiglio di guerra per “tentativo di diserzione” unitamente al paggio Keith ( che però è riuscito a fuggire in Inghilterra ) e al tenente Katte .
Il Consiglio il 27 Settembre decide : condanna a morte Keith e alla prigione perpetua Katte .
Quanto al principe, il Consiglio è unanime : dichiara che i suoi membri, come vassalli e sudditi, sono incompetenti a giudicare sul figlio e sulla famiglia del re .
Federico Guglielmo impreca contro la “viltà” dei giudici ( che invece hanno dimostrato coraggio e senso dell’onore andando contro gli evidenti desideri del loro sovrano ) ; ordina che il Consiglio si riunisca di nuovo e “giudichi altrimenti” . Il Consiglio, riconvocato, non si sposta di un millimetro dalla sua precedente decisione .
Allora il re, che non osa modificare la sentenza del Consiglio per quel che riguarda il figlio, la modifica però per quel che riguarda Katte : condanna questi alla pena capitale aggiungendo alla sua decisione questa “istruzione” caratteristicamente “prussiana” : “Informando Katte della sua condanna, il Consiglio faccia anche presente che Sua maestà è molto afflitto, ma che è meglio vederlo morire piuttosto che vedere la giustizia abbandonare completamente il mondo” .
Il 6 Novembre, alle cinque del mattino, Federico viene svegliato da due ufficiali : essi gli annunciano che Katte sta per essere giustiziato e ch’egli deve essere testimone dell’esecuzione . “Quali orribili notizie mi portate !” – esclama il giovane – “Signore Gesù : prendete piuttosto la mia vita !” .
Già davanti ai giudici Federico aveva dichiarato risolutamente e fermamente di assumersi la responsabilità degli errori di Katte . Lo ripete anche ora, si scioglie in lacrime, si dichiara disposto a rinunciare alla successione per salvare l’amico.
A nulla serve . Scoccano le sette, l’ora dell’esecuzione . Federico, in ottemperanza ad un preciso ordine del re, viene condotto alla finestra della cella . Vede l’amico che, ricevuta la comunione, in piedi, calmo e coraggioso, ascolta, in mezzo ai soldati, la lettura della sentenza . Gli manda un bacio, gli grida di perdonarlo . Katte posa il dito sulle labbra, s’inchina rispettosamente e risponde che non ha nulla da perdonare . Poi, si sottomette al colpo fatale .
Federico cade svenuto . Quando rinviene, delira ; e nel delirio vede Katte in piedi davanti a lui .
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Una fibra meno forte sarebbe stata stroncata dalla “cura da cavallo” ( il processo, la prigione , l’uccisione del miglior amico), che il re aveva prescritta, per raddrizzare e rafforzare il carattere del suo erede . Federico invece reagisce e reagisce bene : si può dire che, dal momento del suo imprigionamento, inizia in lui una lenta ma radicale evoluzione, che a poco a poco farà emergere e predominare in lui l’aspetto tedesco e hohenzollern della sua natura : la concretezza, l’attitudine ad una visione realistica e chiara delle cose, il coraggio, il senso del dovere verso il proprio Casato e i propri sudditi .Certo, accanto a tale aspetto della personalità, rimarrà quello, diciamo così, artistico-filosofico : Federico continuerà a scrivere poesie, a suonare il flauto, a tenere brillanti conversazioni con Voltaire e altri “spiriti illuminati” ; ma tale secondo aspetto si ridurrà sempre di più, così come si ridurrà sempre più la stima ch’egli tributerà ai “filosofi”, a cui sempre più sarà portato a preferire i soldati e gli uomini d’azione .
Tale evoluzione, però, non avviene tutta d’un colpo .
Appena riavutosi dallo choc dell’esecuzione di Katte, Federico si convince solo che, se vuole uscire dalla penosissima situazione in cui si trova, deve fingere d’essere cambiato, di essere diventato come il padre lo vuole . E, per raggiungere tale scopo, mette in opera tutti gli artifici, che un cervello fecondo può escogitare e un attore senza scrupoli inscenare . Fa ampia contrizione per il passato e promette un completo ravvedimento per l’avvenire . Manda tante lettere quanto il padre consente a riceverne e tutte ripetono lo stesso ritornello : ch’egli è in realtà un uomo nuovo, un secondo Federico Guglielmo, che adora tutto ciò che aveva bruciato e brucia tutto ciò che aveva adorato . Insomma Federico, da ribelle, si trasforma in ipocrita ( si, però un ipocrita che a poco a poco finirà per credere in quei valori a cui prima solo per ipocrisia aderiva ) .
Il furbo re non si lascia ingannare ; però a poco a poco allenta la severità della prigionia . Già una ventina di giorni dopo l’esecuzione di Katte, concede al figlio ribelle di lasciare durante il giorno la sua prigione per partecipare alle sedute della “Camera della Guerra e dei Domini” locale : vuole ch’egli impari il funzionamento della macchina amministrativa e i problemi che l’amministrazione di una provincia pone alla sagacia dei suoi governanti ( i problemi che è necessario superare per promuovere lo sviluppo dell’agricoltura, per ottenere una sempre più equa e redditizia tassazione….) .
Peraltro Federico partecipa alle sedute della Camera come semplice “consigliere aggiunto” , cioè in posizione sostanzialmente subordinata, e conserva il suo status di recluso . Tutti i libri gli sono tolti, ad eccezione della Bibbia e del Vero Cristianesimo ( un libro di edificazione morale, molto apprezzato in quel tempo ) . Geometria e arte delle fortificazioni, classificate tra le distrazioni, gli sono proibite ; e proibiti naturalmente gli sono il giuoco, la musica, la danza, gli abiti estivi e i pasti fuori cella . Tre nobili sono incaricati della sua sorveglianza , con l’assoluto divieto di conversare con lui su argomenti che non siano “la parola di Dio, la costituzione del Paese, le industrie, la polizia, l’agricoltura, i conti, i contratti d’affitto e i processi” .
Federico è costretto da tali severe limitazioni a concentrare il suo interesse sui problemi (spesso complicati ) che l’ attività amministrativa del Paese incontra e tale interesse, prima dettato dalla necessità, a poco a poco si alimenta della curiosità e trasforma Federico in un attento e diligente partecipe delle sedute della Camera .
Informato dei progressi del ribelle, il padre severo un bel giorno ( precisamente il 15-8-1731 – dunque quasi 10 mesi dopo l’esecuzione di Katte ) si reca personalmente a Kustrin per guardarlo, com’egli dice, “nel bianco degli occhi” .
Lo fa venire alla sua presenza e in pubblico gli infligge un severo rimprovero, non scevro da rude affetto : Federico si umilia, bacia i piedi del padre, gli chiede perdono.
Questo l’ottiene, ma non ottiene, dal sempre sospettoso genitore, la libertà totale : solo di un suo ampliamento potrà beneficiare : egli ora potrà recarsi a desinare in città due volte alla settimana invitando due persone ( non di sesso femminile ) .
La vita all’aria aperta nella campagna, il diretto contatto con la viva realtà del Paese , accentuano nel principe la sua positiva trasformazione : sia nel fisico, che diventa più robusto, sia nella personalità, che diventa sempre più sensibile ai doveri, che la sua alta posizione gli impone verso i futuri sudditi e verso il suo Casato .
Quando egli aveva cominciato ad assistere ai lavori della Camera, le sue conoscenze teoriche e pratiche, circa l’amministrazione dello Stato, circa la storia e le future prospettive della sua dinastia e del regno prussiano, erano nulle . “Il principe – scriveva, con evidente meraviglia e contenuta riprovazione, il direttore della camera – conosce alla perfezione la Poetica di Aristotile, ma non sa se i suoi antenati hanno acquistato Magdeburgo giocando a carte o in altro modo” . Ma ora – grazie anche all’ottima influenza del presidente e del direttore della Camera, di cui è costretto ad ammirare la competenza, la probità, il senso di servizio verso il Re e la Comunità – il suo orizzonte si allarga .
Da quell’angolo di provincia, la Monarchia comincia ad apparirgli nel suo vero aspetto : non già come il dominio di un padrone irascibile che conviene placare con l’astuto inganno, ma come una possente istituzione, costruita sul lavoro e il sacrificio di intere generazioni, con il compito di guidare e proteggere i sudditi, di aumentarne il benessere e la cultura . E tutto questo tenendo conto con realismo dell’estrema complessità del tessuto sociale , ché lo Stato non è un’astrazione, come nei libri dei filosofi e dei poeti , ma una realtà fatta, di uomini, donne , nobili, contadini, soldati, borghesi, artigiani, ciascuno con idee e pregiudizi propri ; di terre, su cui la Corona e i privati hanno diritti dal contenuto svariatissimo ; di case, boschi, bestiame, di industrie e di commerci : tutto un mondo svariato e discorde, che invece si deve cercare, per il bene comune, di far marciare ordinato e concorde. E tutto ciò guardandosi sempre le spalle dai vicini, perché ciascun vicino è un potenziale nemico, pronto ad approfittare di un passo falso per trasformarlo in catastrofe.
Federico comincia anche ad apprezzare il padre : ha infatti modo di vedere i magnifici risultati che la sua saggia opera – di accoglienza dei profughi, di ripopolamento, di incentivi alla produzione – ha prodotto : una regione, che la guerra dei trent’anni aveva lasciata quasi deserta, era ridiventata fiorente .
Il re è informato dai suoi fiduciari del sempre maggiore e competente interessamento alla cosa pubblica del principe ; direttamente da questi riceve delle relazioni contenenti proposte di miglioramenti, ch’egli trova giuste e sensate : tutto ciò a poco a poco rende, se non idilliaci, sereni i rapporti tra il re e il suo erede.
A renderli però di nuovo tesi è la decisione , unilateralmente presa dal padre, di far sposare il figlio con una principessa austriaca, la principessa di Bevern .
In una lettera del 4 febbraio 1732 il re annuncia al figlio tale sua decisione, ammette che la principessa non si distingue per bellezza, ma seccamente conclude . “E’ una donna che ha timor di Dio e questo basta” . Oscure minacce contro i figli disobbedienti accompagnano la lettera .
E’ giocoforza per Federico sottomettersi alla ( tirannica ) volontà del padre ; e a questi risponde con un’esibizione di assoluta obbedienza : “La principessa può essere come vuole ; io agirò sempre secondo gli ordini del mio graziosissimo padre” .
Quando il re legge questa risposta, esclama : “Questo è il più bel giorno della mia vita” ; chiama il duca di Bevern, che è nella stanza accanto, e i due padri si abbracciano piangendo .
Anche Federico piange, ma di disperazione : il suo ideale è una donna bella, colta e soprattutto piena come lui di esprit de finesse : legare la sua vita ad una principessa che, come gli veniva descritta, era molto religiosa ( ossia bigotta ),modesta e casalinga ( ossia non charmant ) e per di più tutt’altro che bella, è per lui una prospettiva tremenda . “La ripudierò appena sarò il padrone – dice agli amici – Sono forse della stoffa di cui si fanno i buoni mariti ? Amo il bel sesso e il mio amore è incostante : mi do ai piaceri e subito dopo li detesto . Manterrò la mia parola : mi sposerò, ma questo è tutto” .
Lo addolciscono un po’, il denaro che la Corte austriaca gli fa scivolare nelle tasche ( e che egli spende in gran parte per aiutare, la sorella Guglielmina, che, sposata a un principe povero, soffre di penuria di denaro, e le persone ch’egli, con il suo sfortunato tentativo di fuga, ha trascinato nella disgrazia ) e la prospettiva di ottenere, insieme al matrimonio, la completa libertà .
E infatti col matrimonio (che si celebra il 12-6-1733 ) ogni restrizione alla sua libertà cade ed egli può andare a vivere, circondato da una sua personale corte, nel castello di Rheinsberg ( sito nelle vicinanze della città di Ruppin ) .
A Rheinsberg, Federico trascorre gli anni più felici della sua vita ; circondato da artisti ( pittori, musicisti, cantanti…), da “filosofi” e da ufficiali colti .
Ed è proprio lì, nel castello fatato che si è fatto costruire come tempio delle Muse, ch’egli inizia la sua famosa corrispondenza con Voltaire . Il principe e lo scrittore già famosissimo, gareggiano in reciproche cortesie, elogi e complimenti .
La notizia di questa “amichevole” corrispondenza, tra un principe destinato al trono e un filosofo, si diffonde subito in Europa e, se giova a Voltaire alzando ancor più la sua vasta fama, non giova meno a Federico .
Egli, certo, è mosso a tale corrispondenza dalla sua vivace curiosità intellettuale ; ma anche dalla giusta intuizione dell’importanza crescente che, nella nuova società che si va formando, assumono i letterati : legandosi d’amicizia con Voltaire egli si lega a tutti loro ; e loro infatti lo innalzano alle stelle giungendo a riferirsi a lui, nell’enfatico linguaggio loro abituale, come alla “speranza del genere umano”, ne preparano il regno e gli creano attorno un’atmosfera di immenso prestigio.
E i rapporti di Federico con la moglie ? Ahimè , egli, la moglie, non riesce e non riuscirà mai ad amarla ( anche se col tempo prenderà ad apprezzarla ) . Lei, invece, almeno all’inizio, é, del geniale consorte, innamoratissima ; come risulta da una lettera in cui descrive alla madre la vita a Rheinsberg : “Se si vuole cercare l’arte, la vera e giusta filosofia, lo spirito, è qui che si deve ve=
nire ; si trova tutto alla perfezione, il padrone essendo in testa . Non ho mai visto lavorare, com’egli lavora : dalle sei del mattino fino ad un’ora si applica alla lettura, alla filosofia, a tutte le belle cose . Poi pranziamo dall’una e mezza alle tre ; in seguito, beviamo il caffè fino alle quattro, ed egli comincia nuovamente ad applicarsi fino alle sette . Poi la musica fino alle nove . Allora, egli scrive, poi viene al giuoco e ceniamo ordinariamente alle dieci e mezza o alle undici . Si può dire veramente che è il più grande principe del nostro tempo . E’ sapiente, ha tanto spirito, è giusto, caritatevole, generoso, temperante. In breve è la Fenice” .
Fu quella la sola epoca in cui vi fu una certa intimità fra Federico e sua moglie.
Nel settembre 1736 sembrò anche che questa aspettasse l’erede ; ma le speranze in tal senso presto svanirono e il matrimonio risulterà sterile . Moglie e marito finiranno per vivere una vita autonoma, senza recriminazioni, con tanta cortesia, ma senza vero affetto.
I rapporti di Federico col padre, invece, col tempo si addolcirono ( per quanto lo potevano permettere i loro caratteri, non certo portati alle effusioni sentimentali ) .
E, quando il padre stette male e apparve chiaro che stava morendo, Federico si recò, senza essere sollecitato, a Potsdam per assisterlo .
Giungendo a Potsdam (era il 28-5-1740 ) egli trovò il padre, che nella sua poltrona aveva ancora l’energia di assistere ad una cerimonia presso il castello . Il padre lo accolse affettuosamente e, chiusosi con lui nella sua stanza, gli espose con perfetta chiarezza la situazione del regno . Come sempre gli raccomandò di diffidare di tutti ( specialmente del cognato, il re Giorgio II !) e di mantenere forte l’esercito.
Il giorno seguente, il re si fece rileggere le disposizioni testamentarie e quelle per i funerali, che aveva stabilito minutamente e scritte da sette anni . Il 31, prima dell’alba, fece chiamare il principe ereditario, i generali e i capitani del reggimento reale, poi si fece spingere sulla poltrona a rotelle fino all’appartamento della regina e la svegliò dicendo : “Alzati, sto per morire” . E in effetti, poche ore dopo, alle 15, dopo essersi congedato dalla famiglia e dai generali, spirò .
Nei suoi ultimi momenti aveva parlato del figlio con grande benevolenza e soddisfazione . “Non sono dunque fortunato – aveva domandato ai generali adunati al suo capezzale – a lasciare un tal figlio dietro di me ?” .
Forse Federico comprese allora il bene che il rude padre gli aveva voluto ; e comprese anche che un monarca per far veramente del bene deve avere un po’ di ferro nelle vene .
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E’ a tutti noto come Federico, appena divenuto re, approfittò della crisi in cui la morte di Carlo VI aveva lasciata l’Austria, per occupare la Slesia ; iniziando così una lunga, terribile serie di guerre che terminerà praticamente solo con la fine di quella dei sette anni .
Non si deve credere, però, che i numerosi e gravosissimi impegni, civili e militari, che vennero così a sommarsi e a gravare sul nuovo re, lo portassero a sacrificare i suoi interessi culturali . Anche quando era pressato dalle più complicate pratiche amministrative o minacciato dai più gravi pericoli della guerra, egli trovava il tempo e la voglia di sprofondarsi nella lettura di qualche grande poeta e filosofo o di concentrarsi nella industriosa compilazione di versi graziosi o patetici ; e ai suoi ufficiali e soldati poteva capitare di udire il suono sereno e armonioso del suo flauto alzarsi nel campo, in surreale contrasto con la tensione di una vigilia di battaglia .
Il nuovo re non rinunciò neanche a quella corte di letterati, filosofi, artisti eminenti, che già lo aveva allietato a Rheinsberg . E, quando non era sul campo di battaglia, riservava solo rare apparizioni alla sua reggia di Berlino e la maggior parte del tempo abitava in uno dei tanti castelli, di solito in quello di Sanssouci, che si era fatto erigere secondo il suo gusto classicheggiante per farne altrettanti templi di Apollo e delle Muse .
E lì, novello re Artù, presiedeva tavole rotonde (non di guerrieri, ma ) delle più brillanti intelligenze d’Europa, in cui si toccavano tutti i campi dello scibile umano, con spirito intelligente e dissacratore, ma sempre con eleganza e senza pedanteria, anche se con una eccessiva indulgenza al giuoco pungente dei bons mots, delle arguzie brillanti, delle crudeli maldicenze .
Ma, al di là dell’apparenza delle frasi cortesi, che la politica o più semplicemente il dovere di ospitalità imponevano, qual’era la vera considerazione in cui il re teneva tali suoi ospiti ? li considerava davvero suoi amici, compagni o addirittura suoi maestri ( come talvolta si lasciava andare a dire ) ? La risposta a tale domanda non può essere data con sicurezza, data la difficoltà che trova lo storico a penetrare nell’animo di Federico ( un uomo che Carlyle definì “garbatamente inespugnabile alle indiscrezioni della curiosità umana” e, ancora, con “l’arte di portare garbatamente in mezzo ai suoi simili un mantello di oscurità” ) . Però vari elementi – la conoscenza che Federico aveva della pochezza morale di molti suoi ospiti ( della venalità di Voltaire, della millanteria di Algarotti, dell’avventurismo di Lamettrie…), il giudizio severo ch’egli non esitò a dare su alcuni di loro ( su Voltaire scrisse a un amico : “Il tuo pitocco berrà fino alla feccia del suo insaziabile desiderio di arricchire : avrà tremila talleri . E’ pagare ben caro per un giullare : mai un buffone di corte ebbe tale paga prima d’ora”) -, tutti questi elementi , si ripete, ci portano ad escludere che il grande Aristocratico potesse veramente considerare come amici, compagni e addirittura maestri tali suoi ospiti : erano semplicemente persone la cui frequentazione, da una parte, gli era utile politicamente (nel senso più sopra chiarito ) e, dall’altra, gli procurava ( a un livello di poco superiore a quello dei buffoni di corte ) quel relax di cui aveva assolutamente bisogno dopo la sua stressante attività di governo . E, del resto, non risulta che Federico abbia mai favorito l’ascesa politica o militare di chi frequentava i suoi circoli culturali . Chi di loro lo sperò, rimase deluso .
