L’uomo che cerca la verità, il filosofo

Sommario: 1 – Dove c’è il due, là c’è il timore;
2 – Una rivoluzione esistenziale: porre l’IO centro e Dio alla periferia;
3 – l’IO è immortale, onnipotente, onnisciente, onnipresente;
4 – Unità del tutto;

Advaita Vedanta

1 – Dove c’è il due, là c’è il timore

Junior –Credi tu che Dio esista? Che esista un Quid che ha avuto il potere, per la mente umana inconcepibile, di autocrearsi, e di autocrearsi dal nulla, dato che nulla prima di lui esisteva; e che, come aveva e ha tale potere di autocrearsi dal nulla, aveva e ha il potere di creare dal nulla ?

Senior- No, io non ci credo; dato che io credo solo a ciò di cui ho esperienza diretta : crederò in Dio quando vedrò Dio(1) ; però ho fede che Dio esista. Una fede basata, sia sul fatto che Persone di assoluta onestà e altruismo, equilibrate e sagge, e, più che sagge, sapienti, in Dio hanno creduto, sia sul fatto che la stessa ragione mi porta a ritenere, di Dio, la esistenza. La ragione infatti mi dice che dal “meno” non può venire il “più”, ma al contrario che è dal “più” che può venire il meno(2). Quindi Adamo non può venire né da una nebulosa né da una scimmia, ma da un Essere di intelligenza e potere superiore ai suoi ; e tale Essere, a sua volta, non può venire che da un Essere a lui superiore per potere e intelligenza…..

Junior -….. e così ad infinitum

Senior- No, la ragione si rifiuta di retrocedere all’infinito ; e ciò mi porta a credere a un Dio infinito(3).

Junior – Quindi, secondo te, Dio esiste ed è onnipotente.

Senior – Dio è onnipotente in due sensi diversi : nel senso che ha un potere infinito, cioè un potere che nessuno e niente può limitare, e nel senso che tutti i poteri, tutte le manifestazioni di potere, derivano da Dio e a Dio vanno riferiti (4) : ciò che Adamo fa, sia nel bene sia nel “male”, lo fa Dio tramite Adamo.(5)

Junior – Dunque il potere di Dio è dato dalla somma di tutti i poteri nell’Universo esistenti.

Senior – No, il potere di Dio non è dato dalla somma di tutti i limitati poteri che esistono : credere ciò sarebbe cadere nell’errore di certi panteisti: Dio ha un potere infinito.

Junior – Ma noi, a tale Essere dotato di un potere infinito, possiamo anche attribuire una infinita bontà ?

Senior – Certamente dobbiamo pensare a Lui come a un Essere privo di odio. E infatti l’odio è il sentimento che ci porta a distruggere ciò che ci è d’ostacolo nella realizzazione dei nostri desideri. Ma, siccome tale essere non può avere desideri, già tutto avendo e nella sua pienezza, e non può avere ostacoli, dato che non può esservi niente e nessuno che abbia quel potere infinito necessario per ostacolarlo(6), dobbiamo escludere che Egli possa odiare.

Junior – Ma Dio è capace di amore?

Senior – Se mi domandi se è capace di “beneficare”, la risposta è ovvia: Egli è il sommo bene, ciò che vuole è bene, per definizione, dato che è bene quello che Egli vuole. Se mi domandi se Egli può amare, nel senso di diligere, la risposta è di nuovo ovvia: no, egli non può amare in un tale senso, dato che è inconcepibile che un Essere dotato di un infinito potere sia “portato” (il che è come dire, “tratto”, “vincolato”) ad amare in modo particolare un determinato essere. Si può quindi parlare dell’amore di Dio così come si parla del calore del sole – calore che riscalda tutti, sia la tigre che sbrana l’uomo sia l’uomo che è sbranato dalla tigre (chi non ricorda l’evangelico sole divino, che splende sia sul santo che sul peccatore)?

Junior – Un Dio che non mi ama, che lascia che la tigre mi sbrani, io non posso che odiarlo.

Senior – E io non ti dico di non odiare Dio; ti dico solo: assolutizza il tuo odio, trasformalo in un odio sacro (7).

Junior – Com’è possibile?

Senior – E’ possibile se questo odio è da te accompagnato dalla consapevolezza che proviene da Dio. Perché la verità è questa: che tu odi Dio perché Dio così vuole: le tue parole d’odio, sono parole che Dio stesso ti ispira ( 8 ).

Junior – Assurdo.

Senior – Assurdo? E forse che sei tu a far funzionare il tuo cuore, forse che sei tu a far funzionare i tuoi polmoni, mentre tali parole di ribellione pronunci?! Sei tu che tieni in vita questo tuo corpo, mentre alzi il pugno al Cielo? Dio è grande, grande al di là di ogni concezione umana: proprio mentre l’uomo crede di ribellarsi a Lui, Dio lo usa per i suoi piani

Junior – Ma è proprio questa trascendentale grandezza di Dio, che mi terrorizza, che mi angoscia: è per me come essere in balia di un pazzo; e infatti che differenza c’è, dal punto di vista di me, povero mortale, tra un pazzo e un Essere talmente lontano da me com’é Dio ? Se pazzo è chi ragiona fuori della logica comune, a un pazzo non posso non paragonare un essere, che, superiore infinitamente a me, non può che pensare se non in un modo infinitamente diverso dal mio.(9)

Senior – Della tua angoscia io mi rendo conto ; ma per tale angoscia non manca la medicina. Come ti mostrerò nel prosieguo del nostro discorso.

Note a capitolo I

(1) Swami Vivekananda , Entretiens et causeries ( Edit. Albin Michel, p.304 e ss , nella mia traduzione ): “La dimostrazione , la più perfetta che noi troviamo in un qualsiasi dominio della scienza umana non può che rendere un fatto probabile , e niente di più. I fatti i più dimostrabili delle scienze fisiche non sono che probabilità, non sono ancora dei fatti. I fatti non si trovano che nei sensi. I fatti debbono essere percepiti, e per dimostrare a noi stessi la religione, é necessario che noi la percepiamo. Ci é necessario sentire Dio con i nostri sensi per essere convinti che vi é un Dio. C’é necessario sentire con i nostri sensi i fatti della religione per sapere che essi sono dei fatti. Nient’altro, nessun ragionamento, ma solamente ciò che percepiamo noi stessi, può fare che queste cose siano reali per noi, può rendere la nostra credenza salda come una roccia” .

Da, Alla ricerca di Dio ( Ubaldini editore, p.380 ) : “Signore, credete in Dio? – fu chiesto al Maestro. Si – Egli rispose. Potete provarlo, Signore? – Sì – E come? – Perché io vedo Dio come vedo Voi, ma molto più intensamente.

Interessante quel che scrive J.Evola ( in L’arco e la clava, editore Scheiwiller, p.85 ) : “Il mondo classico nei suoi aspetti più alti e originari ignorava la “fede” nel senso corrente, la sua religiosità basandosi essenzialmente sul sentimento della realtà e della presenza effettiva delle forze divine (…..) La “fede” non ebbe una parte di rilievo nella visione della vita dell’uomo antico perché il sentimento delle forze divine faceva parte in modo così naturale e diretto della sua esperienza e della sua vita quanto, sul loro piano, ne era il caso pei dati del mondo sensibile (…..) Che gli dei guardino gli uomini, che essi siano presenti nelle loro feste e nei simposi rituali ( la romanità conobbe la cerimonia caratteristica del lettisternio ), che essi appaiano, seggano presso di loro e così via, queste immagini del mondo antico non sono semplici fantasie”.

L’attuale decadenza della società umana è dovuta al fatto e unicamente fatto che l’uomo moderno ha troncato il cordone ombelicale che lo connetteva al Cielo.

2) Se da A provenisse A + un quid pluris , da dove sarebbe tratto questo quid pluris? Dal nulla? Ma dal nulla deriva il nulla,insegna Vivekananda ( Jnana-Yoga,Fratelli Bocca editore,1949 , p.235); e ancora ( ivi , p.32 ) “Ogni evoluzione presuppone una involuzione. Lo scienziato moderno vi farà sapere che potete da una macchina ottenere quel tanto di energia che precedentemente vi avete immessa. Da nulla non si fa nulla”.

3) Ecco come Vivekananda propone (in, Jnana-Yoga, cit., p.253 ) un’altra dimostrazione dell’esistenza di Dio: “ Non possiamo concepire il cambiamento senza che sussista qualche cosa che non cambia. Possiamo soltanto concepire il mutabile avendo nozione di qualche cosa ch’é meno mutabile, ed anche questo deve apparire più mutabile, in confronto ad un che di meno mutabile, e così di seguito, finché siamo obbligati ad ammettere che non può non esservi un “quid” che non cambia mai”.

4)-Da La Suprema Sapienza, di Yogi Ramacharaka, p.43, editore Venexia :

“ Abbiamo visto che fra le qualità e gli attributi che le leggi della ragione ci costringono ad attribuire all’Assoluto, vi é anche quella dell’onnipotenza o potere supremo. In altre parole, siamo costretti a considerare l’Uno come la sorgente di tutto il potere che esiste, é esistito ed esisterà nell’Universo. Il potere dell’Uno non solo é superiore a qualsiasi altro potere, ma non vi può essere altro potere e perciò tutte le manifestazioni o forme di forza e di energia devono essere parte di quella grande energia che emana dall’Uno”.

5) Sul problema della libertà dell’uomo diremo in seguito. Sul diverso problema se anche Dio sia soggetto alla legge, sia pure ad una legge da Lui posta, Ramakrishna si espresse in modo inequivocabilmente negativo. Significativo é il seguente episodio:

“Un giorno, durante un colloquio su Dio, Mathur Babu osservò : “Anche Dio é legato dalle leggi della natura perciò Egli non può agire del tutto a Suo piacimento”. Shri Ramakrishna rispose: “Che cosa andate dicendo? Dio é onnipotente, Egli può tutto ciò che vuole, e agisce come gli piace”. “Ma allora, chiese Mathur Babu, può Dio col suo solo desiderio produrre fiori bianchi su questo ibisco rosso ?”. “Certamente, rispose Ramakrishna, se Egli vuole, questo ibisco rosso porterà fiori bianchi”. Ma Mathur Babu non restò persuaso.

In realtà, dopo alcuni giorni, si poté constatare che una pianta d’ibisco nel giardino di Dakshineswar recava due fiori, uno rosso e uno bianco, su due rami differenti” ( Alla ricerca di Dio, cit. p. 189 )

Naturalmente Ramakrishna, così come ammetteva che la volontà divina possa derogare a certe “leggi”, così ammetteva la possibilità della “grazia”. Come risulta dalle seguenti sue parole : “Perché parlate continuamente del peccato e del fuoco dell’inferno ? Cantate il Nome di Dio. Dite una sola volta : “O Dio ho fatto delle cose che non avrei dovuto fare e non ho fatto ciò che avrei dovuto fare. O Signore, perdonami !”. Detto questo, abbiate fede nel Signore, e sarete liberati dai vostri peccati” (Alla ricerca di Dio, cit., p. 196 ).

Non tutti i teologi ritengono che Dio possa derogare alle leggi da lui stabilite. Cosa piuttosto assurda dal momento che le c.d. “leggi fisiche” ( e le stesse leggi karmiche di cui parlano tanto i teosofi ) non sono altro che generalizzazioni ( di comodo ) sul modo di verificarsi di certi fenomeni : l’esperienza dice che dopo A si verifica B e allora si afferma che c’è una legge per cui dopo A deve verificarsi B. Ma nulla esclude che a un certo punto si faccia l’esperienza – contraddicente alle precedenti – di un A a cui non segue un B ma un C. La possibilità di eccezioni a una legge ( quindi l’inesistenza di leggi assolute) é cosa oggi ammessa anche dagli studiosi della fisica ( e le teorie dei “quanti” e della “relatività” sono nate proprio dall’esigenza di ovviare, adottando adeguate formule matematiche, alle difficoltà pratiche che nascevano dalla constatazione delle irregolarità con cui si verificavano certi fenomeni – su questo punto si rinvia a J.Evola (Cavalcare la tigre, Edit. Scheiwiller.,p.185 )

E in realtà più che dire che la Natura agisce secondo certe leggi, si dovrebbe dire che – come l’uomo adotta certi abiti mentali che lo portano a ripetere certe azioni – così la Natura – a maggior ragione, data la sua maggiore inerzia – ripete ( come per un abito mentale sui generis) certi fenomeni in maniera eguale l’uno all’altro.

Cosa per cui anche l’ateo, così come riconosce possibile che un uomo a un certo punto cambi abitudine ( prima era abituato a mangiare il cibo A e un bel giorno decide di mangiare il cibo B ), così non dovrebbe vedere un’impossibilità che la Natura, nel suo evolversi, cambi le sue leggi. Quanto al Credente , egli sarebbe blasfemo, se negasse alla onnipotenza di Dio la possibilità di derogare a delle leggi da Lei costituite.