In buona sostanza il mondo di Sanssouci era il mondo dell’apparenza ; il vero centro di gravità di Federico era altrove : era là dove egli passava ore di duro lavoro, là (soprattutto ! ) dove la sua vita era esposta a pericoli gravi e lui doveva assumersi la terribile responsabilità di decisioni ricadenti su migliaia di uomini . E se mai Federico ebbe degli amici, essi vanno ricercati tra gli ufficiali prussiani come Keyserlink, Prothsenburg, Winterfeld, Fouqué, che con lui condividevano i rischi e le responsabilità sul campo di battaglia.
Ma questo uomo per molti versi così enigmatico, così tortuoso, così calcolatore, fu veramente capace di affetti profondi ? Proprio il carattere enigmatico del personaggio, la cura che ebbe a nascondere la sua vera anima, rendono difficile dare a tale domanda una risposta sicura . Ma, a volerla tentare, si dovrebbe dire che Federico fu capace di un forte senso dell’amicizia ( se non altro lo strazio da lui provato alla morte di Katte lo dimostrerebbe ), di un tenero affetto verso le sorelle e la madre (alla morte di questa cadde per vari giorni in uno stato di vera e propria depressione ), di un attaccamento quasi paterno verso alcuni suoi servitori …e i suoi cani .
E verso la moglie che cosa provò ? Niente più che un cortese rispetto . E, dopo la parentesi di Rheisberg, i rapporti con lei si ridussero alle rarissime apparizioni che insieme a lei faceva in pubblico nella reggia di Berlino diffondendo (dicono coloro che vi assistettero ) reverenza e…freddezza .
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Volendo meglio approfondire il carattere di Federico si deve dire che in lui vi era come una duplice natura .
Una natura (ereditata dalla madre ) dotata di una ricca, sensibile immaginazione, di un “istinto delle combinazioni” complesso e sottile – un istinto che, nel campo politico e militare, lo portava ad escogitare ed impiegare i mezzi più vari e nuovi, a percepire quasi telepaticamente certe situazioni ponendolo così in grado di fronteggiarle tempestivamente ; mentre, nel campo personale, lo spingeva verso la letteratura, la poesia, la musica .
Una natura (ereditata dal padre ) caratterizzata da un vivo senso della realtà ( la realtà così com’è e non come ci piacerebbe che fosse ) – senso realistico che di lui fece l’uomo più freddo, calcolatore, misurato del secolo : nessuno più di lui concepì la politica quale “arte delle possibilità concrete” : la sua mente fervida edificava innumerevoli progetti, studiava tutte le eventualità e tutte le combinazioni, ma il suo senso realistico sacrificava freddamente e impietosamente tutti i progetti e tutte le combinazioni che non si accordavano con la realtà “così com’era” .
Le qualità positive , di cui ora abbiamo fatta menzione ( ricchezza dell’immaginazione e senso della realtà ) erano poi integrate da un sentimento profondo del dovere, da una ferrea autodisciplina, da un coraggio freddo e lucido .
Naturalmente non mancavano nel carattere di Federico gli aspetti negativi , che il lettore attento e perspicace avrà già colto da quanto già abbiamo detto sulla sua vita e che in sintesi possiamo individuare, nel cinismo, nell’insincerità, nella brutalità con cui spesso trattava i suoi simili .
Ma forse, più che le nostre astratte valutazioni, aiuteranno il lettore a meglio entrare nella personalità di Federico gli aneddoti, i flash, le citazioni che seguono.
A proposito della forza di carattere e dell’autodisciplina di Federico –
Federico dopo la battaglia di Kolin (da lui imprudentemente provocata e rovinosamente perduta) si sente tanto abbattuto da affidare la direzione della ritirata al prudente e metodico fratello Enrico ; ma non passa molto tempo che riprende tutto il suo coraggio e scrive a Montz von Dessau . “Il mio cuore è spezzato, tuttavia non sono prostrato e alla prima occasione cercherò di rifarmi di questo colpo” .
In altra occasione Federico scrive : “Brontolare e lamentarsi significa opporsi alle leggi dell’universo : una sciagura più o meno non muta niente nell’ordine del mondo….chi non sa fronteggiare la sventura, non è degno della felicità” .
A chi gli fa presente i rischi di una situazione risponde : “Si fanno grandi cose solo quando si corrono grandi rischi”
A proposito del senso del dovere che animava Federico –
Nella disastrosa battaglia di Kunersdorf, come già ha fatto in quella di Kolin, Federico si getta nel fitto del combattimento per coprire la ritirata ed evitare il peggio : due cavalli sono uccisi sotto di lui, una pallottola rimbalza sulla sua uniforme e per poco non è catturato dai cosacchi . Respinge però ogni preghiera di ritirarsi dal fuoco con le parole : “Io qui devo fare il mio dovere come qualsiasi altro” .
E’ quello stesso senso del dovere che porta Federico : a dividere con i suoi soldati, con naturalezza e semplicità, tutti gli strapazzi della vita al fronte ( l’umidità, il freddo, le notti insonni, il dormire sulla paglia…) , a costringere stoicamente i suoi piedi artritici negli stivaloni militari , a continuare in quelle ispezioni nelle province ch’egli ritiene essenziali per il loro buon governo, anche quando, negli ultimi anni della sua vita, la gotta e i reumatismi non gli danno pace .
A proposito di tali ispezioni si narra che egli, ancorché costretto da settimane a letto, esattamente il giorno prima dell’inizio del viaggio d’ispezione trovasse la forza di alzarsi e poi, alzatosi, effettivamente si sentisse meglio e spiegasse con sereno stoicismo ai sbigottiti atten=
denti : ” I miei compiti di re esigono impegno e attività, il mio corpo e la mia mente devono adattarsi a questi miei doveri”.
A proposito del carattere autoritario di Federico –
Un alto funzionario dell’apparato giudiziario, che ha deciso un caso diversamente da quanto Federico si aspettava, deve leggere a margine della pratica questo appunto, scritto dallo stesso
re :“Siete un uomo molto onesto, ma un grande asino !” .
Federico riceve un rapporto in cui un ministro velatamente critica la politica dirigistica adottata da lui in economia . Fuori di sé dalla collera, vi scrive in calce :”Sono sorpreso dalla relazione impertinente che mi avete inviato . Scuso i ministri e la loro ignoranza, ma la malizia e la corruzione di chi l’ha concepita devono ricevere una punizione esemplare ; di solito non prendo delle canaglie a mio servizio”
Il carattere autoritario, per non dire tirannico, di Federico è ancora bene illustrato dal suo comportamento nell’affare del mugnaio Arnold ( affare che ben erroneamente viene invece spesso portato a esempio di un suo preteso senso di giustizia ) .
Il mugnaio Arnold fa causa al proprietario del terreno in cui si trova il suo mulino : non è giusto che gli paghi il canone pattuito per il mulino, dal momento che un vicino, costruendo un laghetto, gli fa mancare l’acqua necessaria per il suo funzionamento. In primo e secondo grado i giudici gli dan torto ( l’acqua, sia pure in misura ridotta, arriva !) e ordinano che si venda il mulino per pagare i canoni lasciati insoluti dal mugnaio.
Questi è però coriaceo : forse che a Berlino non c’è un re che tutela la povera gente ? Il mugnaio ricorre a Federico II . Il re non fa mancare il suo interessamento e, avuto da una Commissione un parere favorevole al mugnaio, deferisce la sua causa alla Corte Suprema di Berlino . Questa studia attentamente la pratica, ma, senza lasciarsi impressionare dal precedente parere della Commissione, anche lei, come i giudici che l’hanno preceduta, dà torto al mugnaio .
A questo punto per Federico la misura è colma : ordina che il gran cancelliere Von Furst si presenti davanti a lui insieme ai tre consiglieri che hanno emessa la sentenza : ed ecco quel che accadde durante l’udienza reale, così come fu annotato da uno dei consiglieri stessi : “Verso le 14 giungemmo a palazzo con il Gran Cancelliere Von Furst, nella sua carrozza . Fummo subito condotti dal re . Sedeva al centro di una stanza, in modo da poterci fissare in volto, e dava le spalle al fuoco che ardeva nel camino . Portava un cappello malandato della foggia di quelli dei predicatori e indossava una sopravveste di panno o di velluto . Non era pettinato . Davanti a lui stavano tre banchetti coperti di un panno verde, e su uno di essi aveva appoggiato i piedi . Una mano, che pareva gli dolesse molto, era infilata in una sorta di manicotto, nell’altra stringeva la sentenza del caso Arnold . Era seduto in poltrona e aveva alla sua sinistra un tavolo su cui stavano numerose carte e due tabacchiere dorate riccamente composte di brillanti da cui, di tanto in tanto, prendeva una presa di tabacco . Nella stanza c’era uno dei consiglieri segreti di gabinetto, che si stava preparando a scrivere . Il re ci fissò e disse “avvicinatevi” . Noi avanzammo ancora di un passo e ci trovammo a non più di due passi da lui . Chiese a Friedel, Graun e me : “Siete voi quelli che hanno redatto la sentenza del caso Arnold ?” . Rispondemmo con un inchino di si” . Federico iniziò a interrogare i tre consiglieri e chiese loro, apparentemente rilassato : “Se si intende emettere una sentenza contro un contadino cui si è già tolto tutto quello che gli permetteva di sfamarsi e pagare i suoi tributi, è lecito farlo ?!” .Cosa potevano rispondere i tre poveri consiglieri a questa insidiosa domanda se non “no” ?! Federico domandò ancora : “Si può togliere il mulino a un mugnaio che non ha più acqua e quindi non può più lavorare e nemmeno guadagnare nulla, perché non ha pagato il canone dovuto ? Allo=
ra ? E’ giusto forse ?!” . I tre consiglieri impallidirono a questa seconda domanda pronunciata con voce tagliente e risposero per la seconda volta “no” . A quel punto Federico, che fino a quel momento aveva ignorato il Gran Cancelliere Von Furst, levò minacciosamente il suo bastone ricurvo e gli comandò : “Sparite ! Il vostro posto l’avete già perduto” .
In breve : il re ordina al ministro Von Zedlitz di punire i tre consiglieri. Il ministro legge attentamente gli atti e, convinto che i consiglieri non hanno fatto che il loro dovere, coraggiosamente scrive al re che si rifiuta di condannarli . La risposta di Federico : “Se voi non volete pronunciarvi, lo farò io, e la mia sentenza è questa : questi vigliacchi, intendo i funzionari giudiziari, vengono sospesi dal servizio e condannati alla prigionia in una fortezza, e dovranno risarcire il valore del mulino nonché tutti i danni subiti dal mugnaio Arnold” . La “sentenza” di Federico ebbe un immenso scalpore : tutti gli spiriti “progressisti” del continente lo acclamarono . A Parigi comparvero dei manifesti, che mostravano il re di Prussia reggere tra le mani una bilancia, che pendeva a favore del popolo. Si, tutto bene, ma la sentenza di Federico era…ingiusta . Non più di nove mesi dopo averla pronunciata, egli stesso lo riconobbe e, quasi a volersi scusare, disse a Neumann, uno degli ussari addetti alla sua persona, di essere stato costretto a dare una lezione intimidatoria affinché i potenti non opprimessero i deboli . “Ovviamente – aggiunse – stavolta sono stato ingannato . Il debole aveva torto. Ma se ritrattassi la mia parola, le vessazioni si inasprirebbero ancora . E’ duro, è ingiusto, ma ora non si può fare diversamente : sono stato troppo precipitoso . Ah, questo Arnold, questo maledetto briccone !” .
E Federico non mutò la sua “sentenza” . Fu solo chi gli succedette sul trono a riabilitare i poveri consiglieri ingiustamente condannati .
Ancora degli aneddoti illustrativi della personalità di Federico e più precisamente del suo spirito realistico e concreto
Quando reduce dalla guerra dei sette anni una delegazione viene a congratularsi con lui, Federico interrompe bruscamente l’oratore ufficiale : “Stia zitto e mi lasci parlare . Ha una matita ? Allora scriva : i signori debbono fare una lista di quanta segala per il pane, quante sementi, quanti cavalli, buoi e vacche hanno bisogno immediatamente per i loro distretti . Ci pensino accuratamente e ritornino domani” .
Come già accennato, Federico riteneva suo dovere procedere a frequenti ispezioni nelle province del suo regno . Un funzionario, che ebbe ad accompagnarlo in una di queste ispezioni, ci ha trasmesso un resoconto delle conversazioni che ebbe a tenere col re durante il viaggio . Eccone uno stralcio :
“Avete più bestiame del vostro predecessore ?”
“Si, Maestà . In questa grangia ho aumentato di quarantotto il numero delle vacche, e in tutte le altre di settanta”
“Bene ! nella regione non avete peste bovina, vero ?”
“ No, maestà” .
“Basta facciate molto uso di salgemma e la peste bovina non ritornerà”
“Si, Maestà, ne faccio uso . Ma il sale da cucina fa quasi lo stesso servizio”
“No, vi sbagliate . Non dovete rompere il salgemma in piccoli pezzi, ma appenderlo in modo che il bestiame possa leccarlo”
“Si, sarà fatto”
“Ci sono altre migliorie da fare nella regione ?”
“Oh, si , Maestà ! Ecco, il lago di Kremm : se l’acqua venisse deviata, otterreste 1800 iugeri di prato che potrebbero venir assegnati ai coloni, e poi tutta la regione diverrebbe navigabile e questo gioverebbe moltissimo alla cittadina di Fehrbellin a alla città di Ruppin” .
“Si, parlatene al mio consigliere segreto Michaelis . Lui sa cosa fare….”
“Sarà fatto, Maestà”
“Anche il generale Von Ziethen ha beneficiato della bonifica delle paludi ?”
“Oh, si . Ha costruito la fattoria che vedete sulla destra e vi ha aggiunto un caseificio, e non avrebbe potuto se le paludi non fossero state prosciugate”
“Mi fa piacere….Come si chiama il funzionario di Ruppin ?”
“Home”
“Da quanto tempo è lì ?”
“Dalla festa della Santissima Trinità”
“Dalla festa della Santissima Trinità…e prima cos’era ?”
“Canonico”
“Canonico? Canonico? Perché diavolo un canonico ha deciso di fare il funzionario ?”
“Maestà, è un uomo giovane, che ha dei mezzi e che considera un onore essere al Vostro servizio”
“E perché il vecchio non è rimasto ?”
“E’ morto”
“Ma la vedova avrebbe potuto conservare la carica !”
“E’ caduta in povertà !”
“Perché, come tutte le donne, non sapeva amministrare i suoi beni ?”
“Maestà, perdonatemi, ma era una buona amministratrice . Soltanto che le numerose disgrazie che l’hanno colpita, l’hanno rovinata . Quelle possono ridurre in miseria anche il migliore degli amministratori . Io stesso due anni fa ho avuto una moria fra il bestiame e lo Stato non mi ha concesso nessuna riduzione fiscale . Anch’io non riesco a risalire la china”
“Figlio mio, oggi ho qualcosa che non va all’orecchio sinistro : non ci sento bene”
“Già, il guaio è che anche il consigliere segreto Michaelis ha proprio il Vostro stesso problema…..”
Il funzionario – che parla stando a cavallo, mentre il re è in carrozza – a questo punto rimane un po’ indietro, teme che il re possa essersene avuto a male per quest’osservazione . Federico invece si sporge dal finestrino cercandolo con lo sguardo . “Su, Fromme, cosa aspettate ! Rimanete accanto alla carrozza ! Ma badate di non essere inopportuno ! Se parlate a voce alta, vi intenderò benissimo” .
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Giunto al tramonto della vita, Federico poteva dirsi soddisfatto.
Aveva, in lunghe guerre, tenuto testa all’Europa contro di lui coalizzata ed era riuscito a far riconoscere la Prussia come grande potenza .
Dismessa l’armatura del guerriero, ma con la stessa grinta ed energia dimostrata quando l’indossava, aveva provveduto alla ricostruzione dello Stato ( al rétablissement – come diceva egli alla francese ).
Si trattava, di risanare le ferite arrecate dalle crudeli guerre che aveva dovuto combattere, di riportare il regno alla floridezza di cui godeva quando lo aveva ereditato dal padre . Ed egli era riuscito a compiere quest’impresa, che appariva gigantesca, in tempi record : in circa tre anni e mezzo era riuscito ad eliminare le devastazioni che la guerra aveva causato ai suoi territori ( poteva vantarsi di aver ricostruito ben 21000 edifici ! ), in una dozzina d’anni li aveva ripopolati (favorendo con opportuni incentivi l’immigrazione, bonificando paludi e acquitrini…) .
Ora poteva fare il bilancio del suo lungo regno e trovarlo largamente positivo . Alla morte del padre la Prussia era uno Stato con una superficie di 2300 miglia quadrate e una popolazione di circa 2.500.000 abitanti . Trentasette anni dopo, la sua superficie aveva raggiunto le 3600 miglia quadrate e la sua popolazione stava per superare la soglia dei 5.000.000 ; le entrate annue erano raddoppiate e l’esercito quasi triplicato .
Avrebbe ben potuto, il gran re, riposarsi, e tutti lo avrebbero ritenuto un ben meritato riposo !
Egli invece ,anche quando la gotta e la idropisia lo resero in fin di vita, non desistette dal lavorare . Voleva morire al suo posto di combattimento – come già i suoi avi : come il bisnonno, il Grande Elettore, che due giorni prima di morire aveva voluto presiedere un consiglio privato ; come suo padre, che pur torturato dall’idropisia, aveva voluto trascorrere con lui gli ultimi giorni a conferire delle cose del regno .
Il 15 agosto 1785 ( il terz’ultimo giorno di vita, che Dio gli avrebbe concesso ) Federico II si destò verso mezzogiorno . La sua voce era flebile, ma iniziò immediatamente la dettatura degli ordini di servizio e delle varie missive . Dettò istruzioni dettagliatissime per le prossime manovre . Inviò un ordine di gabinetto al presidente della Camera di Konigsberg : “Apprendo che verso Tilsit c’è ancora una vasta palude da bonificare . Quel terreno dovrà appartenere alla mia amministrazione . I contadini che vi verranno insediati dovranno tutti essere proprietari dei loro poderi, non debbono essere degli schiavi !” .
L’ultima lettera di carattere personale fu quella indirizzata alla moglie, la regina Elisabetta Cristina : “Gentilissima dama, Vi sono molto obbligato per gli auguri che vi degnate di esprimermi, ma oggi sono stato colpito da una febbre violenta che mi impedisce di rispondervi per esteso” .
L’indomani, 16 agosto (il penultimo giorno che gli sarebbe stato concesso di vivere !), il re lottò invano per dare la parola d’ordine ai suoi generali in lacrime : ormai non riusciva a parlare in maniera intelligibile.
Passò tutta la giornata seduto sulla sua poltrona, attorniato da servitori, ministri, generali, medici . La moglie, che non era informata delle sue gravissime condizioni, stava nel frattempo dando un ricevimento nel palazzo di Schonhausen !
Alla sera s’addormentò e dichiarò che si sarebbe alzato verso le quattro . Circa a mezzanotte volle il suo cane favorito e ordinò di coprirlo con un piumino . Due ore dopo ( ore due del 17-8-1785 ) spirava nelle braccia del fedele servitore Strutzky .
Egli avrebbe voluto essere sepolto nella terrazza di Sanssouci , ma ora con comandava più : il suo successore, il nipote Federico Gugliemo, ordinò che la sua tomba fosse accanto a quella del padre, a Potsdam .


Oroscopo di Federico II
24 . 01 . 1712 11h 30m LMT 10h 36m GMT
Berlino Germania
Ascendente, Toro Sole in Aquario
La carta del cielo di Federico indica che il grande re di Prussia nasce con il sole nell’aquario ma l’ascendente nel Toro . E’ questa in definitiva una felice combinazione perché la concretezza del Toro ( segno di terra ) imbriglia e frena la ( cattiva ) tendenza degli aquariani a costruire castelli in aria e progetti utopici.
E infatti nella personalità di Federico, accanto al re-filosofo, che ama intrattenersi con i suoi amici a Sans-Souci parlando – peraltro con riconosciuta e apprezzata acutezza di giudizio (merito di Venere in sestile con Mercurio ! ) e ampiezza di vedute (merito di Urano in trigono con Nettuno !) – di astratti problemi di metafisica, ci sarà sempre l’amministratore efficiente dello Stato capace di immergersi nei più aridi calcoli di economia e di strategia e di dare prova di quella concretezza che, ad esempio, lo porta ad interrompere l’oratore ufficiale di una delegazione venuta a congratularsi con lui, reduce vittorioso dalla guerra dei sette anni, con queste brusche parole : “Stia zitto e mi lasci parlare . Ha una matita ? Allora scriva : i signori debbono fare una lista di quanta segala per il pane, quante sementi, quanti cavalli, buoi e vacche hanno bisogno immediatamente per i loro distretti. Ci pensino accuratamente e ritornino domani”.
All’aspetto taurino della sua personalità, Federico deve ancora la pazienza con cui riesce a sopportare un destino particolarmente avverso ( nella sua carta c’è il Sole opposto a Saturno : il segno delle persone che debbono lottare contro un ambiente ostile : nel caso di Federico, prima, l’ambiente familiare reso opprimente da un padre dispotico, poi l’ambiente internazionale caratterizzato dal rinnovarsi di continue coalizioni di stati nemici ) . Nella sua vita Federico potrà anche, sotto i colpi di un’avversa fortuna, cedere momentaneamente alla disperazione, ma per subito dopo riprendersi e continuare a lottare : dopo la battaglia di Kolin ( da lui imprudentemente provocata e rovinosamente perduta ) si sente perduto, tanto da affidare la direzione della ritirata al prudente e metodico fratello Enrico, ma non passa molto che riprende tutto il suo coraggio e scrive a Moritz von Dessau : “Il mio cuore è spezzato, tuttavia non sono prostrato e alla prima occasione cercherò di rifarmi di questo colpo” . E’ ancora Federico che in altra occasione scrive : “Brontolare o lamentarsi significa opporsi alle leggi dell’universo ; una sciagura più o meno non muta niente nell’ordine del mondo…Chi non sa fronteggiare la sventura, non è degno della felicità” .
Ma ciò che aiuta Federico a sopportare i colpi dell’avversa sorte, non è solo la tenacia di cui è debitore al suo ascendente nel Toro ( e alla congiunzione tra il suo Urano e il suo Plutone !), ma anche il senso del dovere derivantigli da vari “aspetti” positivi ( soprattutto da un Saturno in trigono con Venere !) . Un senso del dovere che lo porta a dividere con i suoi soldati, con naturalezza e semplicità, tutti gli strapazzi della vita al fronte, i miseri accampamenti di paglia, l’umidità, il freddo, le notti insonni, a costringere stoicamente i suoi piedi artritici negli stivaloni militari, a rischiare la vita cavalcando in ogni importante battaglia sotto il fuoco nemico . Nella battaglia di Kunersdorf, come già aveva fatto in quella di Kolin, si getta nel fitto del combattimento per cercare di coprire la ritirata ed evitare il peggio e respinge ogni preghiera di ritirarsi dal fuoco con le parole:
“Io qui devo fare il mio dovere come qualsiasi altro” . Due cavalli sono uccisi sotto di lui, una pallottola rimbalza sulla sua uniforme e per poco non è catturato dai cosacchi .
Ma domanderà a questo punto il lettore : “E Marte ? non acquista rilievo il pianeta della guerra nell’oroscopo di chi viene considerato uno dei più grandi condottieri militari dell’Occidente ?” . Certo,si, Marte nell’oroscopo di Federico si fa sentire, ma a dir il vero non sempre in maniera armoniosa e felice . E se Federico deve probabilmente a questo pianeta l’ardimento e la capacità di decisione che portarono a tante brillanti sue vittorie ( è di Federico il motto, “Si fanno grandi cose solo quando si corrono grandi rischi”) è sempre a un Marte ( ma male aspettato dalla Luna !) che Federico deve molte decisioni troppo precipitose e imprudenti che gli causarono non poche disastrose sconfitte (sconfitte che furono, sì, superate per il suo coraggio e la sua tenacia, ma anche per lo splendido senso dell’onore e la fedeltà di cui seppero dar prova gli ufficiali e i funzionri prussiani ).
Federico II di Prussia : analisi grafologica di P. Moretti
Volendo anticipare in sintesi l’analisi grafologica di P. Moretti si può dire che Federico era una persona portata al comando e del tutto degna di esercitarlo.
Prima di tutto per la sua intelligenza; che il Grafologo definisce “quantitativamente superiore (grafia larga di di lettere) ; qualitativamente originale in modo spiccato ( grafia disuguale metodicamente )”. La “originalità” del soggetto – ci dice il Grafologo (ignaro di chi esso sia) – si rivela e consiste soprattutto nella sua capacità di escogitare nuove soluzioni e di trovare nuove strade per superare un ostacolo ; ciò che lo rende un interlocutore temibile al tavolo delle trattative : perciò “trattando col soggetto – avverte il Grafologo – bisogna essere molto accorti, perché, quando uno meno se lo aspetta, il soggetto esce in ritrovati nuovi oppure in forma nuova, con i quali incastra l’avversario e lo induce a cedere le armi nella discussione” . E questo anche perché “riesce ad avere – è sempre il grafologo che parla – una esposizione quasi inarrivabile per la scorrevolezza della parola e del pensiero, per la chiarezza dei concetti e dell’espressione, per la nitidezza dell’argomentazione” .
Ma l’intelligenza certo non basta da sola a fare un buon governante . Occorrono la capacità di ponderazione, la capacità di mantenere la calma anche nei momenti più difficili, la capacità di antivedere i pericoli e di scansarli. La scrittura rivela tali qualità in Federico ? Sì, certo ; ci dice il Grafologo : “Si può dire che il soggetto abbia l’abitudine della ponderazione e della calma” ; e ancora : il soggetto sa prendere tutte le precauzioni necessarie “ per non andare incontro a sorprese, che egli antivede e che quindi scongiura” .
In buona sostanza Federico ha tutte le doti per comandare e tra queste, anche….la consapevolezza di ciò. Non c’è quindi da meravigliarsi che la sua grafia denunci che “tende al comando”, “tende a farsi avanti e ad avere l’indipendenza con l’intento di conquistare gli altri” .
Ma Federico ha le doti, non solo per dominare nel mondo politico, ma anche in quello letterario, filosofico, artistico. L’originalità e la finezza dell’argomentare, che lo fanno prevalere al tavolo delle trattative, gli assicurano consenso e ammirazione anche nei salotti . Tanto più che, tra le altre doti, Federico è un “intenditore d’arte” : il soggetto – ci ragguaglia il Grafologo – ha “disposizione per la critica moderata, per tutte le belle arti e sa penetrare la situazione degli artisti nell’esercizio dell’arte e fuori di essa” .
E l’amore ? Federico era un frigido ? Non frigido, ma dotato di senso raffinato anche nell’amore, lo dipinge l’analisi grafologica : “Quanto a sensualità il soggetto tende alla facilità dell’intenerimento sessuale, ma tende nello stesso tempo a scegliersi l’esca” .