(6) Dato che due poteri infiniti non possono coesistere.

(7) Indubbiamente c’è un fondo di verità anche nel satanismo E tale verità va vista in questo: che quel che veramente il satanista odia, non è Dio, ma una caricatura di Dio, un Dio monco, un Dio umanizzato. Ma questa è una verità che va gestita con estrema cautela, come certi elementi chimici corrosivi che l’alchimista, intento nella sua “officina” a creare l’oro, usa.

Qui è il caso di ricordare che i Templari furono accusati di oltraggiare nei loro riti il Crocifisso. E l’accusa era probabilmente vera, ma nasceva da un fraintendimento dello spirito che animava il rito templare, che non voleva essere blasfemo, ma mirava ad estirpare nel neofita una concezione limitata e superstiziosa della Divinità.

Su Prometeo e sul significato del suo gesto ha scritto pagine, come al solito, profonde, Julius Evola ( in L’arco e la clava, editore Scheiwiller, p.84 e ss. ).

8)E qui viene spontaneo richiamare la, a dir il vero, impietosa, irrisione di Sant’Agostino d’Ippona verso chi, nell’illusione di affermare la sua libertà, si ribella a Dio : “Schiavo, volle simulare una mutila libertà facendo impunemente l’illecito in una cieca imitazione dell’onnipotenza”.

Ma é peraltro vero che una profonda disperazione e una radicale ribellione a Dio é quasi sempre il preannuncio di un assoluto amore per Dio. Per il che valgano anche le seguenti parole di Aurobindo ( in, Guida allo Yoga– p. 223, edizioni Mediterranee) : “Si é pronti per la realizzazione supermentale quando si é completamente disgustati delle cose come esse sono (…….). Soltanto quando troverete il mondo disgustoso, insopportabile, inammissibile, sarete pronti per il cambiamento di coscienza. Per questo non concedo importanza all’idea della rinuncia. Rinunciare significa abbandonare ciò che si apprezza, che si deve gettare lungi da sé ciò che si crede valga la pena di essere conservato. Dovete invece sentire che il mondo é spaventoso, stupido, brutale, e pieno di sofferenze intollerabili; una volta che il vostro modo di sentire sia orientato in tal senso, tutto il fisico, tutta la coscienza materiale, che non accetta più tutto ciò e vuole un cambiamento, griderà : “ Voglio un’altra cosa, qualcosa di vero, di bello, pieno di delizia, di conoscenza e di coscienza”.

9)Da Jnana-Yoga, di Swami Vivekananda ( citato, p. 214 ):“Dovunque ci sia il due, esiste paura, pericolo, conflitto, lotta. Se tutto é Uno, chi odiare e con chi lottare?”.

Da Entretiens et causeries, ( cit.,p.76, nella mia traduzione ) : “Noi non possiamo liberarci della paura, fino a che sussiste una qualsiasi cosa sopra di noi, anche se fosse Dio; é una necessità per noi essere Dio”.

2 – Una rivoluzione esistenziale: porre l’IO al centro e Dio alla periferia.

Junior – Proseguiamo il discorso iniziato prima: che cosa è quella medicina, che mi dovrebbe guarire dal timore e dalla vera e propria disperazione, che nascono in me dalla constatazione dell’infinita potenza, ma anche della infinita diversità e lontananza da me, di Dio?

Senior – E’ il senso dell’IO (1). Quando ti volgi alla tua interiorità, due cose ti appaiono, incontestabili e di assoluta evidenza : l’esistenza dell’IO e la sua assoluta centralità (2).

Junior – Se poni l’IO (3) al centro, finisci per porre Dio nel “non-IO” e quindi alla periferia dell’IO: ma non è assurdo porre Dio, il creatore di tutto l’esistente e quindi anche del tuo “IO”, nella periferia di questo ?

Senior – Assurdo, in effetti, sarebbe porre DIO nella periferia dell’IO e questo al centro. Ma io ti invito a porre nel “non-IO”, quindi nella periferia, non Dio, (4) ma l’idea di Dio, che la tua limitata mente umana si può fare. E tu non puoi negare che, volgendo lo sguardo allaa tua interiorità, tu hai la vivida e incontestabile esperienza che tutto l’esistente, quindi anche dio ( il dio che tu tremando preghi), sia nella periferia: tu puoi amare Dio, tu lo puoi odiare, ma sia nell’un caso che nell’altro lo poni alla periferia. Lo ami perché verso di te si è dimostrato e si dimostra buono, lo odi perché verso di te si è dimostrato e si dimostra cattivo.(5)

Con ciò termina questo secondo nostro incontro. Siccome, però, quelli che contano veramente, non sono i discorsi che tra noi si possono fare, ma i fatti e l’esperienza diretta, ti invito, nel lasciarci, a leggerti, nell’appendice,( 6 ) le pagine da me tratte da Raja Yoga, di Ramacharaka Yoghi – pagine in cui l’Autore dà preziose indicazioni per potenziare quella consapevolezza della centralità dell’IO, che di solito dorme in noi.

Note al capito II

1)E questo senso dell’IO é una base salda per ogni costruzione filosofica, dato che nessuno può negare l’esistenza dell’IO senza cadere in contraddizione col fatto che, per negare tale esistenza, egli deve pur…esistere.

“Nessuno può affermare “io non esisto”, dice Shankara per sostenere la realtà dell’essere” – confr., Il pensiero Vedanta, di Angelo Morretta , p.147

E qui viene naturale richiamare anche il Cogito ergo sum di Cartesio. Ma più giusta di quella di Cartesio, é l’affermazione di Shankara: infatti la più immediata consapevolezza dell’uomo é quella di essere, poi viene quella di stare pensando.

2) “Quando l’anima percepisce se medesima come un centro circondato dalla circonferenza; quando il sole sa di essere sole, circondato dai pianeti roteanti intorno; allora é il tempo della sapienza e del potere del Signore”, insegnamento

( probabilmente Vedantico ) tratto da Raja Yoga, di Ramacharaka Yoghi, p. 20, Fratelli Bocca Editori .

(3) Per evitare equivoci occorre dire subito – ma sul punto ritorneremo dato che è un punto fondamentale della filosofia Vedanta – che l’IO a cui noi ci riferiremo, è un IO denudato da ogni qualità ( virtù o difetto che sia ) : non è la “persona” ( quel certo ragionier Giobatta, che ama la musica classica, detesta ballare, è capace di ecc.ecc. ), ma chi sta dietro la “persona” ( ed è interessante sapere che, nell’antica Roma, il nome “persona” indicava la maschera che gli attori si ponevano entrando in scena ).

4) Qui mi riferisco al Dio Impersonale, all’AIN SOPH AUR dei cabalisti. Ecco come Amlein parla ( in, La Cabala operativa, p.47 ) di Dio, dell’Assoluto : “Al di là di tutto ciò che é concepibile, al di là di tutto ciò che l’Uomo può immaginare, concepire, considerare, al di là di tutto ciò che é, per lui, il BENE, e al di là di tutto ciò che é il MALE, esiste ancora “qualche cosa”. Questo qualcosa, é un “Impossibile” ancora più astratto delle impossibilità accessibili al nostro spirito. E ciò, é l’esistenza negativa di Dio, tutto ciò che Dio concepì con l’Uomo, non é”.

Confesso che le parole di Amlein, qui riportate, non trovano in me un’eco del tutto positiva. Ed io preferisco richiamarmi, per concettualizzare in qualche modo il Dio impersonale, alle parole di Ramakrishna ( tratte da Alla ricerca di Dio, cit., p.312 ) : “Brahman é al di là e al di sopra del pensiero e della parola, al di là della concentrazione e della meditazione, al di là del conoscente, del conosciuto e della conoscenza, al di là persino della concezione del reale e dell’irreale. Tutto sommato, é al di là di ogni relatività”.

Anche il Cristianesimo conobbe una “teologia negativa” , cioè una teologia che sosteneva e sostiene che “Di Dio si può predicare solo l’inconoscibilità. Qualsiasi concetto attribuito alla divinità ( anche bontà, giustizia, amore ) é un’indebita estrapolazione di qualità prettamente umane, in definitiva una forma di antropoformismo” – ( confr. Filosofia – Storia delle idee dalle origini ad oggi, di Ubaldo Nicola, ed. Giunti, p.196 ). Dionigi l’Areopagita ( IX secolo ) , a cui si deve l’elaborazione cristiana della teologia negativa , insegnava : “Solo mediante la privazione della vista e della conoscenza, con il fatto stesso di non vedere e di non conoscere, é possibile vedere e conoscere ciò che sta oltre la visione e la conoscenza (……..) penetrando nella caligine che sta sopra l’intelligenza, troveremo, non la brevità delle parole, bensì la mancanza assoluta di parole e di pensieri”- confr. sempre, Ubaldo Nicola, Filosofia, cit. p.196.

(5) E’ noto che nel Rinascimento si affermò ( ed esiste ancora in varie forme) una mentalità che vuole porre al centro l’uomo : “l’esser uomo, e soltanto uomo, sarebbe una gloria”, e il “prototipo dello spirito umano nella sua nobiltà” andrebbe ravvisato secondo tale mentalità “nel ribelle contro le potenze superiori, nel Titano, in Prometeo” ( le parole virgolettate le abbiamo tratte da Julius Evola , L’arco e la clava” già citato, p.84 ).

Sarebbe un deprecabile errore ritenere che lo Advaita Vedanta sia in sintonia con tale mentalità. Tanto l’Umanesimo ha del prometeico e del titanismo, tanto lo Advaita ha dell’olimpico e dell’apollineo : l’advaitista non è per nulla un ribelle al Cielo : Shankara, Ramakrishna, Vivekananda credevano nelle Divinità e le adoravano.

( 6 ) Attenzione qui ‘l’Autore si riferisce alla “Appendice” posta al libro “Advaita Vedanta” e non al libro”Grandi personalità spirituali d’Oriente e d’Occidente”.

3 – l’IO è immortale, onnipotente, onnisciente, onnipresente.

Junior – Va bene, te lo concedo: io sono un centro di conoscenza, di influenza, di potere, così come si legge nelle pagine del Ramacharaka da te riportate in “appendice”. Però il punto da vedere è: questo potere, questa conoscenza, questa capacità di influenza, che io indubbiamente ho, sono tali da soverchiare le forze, a me ostili, che sono presenti nel “non-io”? Se non lo sono, la tua pretesa medicina contro il timore, che mi ispira la infinita potenza di Dio….non funziona.

Senior – Io credo che sì, che il potere che dorme in te (1), sia tale da soverchiare ogni potere ostile: tu, come si legge nel Vangelo, sei un Semidio dormiente ( e meglio sarebbe dire, un Dio dormiente).(2)

Junior- Tu credi in ciò veramente?

Senior- Il mio è un atto di fede (3).

Junior – Quindi un atto irrazionale.

Senior- Anche se dei semplici ragionamenti non ci possono dare la tranquilla certezza dell’onnipotenza dell’IO (4), il fare atto di fede che l’IO sia onnipotente, non è un atto irrazionale, ma l’unico atto ragionevole, che un uomo possa fare. Se ti trovi bloccato in un appartamento, che le fiamme minacciano di invadere; e ci sono solo tre strade che ti potrebbero portare all’aria aperta, strade di cui due chiaramente già invase dalle fiamme; e una voce ti dice che la terza, dalle fiamme, è immune, certo, non puoi avere la certezza che la voce sentita sia veritiera, ma l’aver fede che lo sia e imboccare la terza strada è certamente un atto perfettamente razionale, dal momento che l’alternativa sarebbe quella di sicuramente morire bruciato .

Con tutto ciò, la ragione, anche se non ci può dare la tranquilla certezza della onnipotenza dell’IO, e del resto ciò non è la sua funzione, ci offre degli argomenti che confortano la nostra fede in ciò.

Junior- Comincia a dire il primo di tali argomenti.

Senior – Tu certo avrai letto le pagine dove Ramacharaka dimostra che l’IO non può essere identificato né nel corpo, né nei pensieri né nei sentimenti, che l’IO ha – ha come si può avere un vestito comprato al mercato.(5)

Se ciò è vero, che cosa impedisce che anch’io abbia tutte le buone qualità ( i bei vestiti ) che hanno adornata la persona dei grandi uomini: l’intelligenza di Leonardo da Vinci, la volontà e la audacia di Napoleone, l’abnegazione di Gandhi ?

Junior- Te lo impedisce il fatto che tu non hai la volontà di Leonardo da Vinci, di Napoleone, di Gandhi . Questi grandi uomini, non hanno avute gratis le buone qualità che tu hai nominato : le hanno acquisite con continui sforzi della loro volontà.

Senior – Ma, dicendo così, non fai che spostare il problema, senza risolverlo. Infatti la capacità di essere volitivi e perseveranti è una qualità come un’altra. E quindi ti ripeto la domanda, perché io non potrei acquistare la volontà di questi grandi uomini?.