Gandhi

Gandhi: biografia

Mohandas Karamahand Gandhi nacque il 2 Ottobre 1869 sulla costa nord orientale dell’India, in un piccolo principato, Porbandar, di cui parecchi membri della sua famiglia erano stati PrimiMinistri .

Tra questi suo padre, Karamchand : un uomo leale, integro, generoso, dai modi cortesi nonostante un temperamento irascibile . Il figlio Mohandas ne parlerà sempre con grande rispetto ( solo rimproverandogli una certa tendenza per i piaceri della carne, perché, vedovo, si era sposato per la quarta volta a quarant’anni passati ) . Ma l’influenza che più si imprimerà nella sua giovane anima, fu quella della madre, Putlibai : una donna semplice ma saggia, di cui si cercava il consiglio anche, così si dice, per gli affari di Stato ; una donna che – come tutta la famiglia d’osservanza Visnhuita – ogni giorno si recava al tempio, portandosi dietro i figli, e poi, il nome di Rama sulle labbra, si dedicava con alacrità e diligenza alle occupazioni domestiche .

Dunque il giovane Mohandas fu allevato in un ambiente fortemente religioso ; però, come per molti suoi giovani coetanei, la sua fede entrò in crisi quando incominciò a frequentare la scuola.

L’insegnamento ( in lingua inglese ) in questa impartito mirava a inculcare nelle giovani menti degli scolari il dogma della superiorità assoluta di tutto ciò che veniva dall’Inghilterra : si decantava la potenza politica e militare di questa, se ne vantavano l’alta civiltà e le conquiste scientifiche , la mirabile sua organizzazione sociale ; e in contrapposto si evidenziavano le deficienze passate e presenti dell’India . Ne risultava nei giovani allievi un sordo rancore contro i loro colonizzatori, congiunto alla convinzione che solo imitandone le idee e i costumi sarebbero riusciti a liberarsene .

Come i suoi compagni, Mohandas sogna di scrollare il giogo : “Io – scriverà – desideravo diventare forte e audace, io volevo la stessa cosa per i miei compatrioti in modo da poter battere l’Inghilterra e liberare l’India” .

Ma che cos’è che rende così forti gli inglesi ? La carne !

Diceva un sonetto alla moda di un poeta Jujrati:

Vedete com’è forte il britanno

e sottomette schiavo l’Indù ;

s’egli non fosse di carne mangiatore

egli non avrebbe tanto cuore .

Per accrescere le sue energie e poter così battere gli inglesi, Mohandas decide di diventare carnivoro. Di nascosto – chè la sua famiglia, come tutte quelle indù, è strettamente vegetariana – si procura, insieme ad un suo compagno, un pezzo di capretto . Al primo boccone, vomita di disgusto . La notte seguente – racconterà poi – fu “spaventosa…mi sembrava che una capra belasse dentro di me” . Si fa forza, e per un anno continua nella “cura” . Poi, la dissimulazione a cui ciò lo costringe, gli riesce intollerabile e decide di attendere, per continuare nella dieta, d’essere libero da ogni tutela. Le vicende della vita, però, disporranno diversamente : egli persevererà nel vegetarianismo fino alla morte .