Junior.- Ma perché è una qualità che Gandhi, Leonardo da Vinci eccetera hanno ereditato dai loro progenitori.

Senior.- Ancora non fai che spostare il problema. Mettiamo infatti che il progenitore, che ha trasmessa la qualità della volitività a Gandhi, sia stato il bisnonno. Questi, dal momento che, tale qualità, non l’ha ereditata ( da questo presupposto infatti dobbiamo partire, se non vogliamo andare indietro ad infinitum), l’ha dovuta acquisire, e prima di acquisirla….non l’aveva. Ma allora se il bisnonno di Gandhi, pur non essendo un volitivo, ha potuta acquisire la qualità della volitività, perché non potrei acquisirla io (6) e con essa tutte le altre virtù del suo pronipote ?

Questo ragionamento che abbiamo applicato alle qualità che adornano gli uomini, noi lo possiamo applicare anche alle qualità che adornano gli Dei, anche i sommi Dei (forse che anche gli Dei non hanno un IO, che non può essere identificato con le buone qualità che li arricchiscono ?).

Ora non può dirsi onnipotente, onnisciente, onnipresente eccetera un IO, che può, solo volendo, acquisire tutte le migliori qualità di tutti gli esseri? (7)

Junior. Passa a un altro argomento.

Senior – Il secondo argomento diretto a provare la onnipotenza dell’Io, è dato dal fatto che la ragione è costretta ad ammettere, che l’IO non abbia bisogno degli organi del senso ( occhi, naso….) per connettersi con la materia.

Junior- E’ un po’ difficile a credersi.

Senior – Vediamo se lo è davvero. Metti che i miei occhi cadano su un cartello pubblicitario raffigurante una cattedrale e i miei nervi trasmettano l’immagine della cattedrale al cervello. E con ciò siamo arrivati al punto in cui l’immagine della cattedrale è nel cervello. A questo punto, che succede?

Junior – Succede che tu vedi la cattedrale.

Senior – Non è detto: se io, metti caso, quando i miei occhi sono caduti sul cartello pubblicitario, ero tutto concentrato nel fare una partita a scacchi, probabilmente non mi sono accorto né del cartello pubblicitario né della cattedrale. Tu sai che alcuni scacchisti, quando sono concentrati nel loro gioco, neanche si accorgono se una vespa li punge. Allora?

Junior – Allora, a un certo punto cesserai di concentrarti nella partita, ti connetterai, entrerai nel tuo cervello, e finalmente vedrai la cattedrale.

Senior – E qui, siamo venuti al punto che ci deve interessare: se io voglio entrare nel mio appartamento per prendervi qualcosa, devo usare un qualche strumento: le chiavi, di solito. Ora, che strumento uso per entrare nel mio cervello?

Junior – Non saprei.

Senior – Non lo sai perché in realtà io non ho bisogno di nessun strumento per entrare nel mio cervello. Ma se l’IO non ha necessità di usare degli strumenti per connettersi col suo cervello, che è materia ed è materia appartenente al “non-io”, perché dovrebbe avere necessità di strumenti ( degli occhi, del naso…) per connettersi all’altra materia che è nel “non-io” ( per esempio per connettersi , per entrare nel cervello di un grande scienziato, come Guglielmo Marconi, e quindi usufruire della sua stessa intelligenza e genialità: in fondo il cervello di Marconi è “non-io”, sia per Marconi che per me). Ma se così è, non si deve concludere che in realtà la conoscenza dell’IO non conosce limiti, che in realtà l’IO è onnisciente ?

Junior – Non dico né sì né no: sono perplesso (8). Passa a darmi un’altra prova dell’onnipotenza dell’IO.

Senior – Se io voglio muovere il mio dito mignolo, la mia volontà manda un comando e….il mignolo si muove.

Junior – Che c’è di strano?

Senior – Tu non ci trovi nulla di strano perché sei abituato a identificare il tuo “IO” col tuo corpo. Ma così non è, e, che così non sia, certo ne sarai convinto leggendo le pagine di Ramacharaka ( poste nella Appendice )( 9 ): l’IO e il corpo sono due quid ben distinti. Se tu parti da tale considerazione, il fatto che il mio IO riesca a muovere, con un suo atto di volontà, il mignolo, che è un quid ad esso estraneo, ti dovrebbe far pensare che esso (id est , il mio IO ), con un semplice atto di volontà, potrebbe muovere anche un altro corpo , a lui estraneo, ad esempio una montagna, e che, se non riesce a questo, è solo perché, mentre quando manda il comando al mignolo di muoversi, in lui c’è l’aspettativa, la fede che il mignolo si muoverà, quando, invece, manda il comando alla montagna di muoversi, in lui, un’uguale fede, non c’è ( ma se ci fosse, la montagna si muoverebbe – non è detto nel Vangelo “Se voi aveste solo tanta fede quanto un granello di senape, sareste capaci di muovere le montagne”?). Ciò non ti fa pensare all’IO come a un quid dotato della onnipotenza?

Ma altre prove ancora si potrebbero portare che i poteri dell’IO non possono restringersi a quelli dell’uomo, come ora noi lo conosciamo. Pensiamo al meraviglioso fenomeno dell’evoluzione : l’ameba che a poco a poco si trasforma e acquisisce i poteri dell’uomo attuale : non è meraviglioso questo? Non è questo inspiegabile dal materialista ? Noi diremmo di sì.

Junior – Fermiamoci qui, ho capito il concetto: l’IO è onnipotente, l’IO è uguale a Dio.

Senior – No, l’IO non è uguale a Dio. Infatti Dio non è onnipotente, è qualche cosa di più: Dio “è Colui che è”, cioè Egli ha tutte le potenze realizzate nella pienezza dell’essere. Mentre l’Io ha solo delle potenzialità infinite, di cui egli non sa, come chi dorme non sa di possedere cose, che pur possiede. O, per usare un altro paragone, forse migliore, egli ha infinite potenzialità, di cui egli non osa usare, perché una malvagia ipnosi gli fa credere di non poterne usare: egli è come un uomo intorno al quale un malvagio ipnotizzatore abbia disegnato un cerchio ordinandogli di non oltrepassarlo: fino a che non riesce a liberarsi dall’ipnosi, quest’uomo non riuscirà ad oltrepassare il cerchio, per quanti tentativi egli faccia.

Junior – Occorre quindi, se ho ben capito, che noi ci si sforzi di liberarci dall’ipnosi e così si giunga ad acquisire l’eredità divina che ci compete.

Senior – Se tu dici che l’IO deve sforzarsi di acquisire qualcosa, imposti male il problema. Perché deve sforzarsi di acquisire una virtù, chi ne manca. Ad esempio, tu devi acquisire la virtù del coraggio solo se ne manchi, se sei un vile. Ma dal momento che si tratta di liberarsi da un’ipnosi, che ti fa credere di essere un vile, parti male se dici “Io sono un vile e devo diventare coraggioso”, perché, affermando di essere un vile (che deve diventare coraggioso), tu ribadisci la malefica ipnosi che ti è stata fatta.

Junior – E allora?

Senior – Allora devi operare come insegnano i Maestri dell’Advaita-Vedanta : devi arditamente proclamare “IO sono perfetto coraggio, solo un brutto sogno mi ha fatto credere di essere un vile” (10 ).

Junior – A me sembra però che, a quanto Tu dici, si possa opporre un’obiezione a parer mio insuperabile. E questa é che questo tuo IO che definisci “onnipotente”, in realtà, in quanto vittima della malvagia ipnosi che tu ipotizzi, inerte, e privo di forze com’é, può essere paragonato a un cadavere o a un pezzo di piombo ; e gli studiosi della fisica hanno evidenziato, esplorando le leggi che reggono la dinamica dei corpi, che vi é una legge nell’universo per cui un corpo inerte non si muove, se da altri non é mosso.

Senior – Ma paragonare l’uomo a un oggetto inerte, é esagerato : noi uomini, sia pure entro certi limiti, i limiti in cui ci restringe la malefica ipnosi, possiamo fare ed agire.

Junior – Ciò é vero . Ma allora diciamo che l’uomo é come una macchinario che , per la malvagia ipnosi che tu ipotizzi, é impostato per fare fino al limite di dieci e non di più, e che per progredire e fare fino a 20, ha bisogno di un input esterno: che la mano di un operaio faccia scattare la molla di un qualche congegno.

Senior- Non posso negare che quella che tu muovi é una obiezione impossibile a confutare. Sì, é per noi impossibile spiegare come l’IO addormentato di cui ho parlato, a poco a poco si risvegli all’uso di tutti i suoi poteri , se non ammettendo un qualche evento esterno che lo risvegli. ( 11 ) Ma questa impossibilità a dare una spiegazione del fatto, non ci può portare a negare il fatto ; ed il fatto é che noi incessantemente progrediamo nella vita, certe volte nel bene certe volte nel male. Anche lo scienziato non sa spiegare come dal nulla si sia prodotta la “materia” e dall’ameba a poco a poco sia venuto l’uomo; ma ciò non gli impedisce di dire che la materia esiste e che l’ameba progredendo si é trasformata in uomo. Il fatto che la piccolezza del nostro cervello ci impedisca di spiegare perché avvengono certi fatti , non ci deve impedire di riconoscere, di tali fatti, l’esistenza : ora é un fatto che il cavallerizzo che é fiducioso di poter saltare la siepe , la salta e il cavallerizzo che di ciò dubita, rotola a terra, nel tentativo di saltarla; ed é ancora un fatto che il fachiro , fiducioso di non bruciarsi camminando sulla brace ardente, non si brucia : questi fatti non rendono almeno verosimile che l’ampiezza dei poteri di un uomo dipende dalla sua ferma fede nella loro esistenza. Che poi a dare tale fede a un IO sia un quid esterno all’IO, un quid che rendendo esso all’uomo possibile il progredire sulla via della perfezione, debba ritenersi all’uomo benefico, anche ciò é verosimile, anzi direi senz’altro vero..

Ma di ciò mi riservo di parlare in un’altra mia opera ( vedi “Appunti sulla politica” ) . Qui mi basta di aver detto che questo Quid inconcepibile all’uomo, non può essere identificato in nessuna di quelle concezioni della divinità che l’uomo dalle sue paure é portato a concepire : tali concezioni derivano da proiezioni che l’uomo fa delle sue paure e dei suoi vizi e debbono essere poste nel “Non IO” e incenerite dalla consapevolezza della grandezza dell’IO. Esse sono aliene all’IO e il fatto stesso che l’IO possa farle oggetto dei suoi pensieri porta a credere che l’IO di esse é più forte e quindi può da sé allontanarle.

Note a capitolo III

1) J.B. Van Helmont ( Hortus medicinae , Leyda, 1667 ) : “ Una occulta forza assopita a causa della caduta, giace latente nell’Uomo. Essa può essere risvegliata dalla Grazia divina, oppure dall’Arte della Cabala….”.

Giamblico (De Mysteriis, VII.7 ) : “Esiste nell’anima in principio superiore alla natura esteriore. Con questo principio, possiamo oltrepassare l’ordine e i sistemi di questo mondo, e partecipare alla vita Immortale e all’energia delle Essenze celesti”.

2) E non solo nei Vangeli è presente l’idea di una divinità dell’uomo. Julius Evola ci dice ( in L’arco e la clava, citato, p.85) che in tutta l’antichità, in stridente contrasto con l’idea oggi predominante dell’uomo come “animale da lavoro”, esisteva “l’idea di un’unità originaria di dei e uomini”: “ gli dei e gli uomini hanno una stessa origine, insegna Esiodo e Pindaro lo ripete. Due stirpi, uno stesso sangue. Di fronte alle forze divine l’iniziato orfico dice : Celeste è la mia stirpe, e voi pure lo sapete”.

3) Ahimé, non una fede costante e assoluta! Perché per me vale più che mai, quel che Emerson diceva per la generalità degli uomini : “La nostra fede viene a momenti; il nostro vizio é abituale” ( La superanima, in Saggi, Torino, 1962, edit. Boringhieri, p. 196 ).

Invece per Ramakrishna ( Alla ricerca di Dio, cit., p. 188 ) “ La fede é alla base di ogni progresso spirituale. Potrete fare a meno di tutto il resto; ma vi é necessario aver la fede….”.

4) Per Ramakrishna, la fede non si raggiunge in base a dei ragionamenti : “ Shri Ramakrishna obbiettò ad uno dei suoi discepoli che criticava la fede di un certo uomo, chiamandola “fede cieca” : “Spiegami che cosa intendi per fede cieca. Non é forse sempre cieca la fede ? Dove sono gli occhi della fede ? Parli di fede o di conoscenza?….” ( da, Alla ricerca, cit., passim ).

Ma allora, se la fede non ci é data dal ragionamento, da che cosa ci é data? Risposta di Ramakrishna, dalla grazia di Dio : “ Senza la grazia di Dio i nostri dubbi non potranno mai dissiparsi” ( da, Alla ricerca di Dio, cit., p.252.).

Sembrerebbe quindi di poter sintetizzare l’insegnamento di Ramakrishna così : se è vero, com’è vero, che Dio è onnipotente, deve essere anche vero che la libertà dell’uomo non esiste e dipende solo dalla volontà di Dio che l’uomo abbia quella fede che è il presupposto della sua salvezza.

E infatti Ramakrishna sulla mancanza di libertà dell’uomo si esprime chiarissimamente: “Tutto dipende dalla volontà del Signore, tutto è giuoco Suo. Egli ci fa fare in diversi modi cose diverse. Il bene e il male (…) tutto insomma viene da Lui, gli uomini buoni e quelli cattivi sono la Sua Maya (….) Fintanto che non avrete realizzato Dio, potrete pensare che la vostra volontà sia libera. Ma è Lui che mantiene in voi tale illusione. Senza di che un terribile sviluppo del peccato avrebbe luogo nell’uomo; non avendo più da temere la punizione dei loro peccati e dei loro delitti, gli uomini sprofonderebbero nel male”( Jnana-Yoga, cit., p. 333 ).

Su l’ultima affermazione di Ramakrishna un chiarimento però si impone : la consapevolezza della mancanza di una reale libertà nell’uomo, agisce diversamente in una persona, a seconda della idea che essa abbia di Dio : se essa, nell’esistenza di Dio, non crede, effettivamente il risultato sarà un suo sprofondarsi nell’iniquità; se essa in Dio crede, ma non crede nella Sua infinita bontà, il risultato sarà, sì, un’obbedienza assoluta alla Legge divina , ma un’obbedienza accompagnata da una visione triste e severa del destino dell’uomo (la visione calvinista e giansenista, che giunge a riservare solo a poche migliaia di eletti la salvezza , tutto il resto dell’umanità essendo destinato alla dannazione eterna ); se infine, essa, è consapevole, sì, della mancanza di libertà dell’uomo, ma anche è pervasa dalla convinzione dell’infinita bontà di Dio, il risultato sarà quella di una visione della vita come una danza indotta dalla celestiale melodia divina. E proprio a un ballerino che non sbaglia mai un passo, Ramakrishna paragona l’uomo che è consapevole , sì, della sua mancanza di libertà, ma anche di essere guidato da un Dio che è somma bontà. Ecco l’episodio in cui Ramakrishna fa tale paragone: “Un giorno qualcuno domandò a Ramakrishna :”Se Dio ispira tutte le mie azioni, sono io responsabile dei miei peccati?”- Egli rispose : “(….) Colui che è convinto che solo Dio agisce, e che egli stesso non è che uno strumento nella Sua mano, non può peccare. Un perfetto danzatore non fa mai passi falsi”. Ma, ed è importante, Ramakrishna aggiunge subito “Fintanto che il vostro cuore non sarà purificato, non potrete veramente credere all’esistenza di Dio”( ben s’intende , credere in un Dio che è somma bontà, perché tale era il Dio in cui Ramakrishna credeva ).

E’ noto che il tentativo di dare una risposta al problema della compatibilità dell’onnipotenza divina ( che rende necessaria all’uomo la grazia divina pr salversi ) e la dannazione eterna del peccatore, tormentò le migliori intelligenze del Cristianesimo, opponendo Agostino di Ippona a Pelagio, Calvino e Giansenio a Luis de Molina e ai Gesuiti.

Per come si è tentato di risolvere nell’Islam il problema della compatibilità della onnipotenza di Dio con la punizione del “peccatore, vedi capitolo sesto.

E’ da notarsi che, invece, tale problema non si è posto nell’ambito del Vedanta; e questo per la semplice ragione che il concetto di peccato e di peccatore è del tutto estraneo a questa Dottrina. Vivekananda, ad esempio, afferma risolutamente ( in, Jnana-Yoga, cit., p. 259 ) : “La peggiore menzogna che potete dire a voi stessi è che siete nati peccatori e malvagi”.

Può semmai porsi, come già si è accennato, anche al vedandista la (diversa) domanda, se non ci sia il rischio che l’uomo, una volta che non si ritenga libero, si senta deresponsabilizzato e, quindi, sprofondi nel male. E la risposta che il Vedanta dà a tale domanda è : sì, tale pericolo effettivamente esiste per l’uomo poco evoluto e quindi debole spiritualmente, ma non per l’uomo evoluto e quindi forte spiritualmente : infatti il “ peccato non è che il risultato della debolezza” ( così Vivekananda , Jnana-Yoga, cit., p 46 ) e quindi non può commettere peccato chi è pervaso dall’idea della sua essenza divina, perché questa idea non può non riempirlo di forza.

Vedi anche capitolo sesto alla voce : “Abbandono in Dio”.

5) Ed è proprio a questo IO, denudato da tutti quei pensieri, quei sentimenti, di solito presi da noi acriticamente dall’ambiente in cui viviamo, che noi nel prosieguo ci riferiremo. Quell’IO in cui, abbandonata l’illusione di essere un “ego”, dobbiamo tornare ad indentificarci. Secondo quanto insegnava Gesù il Cristo : “In verità vi dico chi non riceverà il Regno di Dio come un piccolo fanciullo , non vi entrerà affatto”: il piccolo fanciullo è la tabula rasa per eccellenza. Sul punto vedi, C. Kerneiz ( Lo yoga per l’Occidente, edizioni Mediterranee, p.94). Il Kerneiz, nel libro citato, dà numerosi esercizi per riconoscere ( e, quindi, per non lasciarci più acriticamente condizionare da) le idee indottici dall’ambiente in cui viviamo. Dobbiamo avvertire però il lettore che, per il loro carattere estremo, il Guenon riteneva tali esercizi pericolosi.

Vivekananda ( in, Jnana-Yoga, cit., p.139 ): “Questo Atman – con tale termine Vivekaanda si riferisce qui all’IO -non si manifesta agli occhi o ai sensi di ognuno, ma solo alla mente di coloro che hanno purificato e raffinato la loro anima”.

E, infatti, non procedere a tale preliminare purificazione, sarebbe come se da una nave si volesse vedere cosa c’è in un’ isola lontana, usando un cannocchiale con le lenti sporche. Sono addirittura ridicoli quei sedicenti “pensatori” che pretendono di insegnare sui più difficili problemi, tra una sigaretta e l’altra e con un bicchiere di alcool in mano, cioè nell’atto di rendere ancore più sporche le lenti del loro cannocchiale.

Sempre Vivekananda ci mette in guardia (in Jnana-Yoga, cit., p.139) sul “terribile potere” che ha l’associazione di idee” nella “nostra mente”.

(6) E, si badi, senza che mi occorra del tempo per acquisirla. E infatti, una volta che si ritiene che l’IO ha tutte le qualità, non si può negargli la qualità di essere capace di fare tutto quello che vuole nel modo più rapido (di fare in un secondo quello per cui all’ego occorrerebbero addirittura dei secoli ).

7) Di seguito alcuni passi in cui Vivekananda parla della gloria dell’IO.

L’IO è immortale- “L’anima dell’uomo, essendo separata dalla mente e dal corpo (…) dev’essere immortale. Perché? Che cosa intendiamo per immortalità ? Decomposizione; e questa è soltanto possibile per cose composte. Qualsiasi cosa che sia composta di due o tre ingredienti non può non essere decomposta: soltanto ciò che non è il risultato della composizione, non può mai essere decomposto, e perciò non può mai morire. Esso è immortale; è esistito dall’eternità ed è increato”(Jnana-Yoga, cit., p. 209 ).

L’lO è onnipresente e onnisciente- “Com’è che l’anima è onnipresente? Che cosa vi è – chiedo io – che possa limitare ciò ch’è al di là della legge, oltre la causalità ? Questo bicchiere è limitato; esso non è onnipresente, perché la materia che lo circonda lo obbliga a prendere quella tal forma e non gli permette d’allargarsi. E’condizionato da tutto quanto lo circonda, ed è perciò limitato. Ma ciò ch’é al di là della legge, ove nulla havvi che possa agire sopra di esso, come può essere limitato? Non può non essere onnipresente. Voi siete in qualsiasi luogo nell’universo” ( Jnana-Yoga, cit., p.213 ).

Sempre citando da Jnana-Yoga, ma dalla sua pag. 214:“ Se siamo al di là della legge, non possiamo non essere onniscienti e sempre beati : ogni conoscenza dev’essere in noi, e così pure ogni potere e beatitudine”

E per finire: “Il più grande peccato é di credere che noi siamo deboli. Non ve n’é di più grande; rendiamoci conto che noi siamo Brahman. Una cosa non ha più potere di quello che noi le conferiamo. Noi siamo al di là del sole, delle stelle, dell’universo. Insegniamo la divinità dell’uomo. Neghiamo il male e non creiamone. Ergiamoci e proclamiamo : io sono il maestro, io sono il maestro di tutto. Siamo noi che forgiamo le nostre catene e noi soli possiamo romperle. Nessuna azione può darci la libertà; solo la conoscenza può renderci liberi. La conoscenza é irresistibile; lo spirito non può accettarla o rigettarla a suo capriccio. Quando essa viene, lo spirito é obbligato a riceverla” ( Entretiens et causeries, cit., p. 85 ).

Possono sembrare assurde queste affermazioni della gloria dell’IO quando diuturnamente abbiamo davanti agli occhi i limiti e le debolezze dell’ego. E tuttavia è un fatto innegabile che noi diventiamo quel che crediamo di essere. Se immaginiamo di essere coraggiosi, ci comportiamo coraggiosamente, se immaginiamo di essere tenaci, ci comportiamo da persone tenaci.

Ramakrishna insegnava “Vi sarà dato in misura dei vostri pensieri. Dio è come il kalpataru. Ognuno ottiene da lui ciò che cerca” ( Alla ricerca di Dio, cit., p. 13 ). E il Poeta ci incoraggia: “ Sogna, giovane ambizioso, i tuoi sogni diventeranno realtà”.

L’insegnamento dell’Advaita è aderente alla realtà, così com’è; anche se il perhé così sia, costituisce un grande mistero!

8 -Leggo in Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol II , Editore Garzanti, 1970, pp. 324 ss., che una delle maggiori difficoltà della filosofia idealistica nei secoli XV – XVI, consistette nel trovare una spiegazione al fatto che il pensiero ( nel loro linguaggio, la “sostanza pensante”) e la materia ( la “sostanza estesa” ) potevano interagire (“ come si spiega – si domandavano tali filosofi – che nei processi conoscitivi la sostanza pensante riesce a cogliere alcuni messaggi provenienti dalla sostanza estesa e, viceversa, nei processi volitivi riesce ad agire su di essa ?). Curiosa , la soluzione che uno di tali filosofi, Arnold Geulincx ( anno di nascita il 1624 ) diede a tale problema. Dopo aver riflettuto che “ non é possibile ammettere che l’anima agisca sul corpo quando essa non sa come dovrebbe avvenire tale azione” ( “Impossibile est ut is faciat qui nescit quomodo fiat” ), e che quindi l’interazione tra anima e corpo doveva considerarsi solo apparente, spiegò l’evidente accordo che esisteva tra l’anima e il corpo con l’intervento della volontà di Dio : “Dio, egli spiegò, é come un orologiaio che abbia costruito due orologi, diversi e indipendenti tra loro ma perfettamente sincronizzati : un osservatore esterno potrà immaginare che i movimenti dell’uno siano causa ed effetto dei movimenti dell’altro; la realtà però é diversa: il sincronismo tra i due dipende esclusivamente dal modo in cui li ha costruiti l’orologiaio”.

Una difficoltà non minore di quella incontrata dai filosofi idealisti nello spiegare la ( apparente o no ) interazione tra spirito e materia, dovrebbero trovare i filosofi materialisti nell’affrontare l’analoga questione di come possa una materia estremamente sottile come il pensiero ( come loro lo concepiscono ) riuscire a influire su una materia così densa e pesante come quella che é avvertita solo dal tatto : se con una piuma non riesco a sollevare del piombo, tanto meno posso riuscire a sollevare del piombo usando un quid fatto con una materia molto più sottile e leggera della piuma. Probabilmente i filosofi materialisti neanche si posero tale questione, ma é da pensare che, se se la posero, le diedero una soluzione al livello di quella data dal Geulincx alla questione di come può avvenire una interazione tra spirito e materia.

9 ) Attenzione! L’Autore qui si riferisce alla “Appendice” apposta al presente libro “Advaita Vedanta” e non al libro “Grandi personalità spirituali d’Oriente e d’Occidente.

10) Ecco un preciso insegnamento di Shri Ramakrishna sul punto “ Nell’India i guaritori ordinano ai loro pazienti di ripetere con completa convinzione “Non sono affatto malato. Non ho nessuna malattia.”. Il malato dice e ridice questa frase, e la suggestione mentale l’aiuta a liberarsi del male. Parimenti, se voi vi riterrete moralmente deficienti, in breve tempo lo diverrete. Sappiate che possedete un potere immenso, siatene convinti, e questo potere vi verrà un giorno incontro” (da, Alla ricerca di Dio, cit., p. 196 ).