Mohandas ha sedici anni quando muore suo padre. Due anni più tardi parte per l’Inghilterra per studiarvi legge e poter esercitare al suo ritorno il fruttuoso mestiere di vakil ( avvocato ). Parte disubbidendo all’ordine della su casta ( che lo scomunica ), ma con il consenso della madre ; che, però, pretende da lui il giuramento solenne che in terra inglese si asterrà, dalla carne, dall’alcool e dalle donne .

Parte lasciando in India, Kasturbai – la giovinetta che ha sposato in giovanissima età, tredici anni

( secondo un uso ch’egli più tardi combatterà con forza ) – e un bimbo ancora in fasce .

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Mantenere il giuramento ( niente vino, né donne, né carne ) che la madre gli aveva fatto fare, alla partenza per l’Inghilterra, non era facile per Gandhi .

Non bere alcolici, nulla gli costava . Essere fedele alla giovane moglie lasciata in India, neanche : in definitiva le donne gli facevano paura ! Ma non mangiare carne, com’era possibile in un paese carnivoro come l’Inghilterra del tempo ?! Egli rischiava di morire di fame, rifiutando ogni piatto in cui comunque ve ne fosse ! Con tutto ciò non gli passò neanche per la mente d’infrangere il suo voto : egli aveva dato la sua parola, e doveva mantenerla , costasse quel che costasse .

Fortunatamente la provvidenza vegliava su di lui : mentre un giorno, affamato, girava per le vie di Londra, gli apparve l’insegna di un ristorante vegetariano : era la salvezza !

A contatto con l’ambiente di quel ristorante e con l’aiuto di qualche buon libro, Gandhi si convinse delle virtù del vegetarianismo . E da allora ne diventò un fervente apostolo .

Gandhi si era recato in Inghilterra, non solo per imparare il diritto, ma anche per “occidentalizzarsi”; ed egli narra che, appena giunto a Londra, “intraprese questo compito sovrumano : trasformarsi in un gentiluomo” .

Un cappello di seta, un abito comprato a Bond Street, delle lezioni di danza, di violino, di eloquenza….

Al termine di tre mesi, però, si rende conto che quel treno di vita viene a pesare troppo sul bilancio della sua famiglia ; e, con uno di quei bruschi ripensamenti che saranno la sua caratteristica fino alla maturità, adotta modi di vivere estremamente morigerati e parsimoniosi giungendo, per risparmiare, persino a prepararsi da sé, nella stanzetta che ha in affitto, il frugale cibo di cui si nutre .

La fisima di adeguarsi alle “buone maniere” della società occidentale rimarrà, però, ancora a lungo in lui . Quando tornerà in India, arrederà la sua casa con mobili occidentali e costringerà moglie e figli a mangiare con coltello e forchetta ; quando condurrà la famiglia in Sudafrica, pretenderà che si vesta col costume parsi, che subito dopo quello europeo, era considerato il più “moderno” .

Mentre la gioventù indiana cercava di copiare l’Occidente, in questo era nato un Movimento che non nascondeva la sua ammirazione per la civiltà orientale, specie quella indù : il Movimento Teosofico.

Gandhi, durante il suo soggiorno inglese, entrò in contatto con questo Movimento, lesse La luce dell’Asia il libro in cui Sir Edwin Arnold racconta l’epopea spirituale del Buddha, lesse soprattutto

( sempre in una traduzione inglese) la Bhagavad Gita, il testo fondamentale dell’Induismo, che doveva diventare più tardi la sua consolazione quotidiana: insomma in Inghilterra e grazie agli inglesi, Gandhi riscoprì l’Induismo della sua infanzia . Questo valse a liberarlo dal sentimento di inferiorità con cui gli indiani – dallo stato di soggezione politica in cui si trovavano allora – erano portati a guardare alla loro cultura, sacra e profana .

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Terminato il triennio di studi e ottenuta l’abilitazione alla professione forense, Gandhi, nel giugno del 1891, riparte per l’India.

Il suo animo non è tranquillo : “La tempesta (incontrata durante la navigazione ) – racconterà – era un simbolo della tempesta che si agitava in me . Mi aspettavo anzitutto di avere delle gravi discussioni con quelli della mia casta. Poi vi era la grave difficoltà di iniziare la professione di avvocato” .

Giunto in India, prima di tornare nella città natale, compie un pellegrinaggio per purificarsi con un bagno nelle acque sacre del fiume Godavari e tentare di placare i risentimenti, che il suo viaggio al di là del mare, ha provocato nella sua casta . Questa, però, non gli toglie la scomunica . Gandhi non protesta né mostra rancore ; collabora anzi nel boicottaggio ai suoi danni . Tale atteggiamento a poco a poco gli riconcilierà i membri della sua casta . molti di loro diventeranno ferventi sostenitori dei suoi movimenti sociali e politici .

Difficoltà ancora più gravi attendevano Gandhi nell’esercizio della professione di avvocato .

Gli studi giuridici in Inghilterra non avevano incluso la legge indù e musulmana ; e ciò lo poneva in condizioni di inferiorità rispetto ai suoi esperti colleghi del Foro .Inoltre era terribilmente timido : anche nelle riunioni private trovava difficoltà a esprimersi .

La sua prima causa confermò i suoi timori di essere inferiore ai compiti che la professione gli imponeva : quando si trattò di interrogare il primo teste non riuscì a fare ordine nei propri pensieri, ricadde nella sedia e restituì la parcella alla cliente .

Non senza un certo sollievo egli si rese però conto di essere particolarmente abile nella stesura di memoriali e petizioni, e di potersi in tal modo guadagnare la vita .

Ma la situazione era frustrante e – quando una impresa di navigazione indiana gli propose di tutelare i suoi interessi in una grossa causa ch’essa aveva davanti al tribunale del Sudafrica – Gandhi accettò .

Era il Maggio del 1893 quando egli sbarcò a Durban : un nuovo capitolo della sua intensa vita iniziava .

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Se in India, nella sua patria, Gandhi aveva persa la fiducia in se stesso ; in Sudafrica la riacquistò .

In questo vasto paese viveva una comunità di circa centomila indiani ; per lo più dediti ad umilissimi mestieri e semianalfabeti ; la sua classe dirigente era fatta di commercianti i cui interessi culturali non andavano oltre il listino borsa-valori dei quotidiani .

Gli indiani erano costretti a subire continue umiliazioni da parte degli Europei ; umiliazioni ch’essi avevano imparato a ricevere come una naturale contropartita dei loro guadagni . Gandhi, invece, subito fieramente, ad esse, si ribella .

Quando il presidente del tribunale di Durban, a cui, appena giunto si era presentato, gli ordina di togliersi in sua presenza il turbante, egli si rifiuta ; e all’uscita dall’aula scrive una lettera alla stampa locale .

Quando nel viaggio da Durban a Pretoria, giunto alla stazione di Maritzburg, viene con prepotenza cacciato dal vagone di prima classe in cui viaggiava e gli viene ordinato di portarsi nel bagagliaio, egli rifiuta e preferisce scendere e passare la notte nella gelida stazione .

Quando, nel prosieguo di quel tormentato e drammatico viaggio, il conducente della diligenza pretende che abbandoni il suo posto in carrozza e stia nel predellino, egli rifiuta e continua in tale rifiuto nonostante che il conducente gli si avventi contro ripetutamente colpendolo .

Il triste spettacolo dei suoi connazionali che, privi della necessaria cultura, neanche sono in grado di far valere gli scarsi diritti loro concessi, galvanizza Gandhi . Egli – che a Bombay non aveva avuto neanche il coraggio di interrogare un teste – appena giunto a Pretoria convoca gli indiani residenti per un esame in comune “della loro condizione nel Transvaal” . La riunione ha successo, la Comunità indiana ha trovato il suo leader .

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Quelli che Gandhi passerà in Sudafrica saranno durissimi anni di lotta politica ; ma di una lotta sempre condotta, da parte sua, con lealtà ed equilibrio .

Egli non accetterà mai il diffuso punto di vista secondo il quale in politica si deve sempre difendere il proprio partito, a torto o a ragione . Egli saprà, quando ne sarà il caso, riconoscere anche pubblicamente i torti e i difetti dei propri connazionali ; e sempre si asterrà dal drammatizzare e dall’esagerare le ingiustizie da essi subite .

Eguale equilibrio ed eguale onestà Gandhi dimostrerà nell’esercizio della professione legale .

Giunto in Sudafrica gli era stato assegnato il modesto incarico di far da tramite tra il cliente, la ditta Abdullah, e i suoi legali : in buona sostanza doveva, consultando i registri e gli altri incartamenti della ditta, dare a questi legali le informazioni “in fatto”, a loro necessarie per costruire la difesa .

Quello che ad altri sarebbe potuto sembrare un affronto, a lui parve una grande occasione . E lo fu davvero ; in quanto gli permise di acquisire preziose conoscenze in materia di tenuta di libri contabili e di prassi commerciale e, soprattutto, di imparare, a contatto con un grande studio legale, come si gestisce una causa .

La controversia fu vinta, soprattutto per la sua diligenza nel ricercare ed esporre chiaramente i fatti di causa . E ciò lo convinse che la professione legale non consiste in sfoggi di eloquenza e in dotte citazioni di opere giuridiche ; che quelli che contano in una causa sono, per tre quarti, i fatti e solo. per il residuo quarto, le argomentazioni giuridiche ; che, infine, “quando si rimane fedeli alla verità, la legge viene in nostro aiuto naturalmente” .

Ottenuta per il suo cliente una sentenza favorevole, egli riuscì a convincerlo a non chiederne l’immediata esecuzione, ciò che avrebbe rappresentato per il suo avversario la rovina, ma a concedergli un pagamento rateale . “Avevo imparato – dirà poi – il vero esercizio della legge . Avevo imparato a individuare il lato migliore della natura umana e a penetrare nel cuore degli uomini . Mi ero reso conto che la vera funzione di un avvocato era quella di conciliare le parti in disaccordo””.

A partire da quel momento egli si adoperò costantemente per una bonaria composizione delle controversie, al di fuori dei tribunali : i clienti ci guadagnarono e “io –ebbe a ricordare – non perdetti nulla, neppure denaro e senza dubbio non l’anima mia” .

Gandhi non riteneva un obbligo professionale difendere un cliente nel torto ; al contrario riteneva che, nel caso, fosse dovere dell’avvocato convincere il cliente, nel suo stesso superiore interesse, a non persistere nell’ingiustizia . Parsi Rustomji, ricco mercante di Durban e suo intimo amico, avendogli lo Stato contestato l’evasione dei diritti doganali, si recò da lui per averne tutela . Gandhi, non solo non volle difenderlo, ma lo convinse a confessare al Fisco tutti i suoi misfatti tributari, pagando le relative tasse, soprattasse e penali . Il commerciante, pentito, fece incorniciare e appendere in casa la sua confessione, a edificazione dei suoi discendenti .

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Gli anni passano, Gandhi è diventato un uomo politico influente e un avvocato estremamente capace, di cui le più grosse ditte musulmane pagano lautamente i servizi .

Egli si è comprata una graziosa casetta nei quartieri alti di Durban, l’ha ammobiliata con cura, ha dei servitori, si veste con ricercatezza .

Egli giustifica tale suo ricco treno di vita con motivi di prestigio : per poter tutelare bene la Comunità dei suoi connazionali egli deve avere le necessarie conoscenze nell’ambiente degli europei, e quest’ambiente è più facile che si apra ad un avvocato, ricco e ben vestito, che ad un avvocato povero e pezzente .

Però questa è una giustificazione che, ogni giorno che passa , sempre meno lo soddisfa . L’idea della rinuncia, come scopo supremo di ogni vera Religione, lo conquista sempre più .

Un giorno, tra le risate dei colleghi, Gandhi si presenta in tribunale con il colletto della camicia gocciolante d’amido : non è stata l’opera di una lavandaia distratta, ma il primo dei numerosi “esperimenti di semplificazione della vita” che il prestigioso avvocato tenterà .

Ed eccolo un giorno improvvisarsi cuoco, un altro fornaio, un altro ancora ostetrico ( per portare alla vita il suo ultimo figlio ) .

Egli diventa il medico e il farmacista della sua famiglia, che cura con metodi naturali ( idroterapia, fangoterapia….) da lui studiati sui libri di Khune e Salt .