11) E certo non varrebbe dire ch’egli si é risvegliato da sé, per il rilassamento della mente e dei muscoli, così come avviene ogni mattina dopo una buona dormita, infatti anche questo rilassamento a rigore é pur esso un evento esterno all’IO.

4- Unità del tutto.

Junior – Tu hai detto che l’IO è onnipotente, ma non è assurdo, o meglio, contraddittorio, dire che io, te, e tutti gli altri uomini, anzi tutti gli altri esseri, siamo onnipotenti? Infatti, se io sono onnipotente e pure tu lo sei, i casi non possono essere che due: o la tua onnipotenza è veramente tale e allora essa nullifica la mia onnipotenza, essendo essa in grado di impedirmi di esplicare quei poteri, che intralcerebbero e impedirebbero la manifestazione dei tuoi poteri, oppure….non lo è; nel primo caso, viene a rivelarsi errata l’affermazione della mia onnipotenza, nel secondo, l’affermazione della tua onnipotenza.

Senior – La tua affermazione è giusta, se riferita all’ego, ma non all’IO.

Junior – Ma che cos’è l’ego?

Senior- L’ego è l’IO quando – cadendo vittima dell’ipnosi, di cui nel precedente incontro abbiamo parlato – crede, ad esempio, di essere quella tal persona di nome Luigi, che ha scritto quei tali libri, ha questo e quest’altro difetto, ha questa e quest’altra virtù. Effettivamente quando l’IO si identifica con Luigi, non può essere onnipotente,(1) perché la persona di Luigi, in quanto ha certe qualità e certi difetti, non può non avere certi desideri – desideri, la cui attuazione verrebbe a sacrificare i desideri di altri “io”, trovando così una resistenza e una limitazione nelle persone che hanno quest’altri desideri: Luigi e Pietro, se desiderano entrambi diventare presidenti della Repubblica, non possono non entrare tra di loro in conflitto e quindi vicendevolmente limitarsi.

Ma quel che vale per l’ego, non vale per l’IO; in quanto l’IO, essendo “individualità” e non “persona” , non ha altro desiderio che quello di realizzare quelle potenzialità che sempre più lo rendono simile a Dio (o, se vogliamo usare le parole comunemente usate dai “dualisti”, non ha altro desiderio se non quello di fare la volontà di Dio ), e questo desiderio, in quanto comune a tutti gli altri “IO”, non lo pone, con questi, in conflitto.

Junior – Ma come può l’IO essere privo di qualità e difetti: io non posso credere una cosa simile.

Senior – Dire che cosa è l’IO, e come possa essere privo di qualità e difetti, supera la mia intelligenza: certo mi pare, per le considerazioni che abbiamo fatto nel nostro precedente incontro, che l’IO sia onnipotente e certo mi pare che esso non abbia difetti e qualità(2), dato che l’IO può fare oggetto di esame i difetti e le qualità della propria e dell’altrui “persona”, e chi è il soggetto non può essere l’oggetto.

Junior- Ma allora se, il mio IO e il tuo, non sono caratterizzati da virtù e difetti, neanche più si distinguono l’uno dall’altro: si identificano.

Senior- E’ proprio così – e io penso che sia questo quel che i Maestri vogliono dire quando affermano la “unità del tutto”.

Junior- Ma non identificandomi più nell’ego, ma solo nel nudo IO, la vita non perderà per me il suo gusto? (3)

Senior- Se tu potessi mangiare con mille bocche, e non con una sola, avresti meno o più possibilità di gustare cibi di tutti i generi? (4) Se tu potessi vedere con mille occhi e non con solo due, avresti meno o più possibilità di ricrearti vedendo i luoghi più disparati? Se tu sei un attore e reciti la parte del “cattivo” nel dramma, che vedrà trionfare il “buono”, la consapevolezza che tu hai di non essere il “cattivo”, ma solo di stare recitando la parte del “cattivo”, per permettere lo svolgimento del dramma e il trionfo del “buono”, ti impedirà forse di godere degli applausi che, quando calerà il sipario, il pubblico tributerà al trionfo del “buono”? O non sarebbe, invece, proprio una tua identificazione nella parte del “cattivo”, a lasciarti amareggiato nell’udire tali applausi? Forse, quelle ora dette, sono solo boutades; e io, pur convinto che, alla fine, la perdita della personalità venga a corrispondere a un’espansione del nostro essere e non a una sua mortificazione, mi rendo conto che il distacco dalla personalità potrebbe essere per molti di noi doloroso e traumatico ( e forse, a tale doloroso distacco, è dovuto il “deserto dell’anima”, di cui parlano alcuni mistici cristiani, e lo “orrore del vuoto”, di cui parlano alcuni Cabalisti)(5). Ma chi ci costringe a dare uno strappo traumatico alla nostra personalità? Chi ci impedisce di limitarci, all’inizio, a vivere la nostra vita con quel distacco, di cui danno prova le persone dotate del senso dell’umorismo, preparandoci così, gradualmente, al gran passo, di modo che, quando sopravvenga la necessità di compierlo, ci sia possibile fare ciò senza traumi, ma in tutta serenità?

Junior- Ma che succederebbe, se i buoni rinunciassero alla loro personalità e quindi al desiderio di migliorare la società e alla lotta contro il male?

Senior – Fino a che Dio non riterrà di far calare il sipario sulla scena di questa terra, una totale rinuncia alla personalità con un totale ritiro dal mondo, riguarderà solo casi estremi. E questi casi estremi costituiranno preziosi esempi, che solleciteranno gli altri ad accentuare i loro sforzi per quel loro distacco dalla personalità, che è benefico, e non malefico, per la società: forse che una società non è tanto più prospera quanto più salda è la legge morale che la regola, e quanto meno forte è la bramosia di beni terreni, che anima, e pone gli uni contro gli altri, i suoi componenti? Ebbene, la legge morale si fonda proprio su quella concezione dell’unità del tutto e su quel distacco dalla personalità di cui ti parlavo. (6)

Note a capitolo IV

1) La realtà è l’IO, l’ego, invece, in quanto soggetto a continuo cambiamento è l’irrealtà, l’illusione. Sentiamo quel che dice Vivekananda sul punto: “Gli uomini si spaventano quando si dice loro che sono esseri universali (…) La gente chiede se l’individualità sarà conservata. Che cos’è la individualità? Vediamolo. Il bambino non ha baffi; quando sarà uomo avrà forse barba e baffi. La sua individualità sarebbe perduta, se fosse nel corpo. Se io perdo un occhio oppure una mano, la mia individualità sarebbe perduta se fosse nel corpo. Allora un ubriacone non dovrebbe cessare di bere, perché perderebbe la sua individualità. Un ladro non dovrebbe diventare un galantuomo, altrimenti perderebbe la sua individualità. Nessuno per paura di questo, dovrebbe cambiare le proprie abitudini. Non havvi individualità che nell’infinito, essendo questa l’unica condizione che non comporti cambiamento” ( da Jnana-Yoga, cit., p. 38 ).

Si può essere increduli davanti all’affermazione della gloria e dell’eternità (quindi, immutabilità) dell’Io; ma allora bisogna essere conseguenti, e negare la propria reale esistenza, infatti l’ego, sempre soggetto a cambiamento, è come una nuvola passeggera nel cielo dell’eternità.

Il perché l’IO, poi, si lasci irretire dall’illusione, da Maia, è un insondabile mistero, a cui in seguito accenneremo.

2) -“Mentre pelate una cipolla – diceva Ramakrishna – trovate sempre nuovi strati, ma non giungete mai ad un nocciolo. Del pari quando volete analizzare l’”ego”, questo scompare del tutto. Ciò che rimane in ultimo, é l’Atman, il puro Chit ( la coscienza assoluta ). Dio non appare se non quando l’ego muore” (Alla ricerca di Dio, p. 271 ).

3)- Ma in realtà la mia vita ha tanto più gusto, tanto più è ricca, quanto più ho relazioni con altri esseri. Addirittura non avrebbe senso dire che si “è”, se non si fosse inseriti in un Quid più grande, se, cioè, intorno a noi non ci fossero altri esseri a cui ci legano fili e canali molteplici ( anche se di essi siamo più o meno consapevoli). Se io fossi l’unico essere vivente nel creato, la vita perderebbe per me ogni significato. Quando Robinson Crosué potè avere la compagnia di Venerdì, la sua vita, il suo essere si ampliò. Perché la morte di un amico, di un familiare ci addolora? Perché con la sua morte si è spezzato uno dei fili che arricchivano la nostra vita, perché la sua morte ci ha impoveriti di una parte del nostro “essere”. Non aveva torto il Poeta a dire: “Ogni morte di uomo mi impoverisce”.

E giustamente uno dei più qualificati filosofi della corrente esistenzialista, l’Heidegger, può sostenere che come non c’è “un soggetto senza mondo”, così non c’è “un io isolato senza gli altri” e che “come l’esistenza è sempre un essere nel mondo, così è anche un essere fra gli altri” ( confronta sul punto, Storia della filosofia, di Abbagnano, vo. III, UTET, p.835 )

Può essere interessante confrontare quanto detto nella presente nota con ciò che è detto nella nota 14 cap.VI.

4)Ho detto alla Madre – é Ramakrishna che parla negli ultimi giorni della sua malattia – che, in seguito a questo male, non potevo deglutire più nulla, e l’ho supplicata di permettermi di assorbire qualche cibo. Ma la Madre, indicandovi tutti, mi ha detto: “Come, tu mangi già attraverso tante bocche!”. Mi é presa vergogna e non ho saputo rispondere nulla” (Alla ricerca di Dio , p. 388 ).

5) – Da, La Cabala, cit. di Amlein, p.48 : “Se ammettiamo che al di là di ciò che é concepibile e traducibile , c’é un dominio da cui non possiamo riportare alcuna immagine, allora dobbiamo riconoscere che questa nozione di “Luce” nondimeno é un’immagine!

Respingiamo anche questa, come uno degli ultimi veli che ci nasconde l’Eternità di Dio e chiediamo aiuto al Nulla ! Il Nulla ci rivelerà ancora un segreto. Ci farà concepire una “regione” dell’Ignoto da cui non si diffonde nessuna “Luce” . Dinanzi a noi, protesi sull’orlo dell’Abisso, non c’é che una “Notte”, notte spaventosa, tenebre e silenzio. E queste Tenebre, le immaginiamo senza limiti, come lo era la stessa “Luce” precedente. Questo é, al di là di AIN SOPH AUR, il “Vuoto luminoso” . Al di là di questa “Luce”, che era ancora una realtà, c’é “ AIN SOPH” il “Vuoto oscuro e illimitato”. Ma questa “Notte”, per quanto spaventosa sia, é pur sempre una realtà relativa, poiché possiamo concepirla! Essa é, a modo suo, e se ci fa concepire il “Nulla Assoluto” meglio della “Luce” precedente, che era una realtà ancora più tangibile, ci offre ancora una possibilità di evasione (…..) Immaginiamoci, dunque, in questo oscuro oceano, in questa immensità nera e fredda. Quando alla fine del viaggio, dopo essere stati, al di là della “Luce senza limiti” ad esplorare le “ Tenebre senza confini”, avremo respinto ogni nozione ed ogni immagine dell’INESPRIMIBILE stesso , quando sentiremo vacillare lo spirito, quando la vertigine della Follia ci trascinerà verso l’Orrore senza nome, verso l’INCOMPRENSIBILE, allora vedremo apparire la fine di questo “interrogatorio” demoniaco….E saluteremo con gioia l’annullamento liberatore! Poiché una nuova “regione” metafisica ci aprirà le “Porte”, al di sopra delle quali, leggeremo finalmente la “Parola che ci addormenterà” lenendo i nostri dolori e colmando il nostro cuore affannato, e questa parola sarà “AIN” cioé : NULLA (….)”.

Forse le parole di Amlein soffrono di un certa tendenza alla drammatizzazione. Ma mi é parso opportuno citarle perché possono dare un’idea della concezione grandiosa che i cabalisti hanno di DIO.

6) Da Jnana- Yoga, di Swami Vivekananda, p. 19 : “L’etica dice sempre : “Non io ma tu”. Il suo motto é il seguente : “Non il sé ma il non sè”. Le vane idee dell’individualismo a cui l’uomo si appiglia quando cerca quell’infinito potere o quell’infinito piacere attraverso i sensi, debbono essere abbandonate – proclamano le leggi etiche. Dovete collocare voi stessi nell’ultima fila e farvi precedere dagli altri. I sensi dicono: “Prima io”, mentre l’etica insegna all’uomo che deve considerarsi come ultimo. Così, tutti i codici etici sono basati su questa rinuncia : distruzione, non costruzione dell’individuo sul piano materiale. Detto Infinito non troverà mai espressione sul piano della materia, né ciò é possibile o pensabile”.

E’ noto che, anche il profondo senso del dovere verso la società che animava gli Stoici, era fondato sul riconoscimento dell’Unità della Vita. Ecco come il Pohlenz, il grande studioso dello Stoicismo, ne riporta il pensiero (in, La Stoa . Storia di un movimento spirituale, La Nuova Italia editrice, p.232 ) : “Sbaglia ( per gli stoici ) Epicuro quando fonda la sua etica nel naturale egoismo dell’uomo. Certo l’amore di sé é un tratto fondamentale della natura umana, ma l’oikeiosis, da cui esso deriva, ha anche un altro aspetto. L’animale stesso ha innato l’amore per i propri piccoli, che sente simili a sé e di cui si prende cura al di fuori di ogni motivo egoistico, sacrificando il proprio vantaggio e perfino la vita, finché non siano in grado di provvedere a se stessi. Nell’uomo, data la sua natura razionale, l’oikeiosis si estende al di là della prole. Essa si rivolge anche verso gli altri “parenti”, allarga più il suo ambito e finisce per abbracciare tutta la umanità, perché in ogni essere razionale noi riconosciamo un nostro “congiunto”, legato a noi, non solo dall’eguaglianza delle condizioni esterne di vita, ma anche da un naturale sentimento di stretta affinità. Ciò ha le sue ragioni nel profondo della natura umana”.

5- Necessità della Bhakti (devozione a Dio rivestito da una forma ).

Junior – Tu hai detto che DIO è qualcosa di più dell’IO. Ma se è così, noi uomini non torniamo ad essere preda di quel timore di essere trastulli di una forza a noi superiore – timore che tu avevi voluto esorcizzare ponendo l’IO al centro?

Senior- Il DIO che sovrasta l’IO è un quid del tutto inconcepibile dalla mente umana: è l’AIN SOPH , a cui si è accennato nel nostro precedente discorso . Un Quid a cui, ripeto, noi uomini non possiamo neanche tentare di rivolgere il nostro pensiero, dato che farlo oggetto di pensiero sarebbe un diminuirlo, un oggettivarlo, un porlo nel “non-io”, insieme agli altri quid, nel “non-io” esistenti, il che sarebbe assurdo.

Il Dio, invece, che può essere oggetto dei pensieri dell’Uomo, colpire la sua immaginazione, fargli paura, così schiavizzandolo e tarpandogli le ali che lo porterebbero a identificarsi alla gloria dell’IO, è il Dio personificato.(1)

Junior – Però io posso pensare che anche l’AIN SOPH, il DIO Assoluto, mi voglia nuocere.

Senior- Certo. Ma, appena pensi ciò, declassi, per così dire, l’AIN SOPH a Dio personale; e quindi puoi esorcizzare il pensiero, che ti possa nuocere, con la consapevolezza della centralità dell’IO.

Junior- Quindi DIO è inconoscibile.

Senior – IO penso che questo sia vero e non vero nello stesso tempo (2).

E’ vero nel senso che DIO non può essere conosciuto nella sua completezza. Ed è falso nel senso che Dio, lungi dall’occultarsi a noi, si propone continuamente a noi per essere gustato. Naturalmente nei limiti…..delle nostre capacità gustative: più ci evolviamo, più diventiamo capaci di gustare una maggiore quantità di DIO: la formichina non riesce a mangiare neanche un granello della montagna di zucchero, un uomo può mangiarne, metti cento (3). Fuor di metafora: all’uomo poco evoluto DIO si rivela nelle qualità di cui adorna gli “uomini superiori”: nel coraggio dell’eroe, nella bellezza di un viso femminile. Negli uomini evoluti si rivela nello splendore degli Dei. Quando Ramakrishna era toccato dalla bellezza della Dea Kali e cadeva in estasi, egli senza dubbio aveva la grazia di vedere la bellezza di Dio, però di vederla in maniera incompleta, dato che la bellezza di DIO è infinitamente superiore a quella della Dea (che pur è tale da far cadere Ramakrishna in estasi, dimentico di tutto il mondo, non per poche ore, ma per molti giorni ).(4)

Junior – Ma mangiare continuamente dello zucchero, non porta alla sazietà?

Senior – Tu pensi che Quella che è considerata la massima fonte di piacere, possa essere monotona? Io penso che Dio sia infinita novità.(5) Penso che più ci evolveremo più Egli si offrirà a noi in forme capaci di darci gusti sempre diversi e, se mi è permesso di esprimermi così, sempre più squisiti e raffinati. Io penso che come il selvaggio non può farsi un’idea della profondità delle sensazioni, che Chopin provava suonando il piano o che Romeo provava sfiorando solo con le dita i capelli di Giulietta, così noi, allo stadio attuale di evoluzione, non possiamo neanche farci un’idea della bellezza dei sentimenti, che proveremo nella nostra ulteriore evoluzione.

Junior- Ma identificandoci con l’IO, che tu hai detto privo di qualità, noi non ci inaridiremo?

Senior – In realtà l’IO è privo delle qualità così come si presentano, in maniera rozza e monca nella persona umana, ma non è privo di qualità: egli semplicemente ha concentrate e, per così dire, fuse in una qualità superiore tutte le qualità umane (che così si presentano integrate e neutralizzate nei loro aspetti negativi). Del resto questa sempre maggiore coesistenza di qualità diverse in una stessa persona quanto più essa è evoluta, è facilmente osservabile. L’uomo poco evoluto può avere la qualità del coraggio, ma se ha la qualità del coraggio manca della sensibilità necessaria per gustare delle poesie o della musica; può essere un buon generale, ma se è un buon generale non sa dimostrarsi buon uomo di governo. L’uomo molto evoluto, invece, può essere un buon uomo d’affari e, nello stesso tempo, un buon poeta (come Lorenzo dei Medici ) o un buon generale e un buon uomo di governo ( come Giuglio Cesare)( 6).

Junior – Da quel che ho capito esistono Divinità buone e Divinità-non buone. Come fare a distinguere le prime?

Senior – Le Divinità buone le distinguerai perché esse non vogliono minimamente condizionarti e farti perdere la tua libertà. (7)

Junior- Ma noi dobbiamo venerare tali Divinità?

Senior- Ma come, tu ti togli tanto di cappello e ti inchini davanti ai potenti della terra e non vuoi dimostrare rispetto alle Potenze celesti ?

Certo che devi dimostrare rispetto verso le Divinità da te prescelte!(8) E questo per almeno tre buone ragioni.

Prima: perché adorando la Divinità (da noi prescelta) in realtà adoriamo il nostro IO – così insegna Vivekananda (9 ).

Seconda (ragione) : perché l’adorazione della Divinità fa emergere in noi quelle “ragioni del cuore” di cui parla Pascal : così come la presenza della persona amata suscita nell’innamorato sensazioni, sentimenti a lui prima sconosciuti, così l’adorazione fa emergere in noi sentimenti del tutto nuovi, sentimenti che altrimenti ci sarebbero rimasti nascosti e che sono “fatti”, fatti reali non meno delle cose che vedono i nostri occhi, fatti su cui può basarsi la nostra religiosità.

Terza ( ragione ) : perché è innata nell’uomo l’esigenza di relazionarsi con altri esseri. Ed allora non è meglio soddisfare tale esigenza relazionandoci con delle Divinità anziché con delle mediocrità umane’ (10).

Junior- Ma dovrò prosternarmi davanti alle imagini della Divinità, come fanno le vecchiette in chiesa?

Senior – In ciò io vedrei un mezzo opportuno per combattere l’orgoglio e la superbia che si annida nel cuore umano. (11)

Note a capitolo V

1) “Non ho da muovere, alcuna obbiezione al dualismo – dice Vivekananda in, Jnana Yoga, cit., p. 174 – in molte delle sue forme. Mi piace la maggior parte di esse, ma ho qualche cosa da dire contro ogni forma di insegnamento che inculchi la debolezza

( …. ) Ogni sistema che indebolisca lo spirito, renda superstizioso e bigotto, faccia desiderare qualsiasi specie d’impossibilità e di superstizione, non mi soddisfa, perché il suo effetto é pericoloso. Tali sistemi non sono apportatori di bene; essi creano morbidità nello spirito e rendono deboli, tanto deboli che in corso di tempo sarà quasi impossibile apprendere la verità e viverla. Quindi, la forza é l’unica cosa necessaria. Essa é la medicina per la malattia del mondo : la medicina che debbono avere i poveri quando sono tiranneggiati dai ricchi ; la medicina degli ignoranti oppressi dai sapienti; la medicina dei peccatori oppressi da altri peccatori; e niente é capace di procurare tale forza come questa idea di monismo”.

2) – Ecco la spiegazione di Vivekananda sul (difficile ) punto : “Un Dio noto non é più Dio: Egli é altrettanto finito come uno di noi. Dio non può essere conosciuto: Egli sarà sempre l’Inconoscibile. Ma l’Advaita dice che Dio é più che conoscibile. E’ questo un grande insegnamento da impartire. Voi non dovete restar paghi dell’idea che Dio sia inconoscibile nel senso in cui l’assumono gli agnostici (….) Questa sedia é conosciuta, ma Dio é intensamente più noto di essa, poiché in Lui e attraverso Lui veniamo a conoscenza della sedia medesima. Egli é il Testimonio, l’eterno Testimonio di ogni conoscenza. Egli é l’essenza del nostro stesso “io”; é l’essenza di questo “ego”, di questo “io”, e noi non possiamo saper nulla che in questo e per questo. Perciò, non potete conoscere che in Brahman e mediante Brahman. Per conoscere la sedia dobbiamo conoscerla in Dio e per Dio. Così Dio é infinitamente più vicino a noi che la sedia; però Egli é infinitamente più alto. Né noto né ignoto, ma qualche cosa di infinitamente più alto dell’uno e dell’altro aggettivo. Egli é il vostro Io . Chi vivrebbe un secondo; chi respirerebbe un secondo in quest’universo, se Egli non riempisse di sé il secondo medesimo?” ( da Jnana yoga, citato, p.97 ).

3) Dio deve rivestirsi di una forma, per rendersi accessibile all’uomo senza nuocergli. Nell’undicesimo canto del Bhagavad Gita ( il fondamentale testo religioso dell’Induismo ) Arjuna, il grande devoto di Krishna ( Krishna è l’auriga del suo carro da guerra, auriga in cui Dio si è incarnato ) gli chiede di rivelarsi a lui nella Sua Forma Suprema. Krishna lo accontenta, ma vedendo la Forma Suprema di Krishna -che poi vera “forma” non è, dato che è costituita da “infinite forme, innumeri braccia, e ventri, e fauci, ed occhi” – Arjuna viene preso da vero terrore e “quindi con voce soffocata, sopraffatto dal timore, prostrandosi” prega Krishna di mostrarglisi nella sua consueta forma umana: “ O Dio, mostrami la consueta forma! Signore degli Dei, rifugio dell’universo, sii propizio”.

(4) Mentono coloro che affermano di aver visto Dio ? Non è detto. Bisogna intendersi sulle parole. Una persona dice di conoscere il re, perché ha scambiato con lui alcune parole nel corso di un’udienza pubblica. Un’altra dice di conoscere il re, perché è stata da lui ricevuta in udienza privata. Un’altra ancora dice di conoscerlo perché ogni giorno pranza e chiacchera con lui. Non possono dire tutte la verità? Certo però, che la conoscenza che si ha di una persona è diversa, più o meno completa, a seconda che ci si è limitati a scambiare con lei due o tre parole oppure tutti i giorni si è pranzato con lei.

5) Questa esigenza di “varietà” era ben tenuta presente daRamakrishna nei suoi insegnamenti: “Shri Ramakrishna domandò un giorno a Narendra quale fosse il suo ideale di vita. Restare assorbito in samadhi, rispose Narendra. Quale meschinità! disse il Maestro : Vai al di là del samadhi che, per te, é come niente.

In un’altra occasione, Shri Ramakrishna ripeté a Narendra la stessa domanda, e ricevette la stessa risposta. Il Maestro allora osservò: Ti credevo più saggio! Come puoi contentarti di un ideale così limitato ? Ciò che fa la mia forza é il rigetto delle limitazioni. Per esempio, avrei piacere di mangiare del pesce preparato in modi molto diversi : fritto, bollito, in zuppa, con condimenti,ecc. Io godo del Signore, non solo nella Sua unità incondizionata, come Brahman senza attributi, nel samadhi, ma anche nella dolcezza delle relazioni umane. Cerca di essere simile a me, jnana e bhakta insieme” ( Alla ricerca di Dio, cit., p.348) .

Che l’ideale di Sri Ramakrishna non fosse né l’atarassia degli stoici né il “nulla” di un mal compreso nirvana di certi buddhisti, risulta anche dal passo seguente ( tratto sempre da Alla ricerca di Dio, cit. , p.324) : “ Fu chiesto un giorno a Shri Ramakrishna: Signore, qual’é il più alto aspetto di Dio, quello che ha forma o quello che non ha forma ? Rispose: L’aspetto senza forma é di due specie: maturo e immaturo. L’aspetto maturo senza forma é molto alto. Non può essere raggiunto che attraverso l’aspetto formale di Dio. L’aspetto senza forma immaturo, che insegnano i brahmo, é simile all’oscurità che si crea semplicemente chiudendo gli occhi” (la sottolineatura é naturalmente nostra).