Nel 1904, mentre sale sul treno che dovrà portarlo da Johannesbur a Durban, il suo amico giornalista Polak gli dà un libro da leggere : si tratta di Fino all’ultimo di Ruskin . In questo libro il grande autore russo condanna l’industrializzazione e fa l’apologia di una vita semplice basata sul lavoro manuale . Gandhi, che senza chiudere occhio ha divorato il libro nella notte, all’alba è deciso a metterne in pratica i principi : e in effeti costituirà una fattoria in cui ciascun abitante “lavorando sodo, deve guadagnarsi la vita con un compenso eguale per tutti,”; lui, inoltre, “ nel tempo libero” si occuperà della stampa del portavoce della Comunità indiana ,’Indian opinion” ( da lui stesso fondato ) .

Il celebre avvocato – che in tale fattoria ha fissata la sua residenza, pur continuando per il momento a recarsi ogni giorno nel suo studio di Durban – medita di ritirarsi a poco a poco dalla professione e di guadagnarsi la vita, come gli altri residenti nella fattoria, con un lavoro manuale .

Intanto adotta un regime alimentare sempre più ridotto : un po’ di latte, dei frutti, delle noci, qualche legume .

Egli si rende conto che godere del superfluo è rubare ai poveri e vuole seguire l’esempio del fedecommissario che “pur avendo l’amministrazione di beni considerevoli, si guarda bene di considerarne la più piccola parte come di sua proprietà” . Tutto appartiene a Dio e Dio provvede a tutto : egli rifiuta la polizza che un agente di assicurazione gli ha proposto : la provvidenza d’ora in poi veglierà su di lui, su sua moglie e sui suoi figli .

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Gandhi da giovinetto aveva letto un opuscolo che faceva l’apologia della monogamia ; egli se n’era entusiasmato e aveva posto tra i suoi ideali la fedeltà ad un’unica donna, a quella che sarebbe stata sua moglie .

E l’osservanza di tale ideale, poi, gli riuscì tanto più facile in quanto divenne “appassionatamente innamorato “ della donna che il destino gli aveva fatto sposare, Kasturbai .

Dirà nell’Autobiografia , da lui scritta in età matura : “Nessun’altra donna mi attrasse mai come mi aveva attratto lei ( Kasturbai ) . Ero un marito troppo fedele, e troppo fedele rimasi al voto pronunciato dinanzi a mia madre, per rimanere schiavo d’una qualsiasi altra donna” .

Con tutto ciò Gandhi nell’Autobiografia confida al lettore alcuni casi in cui la sua fedeltà matrimoniale fu messa in serio pericolo, anche se “per grazia di Dio” non venne mai infranta .

Una volta un suo compagno lo condusse in un bordello. “In questa tana del vizio – si legge nell’Autobiografia rimasi cieco e muto. Mi misi a sedere sul letto accanto alla donna, ma avevo la lingua paralizzata : lei naturalmente perse la pazienza e mi mise alla porta con insolenze e insulti” .

Un’altra volta, in occasione del primo viaggio in Sudafrica, il comandante della nave, durante la sosta in un porto, lo condusse nel “quartiere delle negre” . Ne uscii – racconta Gandhi sempre nella Autobiografia – esattamente come vi ero entrato” .

Evidentemente il voto fatto alla madre e l’ideale monogamico avevano posto in lui così profonde radici da venire a costituire un vero e proprio “blocco psicologico” a rapporti con una donna che non fosse sua moglie .

Per cui si può dire che tutti i “peccati”, per cui così severamente e amaramente Gandhi si rimprovera nella sua Autobiografia, furono pur sempre commessi nell’ambito del matrimonio : per un certo periodo della sua vita Gandhi amò troppo appassionatamente sua moglie : ecco tutto .

Comunque si trattò di un breve periodo . Egli nelle dure lotte, che dovette ingaggiare in Sudafrica per la difesa dei suoi connazionali, si rese conto che si sarebbe trovato impari al compito se fosse stato preso dai pressanti doveri che un padre ha verso una numerosa figliolanza . E siccome allora , come sempre in seguito, fu contrario ad ogni sistema di controllo delle nascite che non si basasse sull’autodisciplina dei coniugi, decise di vivere con la moglie castamente . La consultò sul punto e ne ebbe da lei un generoso consenso . E tuttavia – confessa egli con la sua solita sincerità , nella Autobiografia – “anche dopo che la mia coscienza si era destata, fallii due volte . Fallii perché il motivo che generava lo sforzo non era tra i più nobili. Il mio principale scopo era di non avere più figli” . Solo quando la sua fede in Dio diventò più vigorosa, non cadde più nei piaceri della carne , “perché – spiega egli, sempre nell’Autobiografia – ogni attaccamento ai sensi nell’uomo naturalmente e senza sforzo scompare quando egli ha conosciuto il Supremo” .

In Satyagraha , Gandhi poi insegnerà che l’energia vitale accumulata con l’astinenza sessuale – completa o interrotta solamente per il sincero desiderio di avere un figlio – è “il più ricco capitale che un uomo può possedere . Ogni potere deriva dalla preservazione e dalla sublimazione della vitalità che è all’origine della procreazione….Colui che è capace di conservarla, ne ricava una forza senza cessa rinnovata e la tramuta in un’energia creatrice dell’ordine più alto, ma colui che la disperde, diventa vile ed effeminato” .

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Vile certo non era Gandhi né lo erano gli altri suoi connazionali del Sudafrica .

Quando l’Impero britannico si era trovato in guerra – prima, con i Boeri, poi, con gli Zulù – furono numerosissimi i membri della Comunità indiana, Gandhi in testa, che si arruolarono volontari per un senso di lealismo ( ahimè, quanto male poi ripagato !) verso l’Impero . Il loro compito era di portaferiti ( dato che l’orgogliosa autorità militare inglese rifiutò una forma più impegnata di loro partecipazione alla guerra ) e dovevano limitarsi ad agire al di là della linea del fuoco, ma spessissimo, con grande ardimento, avevano oltrepassata tale linea per riuscire a portare un più efficace soccorso .

E con tutto ciò, tale forte e coraggiosa Comunità, sopportò i soprusi dei Governi sudafricani senza reagire con un gesto di violenza .Ma non fu viltà, fu Satyagraha : fermezza nella verità ( Satya = verità ; agraha = fermezza ) .

Il concetto di Satyagraha nacque nel corso di un movimento di protesta contro un provvedimento oppressivo del Governo del Transvaal ; e su tale vicenda sarà bene soffermarci un attimo per il suo carattere emblematico .

Il Governo del Transvaal nell’Aprile del 1906 aveva emesso un’ordinanza che prevedeva per gli asiatici l’obbligo di iscrizione in pubblici registri di residenza ( il che era piuttosto giusto ); iscrizione accompagnata ( il che era un deliberato affronto ) da umilianti misure di polizia .

Gandhi convoca in un teatro di Johannesburg una riunione di suoi connazionali .

Egli parla a loro impavido : “Non rimane che una via aperta agli uomini come me, morire ma non sottomettersi alla legge . La cosa è molto improbabile, ma anche se tutti titubassero lasciandomi solo ad affrontare il pericolo, sono certo che non verrei meno al giuramento” .

Poi rappresenta lealmente ai presenti i pericoli che correrebbero se volessero a lui associarsi : confisca delle proprietà, imprigionamento, inedia, fustigazione, persino la morte . Nessuno si tira indietro: la riunione si conclude con il giuramento solenne di “tutti i presenti, in piedi con la mano alzata e con Dio come testimone, di non sottomettersi alla ( iniqua ) ordinanza” .

Si trattava ora di definire i principi su cui impostare la lotta per ottenere, di tale ordinanza, la revoca.

La “resistenza passiva” era già nota e praticata nel mondo civilizzato ; ultimamente con grande efficacia l’avevano usata le suffragette inglesi . Quando una minoranza non è abbastanza forte per impedire con il voto o con le armi una data legge, provoca l’intervento della polizia con un’aperta disubbidienza, contando sulla commozione dell’opinione pubblica alla vista della forza esercitata, con inevitabili episodi di brutalità, verso persone inermi . Però, salvo pochissime e luminose eccezioni ( quella di Socrate nell’antica Grecia, quella di Doukhohis, citata da Tolstoi ) chi finora era ricorso alla “resistenza passiva” , lo aveva fatto solo perché, pur odiando l’avversario, non aveva speranza di vincerlo con le armi : la resistenza passiva, così come era stata finora esercitata, meritava insomma di essere definita l’arma dei deboli, se non dei vili e degli ipocriti .

La lotta a cui invece Gandhi chiamava i suoi connazionali implicava, non solo il rifiuto di una violenza fisica ed esteriore, ma anche del minimo pensiero di odio contro gli avversari . Lungi dall’essere l’arma dei deboli, era l’arma dei forti ; perché forti bisogna esserlo davvero per sapere superare ogni senso di odio verso una persona che ingiustamente ci opprime .

Per questo Gandhi non aveva voluto riferirsi a tale metodo di lotta col termine riduttivo di “resistenza passiva”, ma di Satyagraha : fermezza nella verità .

E fermi furono veramente nella loro lotta gli indiani del Sudafrica . Sia gloria a loro ! Botha, il presidente del Transvaal, invia a una loro riunione Wuillia Hoska, un liberale, amico anche di Gandhi, per tentare di ridurli alla “ragionevolezza” . “Mi trovo qui – annuncia Hoska – “su richiesta del generale Botha . Egli vi rispetta e si rende conto dei vostri sentimenti, ma dice di non potere fare nulla . Tutti gli europei del Transvaal chiedono questa legge . Gli indiani sanno perfettamente bene quanto è potente il Governo del Transvaal ; resistere al Governo significherebbe battere la testa contro un muro . Mi auguro che la vostra Comunità non voglia andare incontro alla rovina con una vana opposizione “.

Tocca a Gandhi tradurre il discorso, ma la risposta la dà con eloquenza, per tutti i presenti, un umile commerciante, Muhammad Kachalia, che mai fino ad allora si è interessato di politica : “Ho ascoltato – dice – il discorso del signor Hoska . Sappiamo quanto è potente il Governo del Transvaal . Ma esso non può fare nulla di più che applicare la legge. Ci getterà in prigione, confischerà le nostre proprietà, ci deporterà, ci impiccherà . Noi sopporteremo tutto ciò di buon animo, ma non possiamo semplicemente rassegnarci a questo provvedimento” . E poi, puntando le dita alla gola, tuona : “Giuro in nome di Dio che mi lascerò impiccare ma non mi sottometterò a questa legge, e mi auguro che tutti i presenti facciano altrettanto” .

Gandhi è uno dei primi ad essere arrestato . Davanti alla Corte, imbarazzata di dover perseguire uno dei più stimati tra gli avvocati, che davanti ad essa abbiano difeso, Gandhi senza iattanza si riconosce colpevole e, quasi a sollevare i suoi giudici da una penosa decisione, chiede per sé il massimo della pena. Gli vengono inflitti due mesi di carcere semplice . La sua condanna, lungi dall’intimidire, fa nascere tra i suoi connazionali una nobile emulazione nel seguirlo nell’Hotel re Edoardo ; così come viene chiamato da Gandhi il carcere, per sdrammatizzare la sua permanenza in esso .

Il generale Smuts, ministro degli affari esteri nel Gabinetto di Pretoria, si fa portare nel suo ufficio l’avvocato ribelle : perché non mettersi d’accordo ? Gli indiani facciano di loro iniziativa la registrazione e la legge che la impone sarà tolta dal codice E’ un accordo onorevole : Gandhi lo ritiene accettabile . “Dove devo andare ?” domanda alla fine del colloquio . Il generale ride e risponde : “Sto per telefonare alle autorità della prigione di liberare gli altri prigionieri” .

Le critiche a Gandhi sono numerose : chi assicura che il Governo manterrà le sue promesse ? Gandhi spiega che rientra nei doveri di un Satyagrahi dar fiducia ai suoi avversari .

Ahimé è una fiducia mal riposta : gli indiani si iscrivono, ma il Governo non abroga la legge .

Si riprende la lotta, Gandhi viene di nuovo arrestato e questa volta condannato ai lavori forzati . Viene messo in cella in compagnia della peggiore teppaglia, in compagnia di criminali Kaffir “minacciosi, corrotti, libidinosi” . Al giorno scava sotto la sorveglianza di brutali guardiani, le mani coperte di vesciche, la terra . La sera e la Domenica medita sulle opere di Ruskin, di Thoreau e di altri autori che gli è possibile procurarsi in prigionia .

E’ in queste asperità che la sua personalità assume quella ferrea forza che la caratterizzerà in avvenire !

La lotta contro il Governo del Transvaaal continuerà a lungo, anche dopo che Gandhi sarà uscito dal carcere . Com’è umano, molti degli indiani del Sudafrica a poco a poco si rassegneranno alla sconfitta da parte di un Governo forte e brutale . Però un piccolo drappello di Satyagrahi e Gandhi, persisteranno e, alla fine, l’opinione pubblica internazionale, commossa da tale impavido coraggio, costringerà il Governo sudafricano a cedere .

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Il 18 Luglio 1914, festeggiato trionfalmente, Gandhi lascia definitivamente il Sudafrica : torna in patria .

Vi torna circondato da vasta fama come eroico difensore dei diritti della popolazione indiana in terra straniera . Vi torna perché pensa di essere lì più utile alla Madre India .

Ma qual è il suo programma politico ? quello di cacciare gli inglesi ? no, assolutamente : ché non sono gli inglesi che asserviscono l’India, ma la loro civiltà . E’ di questa, dunque -–spiegherà Gandhi in un suo libro diventato famoso, Hind Swarà ( Swaraj = indipendenza ) – che bisogna liberarsi ; di questa “civiltà satanica….che non tiene conto né della morale né della religione” , che riduce gli operai a una “condizione peggiore di quella delle bestie” , che fa degli stessi europei dei poveri esseri “mezzi-matti” , affetti da “malattie immaginarie”, privi di forza e di coraggio , dediti a droghe ed eccitanti per darsi un illusorio surrogato di questo e di quella .

“Gli inglesi – sostiene arditamente Gandhi nel suo libro – non hanno preso l’India, ma noi gliela abbiamo donata” accettando la loro civiltà . E ora l’India geme “sotto il piede orrendo di questo mostro” . Mostro tanto più temibile in quanto lo si fa oggetto di una cieca ammirazione ; di un’ammirazione non giustificata : ché la situazione dell’Inghilterra è “pietosa”; il suo parlamento non è che una “prostituta”; i suoi uomini di legge e di medicina, dei “nidi di vipere” , colpevoli di rovinare il corpo e l’anima ; i suoi ospedali – con le loro medicine che ( apparentemente ) leniscono il dolore, ma che in realtà servono solo ad affievolire la volontà e quindi a far degenerare l’uomo – delle istituzioni “per propagare il peccato”; e identico appunto può muoversi anche alle sue industrie e alle sue ferrovie : tutte cose che in definitiva, non rendono più forte, ma più schiavo e miserevolmente debole l’uomo .

Torniamo, quindi – ecco l’ardito programma che addita Gandhi ai suoi connazionali – alla nostra “antica civiltà indiana” , alla vita semplice dei nostri villaggi, all’artigianato e in particolare alla tessitura a mano, ai prodotti swadeshi ( indigeni ) : una volta liberatici dai corruttori costumi europei, una volta ridiventati padroni del nostro mondo interiore, avremo la vera swaraj , chè swaraj significa appunto governo ( raj ) di se stessi ad opera di se stessi ( swa ) .

Il coraggio certo non mancava a Gandhi ! e quasi saremmo tentati di parlare di fanatico, bigotto coraggio, se non sapessimo che a parlare così è un uomo, un uomo di legge, per tanti anni spregiudicatamente dissetatosi a tutte le fonti della cultura occidentale, un uomo che si è sempre reso estremamente disponibile ad ogni nuova conoscenza, ad ogni nuova esperienza spirituale e intellettuale . E allora si è portati a pensare che chi parla così è un Profeta, un Profeta da Dio misericordioso mandato a impedire, all’India e, sull’esempio dell’India, a tutta l’Umanità, d’imboccare una strada che porta alla rovina .

Ma i messaggi dei profeti, anche se un sano istinto ci dice che sono giusti, non è facile osservarli ! Gandhi si rende ben presto conto che gli ideali da lui espressi in Hinh Swaraj non possono attrarre che una piccola elite , e col suo solito senso del limite e della realtà scrive nel numero del 26 gennaio 1921 di Young India : “Lavoro individualmente per l’autogoverno là ( cioè in Hind swaraj)

descritto , ma oggi la mia attività pubblica è indubbiamente dedicata al conseguimento della swaraj parlamentare, in armonia con i desideri del popolo indiano . Non miro a distruggere le ferrovie e gli ospedali, anche se gradirei la loro naturale distruzione . Né sto mirando a una distruzione definitiva dei tribunali, pur considerando che ciò sia augurabile . Ancor meno sto cercando di distruggere tutti i macchinari e le industrie .Ciò richiederebbe maggiore semplicità e maggiori rinunce di quelle che il popolo è preparato a fare . La sola parte del programma che viene in questo momento attuata nella sua integrità è quella della non-violenza . Ma anch’essa non viene applicata nello spirito del libro ( di Hind Swaraj , cioè )”.

Si noti come l’accento, da Gandhi, sia posto, non sulla liberazione dallo straniero, ma sulla non-violenza . E infatti il compito storico che Egli si assegna, non è di portare l’India all’indipendenza politica ( all’indipendenza , cioè, con la i minuscola, contrapposta all’Indipendenza di cui aveva parlato in Hind Swaraj ) : è nell’ordine delle cose che a tale indipendenza l’India pervenga : come non può riuscire, un popolo di 250 milioni di persone, a scuotere il giogo di un esercito di meno di trecentomila soldati ( ché l’esercito inglese in India non superava tale cifra ) ?! Il difficile, quasi sovrumano compito che Gandhi si assegna è di portare l’India all’indipendenza mediante un’azione non-violenta . Non sono solo i fini che contano : i mezzi sono tanto importanti quanto i fini !

Ed ecco il Gandhi del 1922 che – proprio quando il movimento di disubbidienza civile da lui da lungo tempo preparato sta per concludersi vittoriosamente -, saputo di un barbaro linciaggio di 22 inglesi compiuto dalla plebaglia, nel timore di un diffondersi di altri atti di violenza , ne ordina la cessazione . Chandra Bose, uno dei leaders nazionalisti, dovrà al proposito ricordare molti anni dopo : “Mi trovavo con Deshbandu in quei giorni e constatai ch’era fuori di sé per l’ira e il dolore a causa dei ripetuti errori di Gandhi” . E identica a quella di Deshbandu, fu la reazione degli altri leaders nazionalisti : nessuno di loro riusciva a capacitarsi della decisione di far cessare un’azione politica proprio sul punto in cui sembrava felicemente concludersi . Essi erano tutti persone coraggiose, anzi coraggiosissime ; però non avevano il coraggio nella verità di Gandhi ! Il coraggio di seguire la verità, di dire la verità, senza lasciarsi condizionare da calcoli politici !

Quando il principe di Galles arriva a Bombay nel Novembre del 1921 si verificano gravi tumulti nel cui corso 58 persone rimangono uccise e 381 ferite . Gandhi in un messaggio alla popolazione di Bombay afferma che la “nostra” non-violenza era stata peggiore della violenza dei nostri avversari “poiché con la non-violenza sulle labbra abbiamo terrorizzato coloro le cui idee differivano dalle nostre …lo swaraj al quale ho assistito in questi ultimi due giorni, mi puzzava nelle narici” .

Ritorniamo, facendo un passo indietro, nel 1916. Gandhi è , sì , famoso in India, ma, in fondo, è un “nuovo arrivato” . A questo “nuovo arrivato” si “fa l’onore” d’invitarlo all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università indù di Benares . Il “nuovo arrivato” sale sul palco degli oratori alla presenza della migliore società – vi sono maharajà, vi sono alti funzionari inglesi in abiti suntuosi, vi sono le loro mogli ingioiellate – e ( quale mancanza di fair play !) Gandhi si mette a rimproverare tutto quel loro sfoggio di ricchezza : “Ogni volta che sento parlare di un grande palazzo sorto in una qualche città dell’India, si tratti dell’India britannica o si tratti dell’India governata dai nostri grandi capi, divengo subito geloso e dico : -Oh, è denaro che proviene dai contadini” . Annie Besant, che preside l’augusta cerimonia, irritata, gli grida : “Vi prego, tacete” . Un anziano funzionario inglese bofonchia :”Dobbiamo impedire a quest’uomo di dire simili scempiaggini” .

Può darsi, signor funzionario, può darsi che “lo dobbiate”, ma non vi sarà facile con un uomo come Gandhi, un uomo che possiede la Swaraj ( con la esse maiuscola : la libertà, l’indipendenza dalle passioni, in primis dalla paura ) : lo mettete in carcere e tutto il mondo s’informa “Che cosa ha detto un uomo così sincero e leale, per essere messo in carcere ?”, lo portate al patibolo e tutto il mondo s’informa “Che cosa ha fatto un uomo così nobile per essere portato al patibolo ?” Oh, che grosso rompicapo, eccellentissimo signor funzionario, sono gli uomini come Gandhi, per gli “uomini di potere” come Voi !

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In Gandhi la levatura del moralista non deve far dimenticare l’efficienza dell’organizzatore e del leader politico .

Ci dà un’idea di quanto grande essa fosse, il racconto che William Shirer, un giornalista americano, fa ( in un bel libro dal titolo Mahatma Gandhi ) delle trattative svolte nel 1931 tra il leader indiano, in rappresentanza del Congresso, e Lord Irwin, in rappresentanza dell’Inghilterra . Ne stralciamo alcuni brani : “Quella riunione, come tutte la altre, era limitata agli uomini del Congresso e durò fino alle due del mattino . ( Da essa, Gandhi ) uscì sereno e sorridente, senza mostrare alcun segno di fatica, come se quasi undici ore di ininterrotti colloqui, con il viceré, prima, e con la gente, poi, fossero appartenuti a un’altra giornata . Se aveva sonno, non glielo si leggeva in viso e, invece di andare a letto, erano ormai passate le due, decise di mettersi a filare per un’ora, annunciando in tono scherzoso, prima di iniziare il silenzio ( Shirer si riferisce qui alla giornata di assoluto silenzio che ogni settimana Gandhi si imponeva –n.d.t. ), che doveva recuperare la sua parte quotidiana di duecento iarde di filo : quel giorno non ne aveva ancora trovato il tempo . Rimasi per qualche minuto a guardarlo filare e poi, stanco e assonnato com’ero, me ne andai (….). La mattina seguente Desai mi raccontò che Gandhi aveva filato per un’ora, preparando le sue duecento iarde di filo, aveva dormito per un’ora, alle quattro si era alzato per la preghiera mattutina e poi era uscito per la sua quotidiana passeggiata di quattro miglia . Cominciavo a rendermi conto di quanto fosse errato da parte di tutti noi parlare e scrivere di Gandhi come di un fragile vecchietto . Con il moto, la dieta e l’autodisciplina a sessantun anni quell’uomo aveva il fisico di un atleta . Ed era di ferro, anche di questo cominciavo soltanto allora a rendermi conto.(…) Martedì 3 Marzo, Gandhi si rifece del suo precedente giorno di silenzio, trascorrendo tutta la giornata al palazzo vicereale, a colloquio con Lord Irwin e i principali membri del governo . Dopo un intervallo per il pasto e le preghiere, vi ritornò la sera alle nove, sotto una pioggia battente e rimase a palazzo fino a mezzanotte . Si stava manifestando un aspetto di Gandhi che pochi, all’infuori dei suoi stretti collaboratori, conoscevano e che sbalordiva, non solo i giornalisti, ma anche il viceré e gli uomini più duri del consiglio inglese. Era la sorprendente capacità del Mahatma di cogliere i particolari . Non stava soltanto negoziando un accordo di carattere generale, ma contrattava con insistenza ogni minimo particolare. Quel suo modo di lavorare era decisamente troppo per il viceré, che per due volte durante la giornata delegò le trattative al suo segretario agli interni, da cui dipendeva la polizia, e in secondo tempo al segretario alle finanze (….) .Una volta di più un senso di oppressione scese sulla casa del dottor Ansari quando la riunione del Comitato si interruppe poco prima delle dieci di sera . Gandhi tuttavia pareva non condividere la generale tristezza. Quando uscì dalla riunione era pieno di vivacità come sempre e si fermò a scambiare qualche parola con me . “Non c’è ancora alcun accordo” disse . “E non ce ne saranno per questa sera” . Poi, scoppiando in una risata e battendomi una mano sulla spalla, aggiunse : “Bene, mio caro Mr. Shirer, ora può andare a casa e farsi una bella dormita” .