Nella Bhagavad – Gita, l’aspetto supremo di Dio é quello impersonale. E infatti Arjuna (nel canto undicesimo versetto 37 ), così si rivolge a Krishna – quando Questi gli si rivela nella Sua “Forma Suprema” ( che però, come già avemmo occasione di dire in una precedente nota, non é una vera forma) – : “O Infinito, Signore degli Dei, Rifugio dell’universo! Tu sei l’Essere, il non-essere, e ciò che trascende entrambi”. Ma se é vero che la “forma”, che DIO assume per rendersi accessibile all’uomo, vela e nasconde il Suo aspetto supremo, é anche vero che essa costituisce, per l’uomo, una protezione. Infatti é stato detto che l’uomo (finché rimane uomo) “non può vedere DIO senza perire”. E, in precedenza, abbiamo visto che Arjuna, a vedere DIO nel suo aspetto impersonale, viene preso dal terrore e gli chiede di rivestirsi della Sua consueta forma.

Tutto ciò spiega perché Ramakrishna insegni che è opportuno che l’aspetto impersonale di Dio sia “raggiunto tramite l’aspetto formale di DIO”: é l’adorazione del Dio personale che ci introduce con sicurezza, ed evitandoci molti pericoli della “via diretta”, alla visione della Bellezza di DIO priva di ogni velo.

Bisogna però distinguere tra adorazione di un Dio personale e culto delle Sue immagini. E, al proposito, debbo dire che io non posso non approvare i Musulmani quando bandiscono ogni immagine di DIO : tutte le immagini della Divinità, per quanto ispirate esse siano, vengono a umanizzarLa e quindi a ridurne la bellezza e la grandiosità. La maggior parte delle immagini che adornano le chiese cattoliche, soprattutto quelle di artisti rinascimentali, vengono a costituire una vera profanazione del Divino. Molto più accettabili sono le immagini che si trovano nei templi indù ; e questo proprio perché esse sono meno umanizzate.

6) Si può qui ricordare che il neoplatonico Nicola Cusano vedeva quel che lui chiamava Dio (e noi chiamiamo, “IO” ) come coincidentia oppositorum. Per Cusano “essendo infinito, Dio può essere contemporaneamente qualsiasi cosa e il suo contrario, tanto che lo si può definire una coincidenza degli opposti. In lui convivono il più e il meno; il massimo e il minimo; si può definire Dio come il più grande in assoluto, ma anche come il più piccolo in assoluto; come velocità infinita e quiete assoluta” – cfr. Filosofia, cit., p. 220.

7) E’ significativo che Swedenborg, il grande scienziato e filosofo svedese, nel riferire del suo viaggio nell’aldilà, dica: “ Là dove erano più angeli là c’era più spazio”. Anche nel mondo profano noi vediamo che l’uomo veramente grande, non intimidisce e non inibisce coloro che gli stanno intorno, ma li mette “a loro agio”.

Ramakrishna, quando gli fu proposto di fare l’esperienza del samadhi , a chi chiese il permesso ? Lo chiese alla dea Kali e questa glielo diede: gli diede il permesso di un’esperienza che contemplava praticamente il suo annientamento.

(8) E infatti non tutti dobbiamo fare oggetto di culto la stessa Divinità. Anzi, Swami Vivekananda auspica che in futuro vi siano tanti culti quante sono le persone. Vero è che è anche insegnamento del grande Swami (insegnamento dato in, Bhakti-Yoga, libro che, nell’edizione fatta da Ubaldini editore, risulta incorporato in Yoga pratici) che, scelta la Divinità a cui dedicare il proprio culto, è bene concentrarsi in questo; e Vivekananda condanna quella “gente che in nome di quello che si potrebbe chiamare un liberalismo religioso, nutre la sua oziosa curiosità con una successione continua di ideali religiosi diversi; e così, a furia di udire cose nuove, le si sviluppa una malattia, una specie di dipsomania religiosa, vogliono ascoltare nuove cose solo per procurarsi una temporanea eccitazione nervosa, e quando una simile influenza stimolante ha prodotto su loro i suoi effetti, sono pronti ad esporsi ad un’altra. La religione è, per queste persone, una specie di oppiomania intellettuale, e in questo si traduce” (in Opera in ultimo citata, pag.128 dell’edizione curata dall’editore Ubaldini).

(9 )In, Jnana Yoga, citato, p. 259. Più precisamente Vivekananda dice “Adorando Dio, adoriamo sempre il nostro Io nascosto”.

10)In realtà – ci fa osservare Prabhupada ( in, La scienza della realizzazione spirituale, p. 61 ) – noi stiamo sempre rendendo servizio a qualcuno, famiglia, nazione o società, e colui che non ha nessuno da servire alleverà un cane o un gatto per diventarne servitore” . “ Tutto ciò – continua Prabhupada ( loc. cit.) – dimostra che la nostra posizione naturale e originale é quella del servitore; ma nonostante tutti i nostri sforzi, rimaniamo insoddisfatti, come insoddisfatta é la persona che serviamo. A livello materiale c’é solo frustrazione, perché il servizio offerto é mal orientato. Colui che vuole far crescere un albero, per esempio, deve annaffiare la radice e non le foglie o i rami, il che sarebbe fatica sprecata. Allo stesso modo, se si serve Dio, la persona Suprema, tutte le Sue parti integranti saranno contemporaneamente soddisfatte. Perciò, il servizio che si offre al Signore include tutte le forme di beneficenza, tutte le forme di aiuto alla società, alla famiglia e alla nazione”

(11) Sri Aurobindo ( grande filosofo e grande combattente per la libertà dell’India ) riteneva lecita la preghiera rivolta alla Divinità per riceverne aiuto, come risulta dal seguente passo: “ Per ottenere il vigore, di cui abbiamo bisogno, dobbiamo pregare la Madre della Forza. Essa chiede un culto, ma non per Lei, ma per poter venirci in aiuto e donarsi a noi. Questa non è un’idea fantastica, né una superstizione, ma la legge ordinaria dell’Universo. Gli Dei non restano sordi alle preghiere dei loro devoti; e l’Eterno non è insensibile alle suppliche. Ciò che è vero per l’Eterno, è vero anche per Colei che deriva da Lui”.

Evola, invece, ricorda che, nell’antica Roma, gli Dei si adoravano in piedi, e che Plotino diceva :“Sta agli Dei di venire a me: non a me di andare ad essi”. Questo evidentemente per significare la superiorità dell’IO sul non-io, a cui anche gli Dei appartengono.

Ed è giusto che noi non si abbandoni mai questo senso della centralità dell’IO. Ma io penso che noi si possa mantenere tale senso di centralità, anche nel compimento di atti di culto e addirittura nell’eseguire una prosternatio; purché si accompagnino i gesti cultuali con le giuste idee. Ad esempio, compiendo la prosternatio si pensi “ Io umilio l’orgoglio del mio ego, che è diverso dal mio IO”.

VI – Pensieri sciolti: La bellezza degli Dei – Limiti della ragione – Abbandono in Dio – La giustizia di Dio – Dio tutto perdona – Maia – Reicarnazione

La bellezza degli Dei –

Junior- Perché Ramakrishna tanto ambiva ad avere la visione della Dea Kali ? perché le forme della Dea erano di tal bellezza da azzerare la bellezza delle forme degli esseri umani ?

Senior- Non solo Ramakrishna, ma molti altri cercatori di Verità hanno tentato, spesso con imprese che mettevano a rischio la loro vita o almeno la loro salute ( soprattutto psichica ), di essere ammessi alla visione di una Divinità. E questo non per vedere le sue forme: le forme di un essere, anche di un Dio, quando siano prive dell’anima non attraggono e almeno non attraggono tanto da mettere a rischio la propria vita e la propria salute per vederle.

No, la bellezza di una persona, non deriva dalla simmetria, dalla grandezza o piccolezza delle membra del suo corpo. Deriva da quel che ci comunica. Un’attrice come la Marilin Monroe era affascinante perché i suoi occhi comunicavano l’idea di una persona dolce e maliziosa al contempo (1) . E una persona veramente ti affascina, quando con la sua sola presenza, senza neanche aprir bocca, acquieta la tempesta della tua anima, risolve i tuoi dubbi, arma di novello coraggio il tuo braccio. Un parente cerca di convincere Ramakrishna che la Dea da lui tanto venerata è malvagia ( non porta al collo una collana di teschi?). Ramakrishna, preso dal dubbio, si rifugia nel tempio e chiede alla Dea. Questa gli appare e basta la sua visione ad acquietare i suoi dubbi e a renderlo felice (2). Perché? Perché la Dea lo ha sedotto con la sua bellezza? No, non è la bellezza della Dea che ha rassicurato il suo Devoto, ma è il messaggio, che con la sua semplice apparizione la Dea gli ha comunicato, e che gli ha dissolto i dubbi, che gli ha resa bella e affascinante la Dea .

Junior – Peccato che Ramakrishna, non ci abbia riferito le cose così rassicuranti che gli comunicò la Dea.

Senior – Questo non è del tutto vero: Ramakrishna, così come Gesù Cristo, ha trasmesso a noi , non una cattiva, ma una “buona novella”. Vero è che non ha potuto trovare parole che rassicurassero anche noi, come Lui, sulla fondatezza di tale buona novella. Ma ci sono cose, ahimé, che, con le parole, sono inesprimibili (3). E del resto lo stesso, in un piano molto, molto più basso, accade per la bellezza che deriva da un’opera d’arte : chi può dire perché affascina tanto il sorriso della Gioconda ?

Limiti della ragione umana.

Junior- Ti confesso che più volte le parole che mi dicevi mi hanno lasciato dubbioso. Lasciami dire almeno due dubbi, quelli che ritengo fondamentali.

Primo : se l’Io è eterno e, avendo avuto a disposizione un’infinità di tempo, non è riuscito a diventare perfetto, come può sperare di diventare perfetto nel futuro ? e se era ab initio perfetto, come è potuto diventare imperfetto? lo è diventato perché è caduto vittima dell’illusione? Ciò non può essere, perché solo un essere imperfetto può cadere vittima di un inganno.

Secondo dubbio: come può il male conciliarsi con la somma bontà e la onnipotenza di Dio? E infatti, se Dio, volendo per la sua somma bontà eliminare il male, non potesse eliminarlo, ciò sembrerebbe contrastare con la sua onnipotenza; e se Dio potendo eliminare il male non volesse eliminarlo, ciò sembrerebbe contrastare con la sua somma bontà.

Senior – Caro amico, ti dò una brutta notizia: alle tue domande io non so dare una risposta soddisfacente e, quel che più conta, non sanno darla neanche i Maestri del Vedanta. Per limitarci a Ramakrishna, non è che Egli chiudesse gli occhi dinanzi alla problematicità della vita e all’esistenza del male nella vita. Tutt’altro ( 4 ). Però Egli riteneva che cercare di risolvere certi problemi con la intelligenza umana fosse impossibile: è come cercare, Egli diceva, di travasare sette litri di latte in un recipiente che ne può contenere solo un litro.

Solo quando noi riusciremo, come riuscì Ramakrishna, a elevarci al cospetto della Divinità, potremo ricevere dalla Sua Grazia le risposte desiderate. (5)

Nel frattempo ogni uomo di buona volontà, rassicurato sul suo futuro, dalla serenità, e, più che dalla serenità, dalla gioia con cui Ramakrishna visse (senza essere per nulla turbato dalla insolubilità di certi problemi ), saprà assumere un atteggiamento pratico di fronte alla vita : sì, io non so perché esiste il male, ma so che con il giusto atteggiamento mentale lo posso superare; sì, io non trovo risposta al problema del perché, pur avendo avuta un’eternità alla mie spalle, io non sono riuscito a diventare perfetto, ma so anche che io posso sempre più diventare divenire perfetto e felice. E allora, non comportiamoci da sciocchi : qualcuno ha messo sulla nostra tavola un dolce squisito, non facciamoci venire il mal di testa, cercando di capire chi ce l’ha messo, mangiamolo! (6)

Abbandono a Dio.

Junior- Quando possiamo sperare di realizzare Dio?

Senior-Quando siamo toccati dalla grazia di Dio(7). E siamo toccati da questa grazia quando ci abbandoniamo a Dio.

Junior- In che cosa consiste l’abbandono a Dio?

Senior- Due forme ci sono di abbandono a Dio.

La prima, è dovuta alla consapevolezza dell’onnipotenza di Dio : Dio può tutto e fa tutto e noi non possiamo interferire con la volontà di Dio: è come se fossimo seduti nel sedile posteriore di un’auto, consapevoli che non possiamo in niente interferire nella sua guida ( ad esempio, avvertendo il guidatore di questo o quel pericolo) (8) : non ci resta che augurarci che chi è alla guida sia attento e abile – naturalmente non siamo tranquilli, dato che attento e abile, egli, potrebbe non esserlo .