Gandhi aveva il cuore di San Francesco e la volontà di un Napoleone Bonaparte : come questi normalmente non dormiva più di quattro ore, come questi era in grado di addormentarsi, recuperando così preziose energie, in qualsiasi circostanza in forza di un semplice suo ordine mentale : se voleva dormire, chiudeva gli occhi ed… era cosa fatta ; come Napoleone era dotato di uno spirito di osservazione e di una memoria gigantesche .

La sua capacità di autodisciplina era semplicemente formidabile : dovendo essere sottoposto ad un’operazione chirurgica, per un’appendicite che minacciava di andare in peritonite, rifiutò ogni anestesia anche locale e, mentre il chirurgo operava, si intrattenne a parlare sorridendo con chi lo circondava .

Questa grande Anima, questo Mahatma, fu ucciso da un pazzo indù il 30-1-1948 .

Il mondo ancora lo piange .

Gandhi: oroscopo

2 . 10 1869 07h 45m LMT 03h 06m GMT

Ascendente,Scorpione Sole, in Bilancia

Certamente non mancano nella carta del cielo gli elementi che indicano in Gandhi la persona destinata ad emergere . Sia nella professione , Saturno in Sagittario e in casa II (= “Sicura posizione finanziaria dopo lunghe lotte” – Gandhi principe del Foro in Sudafrica dopo gli iniziali insuccessi in India ), sia, più in grande, nella vita sociale : Giove in Toro e in casa VIII ( = “ E’ in genere indice di posizione sociale influente” ), Luna in Leone e in casa X (= “ Individui che conquistano il mondo soprattutto grazie al proprio eccezionale fascino e la forza di attrazione addirittura magnetica che ne emana” ) .Ma sempre la carta del cielo indica anche le gravi sventure che andranno a colpire Gandhi ( i ripetuti imprigionamenti, la morte violenta, la depravazione del figlio maggiore…) : Sole in Bilancia e in casa XII ( = “Questa combinazione sembra essere una delle più sfavorevoli che si possano trovare in un tema di natività. Tragici rovesci minacciano sul piano sociale e professionale, culminando in un fallimento totale e irreparabile – il fallimento per Gandhi non fu totale, ma certamente un parziale fallimento rappresentò per Lui la divisione dell’India in due Stati e la sanguinosa lotta tra indù e musulmani ).

Ma torniamo alla predominante posizione sociale che ebbe Gandhi : fu meritata ? Certamente, sì : non mancano davvero nella carta del cielo del Mahatma gli elementi denotanti “buone qualità” : Mercurio all’Ascendente ( = “ Indice sicuro di intelligenza superiore “ ), Sole in trigono con Saturno ( = “Serietà, capacità di concentrazione, profondità di pensiero, diligenza e coscienziosità. Per lo più si tratta di persone spiritualmente elevate “) , Giove sestile Urano ( = “ Perspicacia, interesse per molti essenziali problemi della vita, specie per questioni sociali. Favorevole per la carriera nel campo didattico” ), Urano sestile con Plutone ( = “ Scoperte tecniche” – Gandhi che inventa un nuovo tipo di filatoio ).

moglie e addirittura un suo tentativo di frequentare prostitute – tentativo fallito sia per sue inibizioni ( Luna quaPerò, con grande disappunto per l’astrologo , che , come me , è stato sempre un ammiratore del Mahatma , nella carta del cielo non mancano neanche gli elementi negativi. Che però, a mio parere, non diminuiscono per nulla la grandezza di Gandhi : infatti gli aspetti, le posizioni degli astri nel cielo di nascita indicano solo le tendenze, le direttrici di marcia del neonato, ma non escludono che questi usando del libero arbitrio possa modificare le une e le altre . Specie quando, come Gandhi, è dotato da una notevole capacità di autocritica e di autoesame : Saturno trigono a Nettuno ( = “Spietata autocritica e autoanalisi” ), Luna in trigono con Saturno ( = “ Natura sotto continuo controllo della ragione. Elaborazione mentale delle esperienze vissute” ). Tanto premesso passiamo a esaminare gli elementi che rappresentano le “ macchie oscure “ della personalità di Gandhi . Venere in Scorpione e in casa I ( = “ Tutto ciò che ha attinenza con gli istinti sessuali occupa un posto di primaria importanza nella vita. A volte – e specie quando si tratta di persone spiritualmente elevate – questi istinti vengono domati e superati dopo aspre lotte “ ), Luna quadrata con Plutone ( = “ Vittima dei propri bassi istinti. Sete di vita e di piacere che si cerca di placare nel mondo del vizio e della dissolutezza” ). Gandhi stesso ebbe a confessare i suoi “peccati” in materia sessuale : la troppa assiduità con la drata Venere = “ Pudore esagerato. Impedimenti psichici che in primo luogo rendono difficili i rapporti con l’altro sesso” ) sia per la sua stessa raffinatezza ( Luna trigona con Nettuno = “ Vita affettiva e sensuale estremamente raffinate” ). Ma noi sappiamo anche che Egli seppe vincere e domare la sua sessualità. E passiamo a un altro aspetto oscuro del carattere di Gandhi : Sole quadrato a Marte ( = Il soggetto è irascibile, perde facilmente la pazienza, difende con violenza il proprio punto di vista” ), Acquario in casa IV ( = “ Il soggetto spesso si lascia andare “) , Venere congiunto a Marte ( = può trattarsi di persone che “ sfogano i propri cattivi umori in eccessi di collera” ), Marte opposto a Giove ( = “ Intemperanza e mancanza di ritegno nei discorsi e nelle azioni”). Lo stesso Gandhi confessa ( nella sua Autobiografia ) diversi episodi ( uno schiaffo dato a un suo allievo, una lite in pubblico con la moglie…) che rivelano i difetti segnalati dalla carta del cielo ; però risulta che anche di tali difetti Egli seppe emendarsi. Gli elementi ( negativi ) finora indicati in fondo erano ben conosciuti dagli storici; quello segnalato dagli aspetti che veniamo subito a indicare sembra invece del tutto inconciliabile con la icona tradizionale di Gandhi : Nettuno in Ariete e in casa VI ( = “ Mentitore patologico” , ma anche – e va segnalato perché indice che l’occultamento della verità non viene fatto per basso tornaconto personale ma per la tutela di entità politiche – “ Missioni segrete per incarico di organizzazioni sovversive , partecipazione a congiure” – e, se non a congiure , a movimenti sovversivi dell’ordine costituito, Gandhi senza dubbio partecipò ), Mercurio in Scorpione e in casa XII ( = “ Natura bugiarda”),Venere opposta a Plutone ( = “ Concezione di vita negatrice dei suoi valori duraturi che con cinica indifferenza si pone di fronte alla civiltà e a tutto ciò che è stato creato della storia e dell’arte” – ricordi il lettore la corrosiva critica che Gandhi fa della civiltà moderna in Hind Swarà), Marte opposto a Nettuno ( “ Glorificazione della violenza tanto nelle parole quanto negli atti. Volontà distruttiva”. Chiaro che la interpretazione dei vari aspetti data dal Sementovski ( non si dimentichi che le parole tra virgolette sono sue ) e da Lui ricavata dall’analisi di più persone ( anche eccezionali ma non eccezionalissime come Gandhi ) va adattata a una personalità che , come quella di Gandhi, è ( e risulta da tutto il quadro astrologico ) di staordinaria levatura spirituale . Gandhi era un violento? Sì, ma nel senso che “portava la spada” di evangelica memoria : ogni Profeta finisce in un certo senso per far violenza alla società in cui vive. Certo i metodi di lotta di Gandhi erano “non-violenti”, ma erano sentiti come violenti ( ed obiettivamente lo erano : tanto che provocavano l’intervento della forza pubblica per ristabilire l’ordine ). Certamente i governanti del Sudafrica e dell’India concorderebbero con il ritratto astrologico di Gandhi-violento che sopra risulta. Ma da quanto detto sopra anche risulterebbe che Gandhi era un mentitore. Ora neanche gli avversari di Gandhi gli hanno mai attribuito un difetto di lealtà e veridicità. Allora l’astrologia sbaglia ? Io direi di no; solo che l’interpretazione del Sementovshy va leggermente rettificata: Gandhi era un uomo le cui vere idee erano radicalmente diverse da quelle delle persone con cui interloquiva ( Nettuno opposto al Sole = “ Un abisso incolmabile divide l’intimo mondo dei sentimenti e dei pensieri del soggetto dalle condizioni del suo immediato ambiente”) ; quindi è ben possibile che Egli, per non dare le “perle ai porci”, sia stato costretto continuamente a un’opera di autocontrollo per “velare” il suo vero sentire.

Gandhi : analisi grafologica del Moretti.

Il Moretti ritrova “ la principale tendenza psichica di Gandhi” nella “ volontà di soprastare”. “Soprastare” ( cioè, acquisire il potere per influire sulla società e sugli avvenimenti) perché, per quale scopo, si domanda il Moretti: per far del bene al prossimo e al suo stesso popolo ? Il Moretti lo esclude: infatti giudica “ la bontà di Gandhi mediocre in quanto ha soli 4/10” ( e a dir il vero neanche all’astrologo è dato rinvenire nella carta del cielo di Gandhi elementi che indichino per una sua particolare “bontà”) e ritiene la “tendenza al comando di Gandhi” solo all’apparenza dettata dall’altruismo ( per usare le parole precise del Moretti, Gandhi “ può avere una forma esterna d’altruismo e può essere da lui orpellata da questa forma” ) e in realtà scaturente da altri motivi ( che il Moretti non indica, ma che noi pensiamo di rinvenire nella fredda, non sentimentale, volontà di giovare al progresso dell’umanità). Comunque sia, se il target è l’acquisizione di un potere che permetta di influire sulla società ( così a noi piace “addolcire” la “tendenza a comandare” di cui parla il Moretti ), Gandhi ha l’intelligenza necessaria per raggiungerlo ? Ebbene il Moretti riconosce a Gandhi una “ profonda intelligenza” ( le sue parole: “la tendenza al comando di Gandhi ha a sua disposizione un’intelligenza profonda di 8/10”); però un’intelligenza “non attrezzata”, per così dire, per difendersi dagli inganni e dalle trappole altrui: infatti “ la sua critica ( cioè, la sua capacità critica di Gandhi ) o forza di ragionamento è , ritiene il Moretti ,non poco sotto la mediocrità

( 3/ 10 )….per cui agli assalti repentini e inaspettati che non mancano mai a chi sta al comando, la sua forza ( cioè, la forza della sua intelligenza, ancorché “ profonda” ) s’intozza ed è sconfitta dalla scaltrezza”. Vero è che a tale deficienza “ Gandhi pone un riparo abbastanza valido con l’attitudine intellettiva alla psicologia per cui riesce a penetrare l’animo altrui tanto individuale come collettivo”. Però questo è rimedio insufficiente, onde Gandhi, secondo il Moretti, “ potrebbe dirsi un ideatore a tavolino”, piuttosto che un lottatore” in grado di raggiungere il potere. Ma la “fermezza”, la “ inflessibilità” del carattere di Gandhi? Esse, sì, anche per il Moretti esistono, ma forse che servono a realizzare la “tendenza al comando” di Gandhi ? No, risponde risolutamente il Moretti, esse servono solo “ a mantenerla irragionevole” ( l’ostinarsi di Gandhi su posizioni sbagliate o, comunque, giudicate dai più “perdenti” , che abbiamo rilevato nell’analisi astrologica ? ).

Nell’analisi astrologica ci eravamo imbattuti ( con una certa costernazione ) in una “ insincerità” di Gandhi : è questa una macchia che appare anche all’analisi grafologica ? Si, infatti per Moretti “ la sincerità oggettiva di Gandhi è sotto la mediocrità, per cui potrei chiamare Gandhi una spontaneità insincera, che ci costringe a considerarlo un commediante che fa da re e che si considera veramente tale anche fuori di scena. Onde Gandhi è commediante principalmente con se stesso, benché possa non credersi tale”. Ma , secondo noi, qui è piuttosto la grafologia ( come l’astrologia) che , essendo costruita sull’esame di persone “normali”, si trova in difficoltà a giungere a conclusioni accettabili quando si trova ad analizzare personalità decisamente fuori della norma. Senza dubbio vera, invece, perché confessata dallo stesso Gandhi, la su tendenza ad un forte “ intenerimento sessuale” che il Grafologo puntualmente rileva ( come già aveva rilevato l’Astrologo ).

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