La seconda è dovuta alla fede non solo nella onnipotenza, ma altresì nella assoluta bontà di Dio : siamo sempre impossibilitati a interferire nella guida dell’auto, ma siamo tranquilli e sereni (9) perché sappiamo che chi guida, non solo è un ottimo guidatore, ma ha la massima cura della nostra persona.

La grazia di Dio scende su di noi quando noi raggiungiamo la seconda forma di abbandono.(10)

La giustizia di Dio-

Junior- Dio è giusto?

Senior- Dio è somma giustizia. E non può essere diversamente, dato che Egli, come quel re, che tutto quel che toccava tramutava in oro – tutto ciò che vuole, tramuta, per il fatto di essere secondo la sua volontà, in cosa buona e giusta.

Tieni anche presente che, per poter valutare la giustizia di un’azione, noi dovremmo conoscere gli scopi che tale azione persegue, e gli scopi che persegue la volontà divina sono per noi ( almeno finché noi ci identifichiamo nell’ego, e non nell’IO) un mistero (11) : quindi bisogna accettare quel che avviene, senza cercare di capire perché avviene, se è giusto che avvenga e così via (12).

Però, io penso, che quando avremo raggiunta (e nella misura in cui avremmo raggiunta) la consapevolezza che noi abbiamo, sì, un ego, ma nella nostra vera essenza siamo un glorioso IO (privo, in quanto tale, dei difetti, delle qualità e, quel che qui più conta dei desideri dell’ego ), non dovremo temere che ci colpisca il male. Perché? Perché il male, anche se esistesse ( e vedremo, invece, che il male obiettivamente non esiste : esiste e ci fa soffrire solo quello che noi pensiamo e, quindi, sentiamo, come male ), non avrebbe, per così dire, carne da mordere cercando di addentare chi, come il nostro IO (avendo bevuto alla fonte, che toglie ogni sete e soddisfa ogni desiderio), di desideri non ne ha più ( forse non è vero che solo ci fan soffrire le cose, che i nostri desideri ostacolano? ); perché, ancora, il nostro IO, tutto al contrario di sentire come male un evento, non può non sentire come bene ogni evento, se è vero, com’è vero, che un essere non può sentire che come un bene quel che avviene secondo la sua volontà, e il nostro IO vuole quello che Dio vuole; perché, infine, nessuno vuole il suo male e quindi il nostro IO ( che in un certo senso è coautore con Dio di tutto quel che accade ) non può volere farsi del male.

Junio- Quindi, in definitiva, è solo la consapevolezza dell’IO, che ci può dare la sicurezza che tutto ciò che avviene, avviene per il nostro bene e mai può danneggiarci.

Senior – E‘ così.

Dio tutto perdona-

Junior – Tutti saremo salvati?

Senior – Fu chiesto a Ramakrishna “Tutti gli uomini vedranno Dio?”.

E Lui così rispose: “Nessuno è obbligato a digiunare per tutta la giornata. Alcuni mangiano alle nove del mattino, altri a mezzogiorno, altri ancora alle quattordici; vi sono poi coloro che prendono il loro cibo solo al tramonto del sole. Del pari, tutti gli uomini potranno e dovranno vedere Dio, un giorno o l’altro, sia in questa vita sia dopo altre numerose esistenze” ( Alla ricerca di Dio, cit., p.15 ).

Ed è naturale che sia così. Non abbiamo prima visto che ogni azione dell’uomo è dettata da Dio ? E come può Dio salvare alcuni uomini e altri dannarli, se tutti agendo hanno fatta la sua volontà? Dio tutto perdona.(13)

Vero è che l’uomo nella sua vita e soprattutto nel post-mortem, quando deve fare, della sua esistenza, un consuntivo, giudica come peccati ed errori certe sue azioni e….non se le perdona.

Junior- Strano che Dio tutto ci perdoni (se mi è lecito usare questa parola per Chi, come non può amare, neanche può perdonare), mentre noi non sappiamo perdonarci. Ora capisco la profondità della preghiera del Pater nostrum : “Perdona i nostri peccati così come noi li perdoniamo ai nostri debitori”: è come dire, che è nella misura in cui noi non sappiamo perdonare ai nostri “debitori”, che non saremo perdonati. Ma non da Dio, che tutto perdona, da noi stessi. E infatti, avendo noi, prima, considerata “peccaminosa” l’azione del fratello, poi, quando noi stessi la compiamo, siamo inevitabilmente portati, da un’interna coerenza, a ritenerla tale, e a reclamare per noi la punizione che reclamavamo per il fratello : non si autoflagella per un’azione commessa, chi non ha flagellato il fratello, che ebbe a commettere la stessa azione.

Senior – Sì, questa potrebbe essere una spiegazione del senso del peccato e del rimorso. (14)

Maia

Junior- In che senso le cose che fanno parte del non-io sono un’illusione : nel senso che non hanno un’esistenza reale ?

Senior- Non in questo senso.

Junior- Allora in che senso?

Senior – Nel senso che la loro efficacia, la loro “presa” su di noi può essere nullificata dal sopravvenire di un altro quid. Io sono pieno di amore per Eloisa, ma , una volta che incontro Lesbia, mi innamoro di lei ed Eloisa è per me come se non esistesse più – anche se in realtà esiste e continua a far innamorare di sé altri uomini.(15) Così, quando Ramakrishna trovò la forza per rompere il suo attaccamento per la Dea Kali, questa cessò per lui di esistere ed egli entrò in samadhi ( 16); però ciò non significa che la Dea Kali cessò in quel momento di esistere; tanto è vero che Ramakrishna , ritornato al livello normale di coscienza, ne riprese il culto. Ed è interessante notare che, di tutte le cose del non-io, la Dea fu l’ultima a sparire dalla coscienza di Ramakrishna.(17) Ciò a riprova che il Dio personale, non solo esiste, ma ha un’esistenza, per così dire, più forte di quella di tutti gli altri esseri che popolano il non-io.

Reicarnazione-

Junior – L’anima è immortale?

Senior – Bisogna intendersi sulle parole. L’IO è immortale (in quanto non soggetto a cambiamento) (18), l’ego, invece no (in quanto soggetto a continuo cambiamento): certamente, quindi l’ego, con la dissoluzione del corpo fisico morirà (cioè, con la dissoluzione del corpo, cambierà quella entità, chiamata “ego”, formata da vari pensieri, vari sentimenti…), ma cambierà ( cioè, morirà ) così come muore ogni giorno ( anzi, ogni istante ). Ma questa non è una cosa tragica (19 ): tu, ogni volta che vai, la notte, a dormire, sai, e, certe volte, speri, che ti rialzerai l’indomani “diverso” (cioè, “cambiato”), ma ciò non ti impedisce……di farti una bella dormita (20).

Junior- Ma Ramakrishna – che tu hai detto essere uno dei rappresentanti più autorevoli dell’ Advaita-Vedanta – credeva nella reincarnazione ?

Senior- Certo non ci credeva nel modo semplicistico in cui ci credono certi teosofi. Comunque non ne contestò mai l’insegnamento. Evidentemente pensava che, la contestazione della giustezza dell’insegnamento sulla reincarnazione, sarebbe stata equivocata come una negazione dell’immortalità dell’IO, e che ciò avrebbe gettato nello sconforto molte persone, che, invece, in tale insegnamento trovano un incoraggiamento a bene operare.

Comunque sia, l’atteggiamento di Ramakrishna verso la reincarnazione secondo me è bene rappresentato dalle seguenti sue parole ( riportate a pag. 396 di Alla ricerca di Dio, cit.) : “ Sì, si dice che vi sia la reincarnazione. Come la nostra intelligenza così limitata può comprendere quali siano le vie del Signore? Molte persone qualificate hanno riconosciuto che la reincarnazione è un fatto. Come potrei non credervi ?”.

Insomma, chi si comporta come se la reincarnazione ci fosse, non sbaglia; però chi trova insoddisfacente tale idea, che insoddisfacente effettivamente è, io credo che possa essere fiducioso che Dio, che ci ama, con lo stesso amore e più, con cui un IO

( non un “ego” ) ama se stesso, gli ha riservato un destino ben più grande di quello a cui fa pensare la reincarnazione.

Note a capitolo VI

1-Ma si può concedere che, non solo cli occhi, le finestre dell’anima, ma anche altre parti del corpo ci comunichino un’idea. Ad esempio, la statua equestre del Gattamelata è bella perché, la mascella volitiva del cavaliere esprime un’idea di maschia forza.

2)Ecco l’episodio come viene riportato nel bel libro di Christopher Isherwood, Ramakrishna et ses disciples ( CVR édition, p. 104 – la traduzione é mia ) : “Dopo la sua visione terrificante nel tempio di Kali ( e la morte susseguente di suo figlio ), Haladari era venuto, non senza ragione, a considerare Kali unicamente sotto il suo aspetto di Distruttrice. Un giorno egli domandò a Ramakrishna : “Come tu puoi passare il tuo tempo a venerare una Dea che non personifica nient’altro che l’ira e la distruzione?”. Ramakrishna fu molto rattristato da tale domanda che gli sembrava diffamasse la sua adorata Madre. E corse nel tempio di Kali per implorarla : “ Madre! Haladari, che é un grande erudito e che conosce le Scritture, dice che tu non sei altro che ira e distruzione! E’ proprio vero ?”. Egli fu immediatamente rassicurato; la natura della Dea gli fu rivelata nella sua totalità. Sollevato da ogni dubbio e folle di gioia Ramakrishna corse fino al tempio di Radhakanta dove Haladari celebrava il culto; gli saltò sulle spalle : “ La madre é tutte le cose!” ripeté egli a Haladari con una voce commossa. “Osi tu dire che Essa incarna l’ira? No! Essa ha tutti gli attributi…E pertanto non é che Puro Amore !”

3) Al Ghazali (un grande pensatore e mistico dell’Islam ) scriveva , nelle sue istruzioni a un discepolo: “ Sappi che alcune domande che mi hai rivolto non comportano risposta, né scritta né a parole : chi raggiunge gli stati mistici sa che cosa sono, non é possibile conoscerli altrimenti, perché sono stati di esperienza immediata, e queste esperienze tutte sono indescrivibili, come la dolcezza del dolce e l’amarezza dell’amaro, che puoi conoscere solo sperimentandole” ( confr. Storia della Religione, Vol.VI, cit.,p.319 ).

4) Ramakrishna,infatti, nell’elencare i vari aspetti della Dea Kali, accanto a quelli benefici, non manca di indicare quelli che La rendono “Madre terribile, grande Distruttrice”: “Nei campi crematori Essa appare coi tratti della Morte. Il cadavere, lo sciacallo, gli spiriti distruttori sono i Suoi terribili compagni; Essa vive in mezzo alle scene dell’orrore e ai luoghi terrificanti; ruscelli di sangue, una ghirlanda di crani intorno al suo collo, una cintura fatta di mani di coloro che sono morti sono i simboli che allora La designano, come Madre terribile, grande Distruggitrice” ( Alla ricerca di Dio, cit., pag. 328).

5 ) In altre parole, l’errore che si compie , nel cercare di risolvere i grandi problemi dell’esistenza, è quello di usare i concetti, che forgia la nostra mente umana

( perfezione, imperfezione, eternità, manifestazione…) per comprendere ciò che trascende la mente umana.

Fu chiesto un giorno a Ramakrishna: “Come si è formata la idea illusoria dell’Atman indifferenziato che si differenzia nell’anima individuale?”. Rispose: “L’advaitista, ferrato di dialettica, fintanto che si appoggia alla sola potenza della ragione, vi risponderà dicendovi. “Non lo so”. La sola realizzazione può fornire una risposta conclusiva. Fintanto che voi dite “So” e “Non so”, considerate voi stessi come una personalità, e come tale accettate la differenziazione come un fatto e non come una illusione. Ma quando ogni personalità è cancellata, si realizza la conoscenza dell’Assoluto nel samadhi. E’ allora solamente che cessano tutte le questioni dell’illusione e della realtà, del fatto e della finzione”( Alla ricerca di Dio,cit., p.314 ).

Una considerazione, che ci deve tranquillizzare anzi riempire di gioia : quando Ramakrishna aveva la visione della dea o entrava in samadhi, non soffriva, ma era pieno di una indicibile felicità : perché ? perché gli veniva somministrato dell’oppio o della eroina ? no di certo, ma perché, evidentemente, veniva a conoscenza di fatti

( sul destino umano ) che, lungi dall’addolorarlo, lo rendevano felice e tale lo rendevano in quanto acquietavano i timori che lui, come ogni essere umano, su tale destino, aveva : insomma, perché, con la visione della Dea o nel samadhi, riceveva una “buona” e, non una cattiva “novella”.

L’impossibilità di dare risposte a livello discorsivo e razionale, può spiegare certe risposte troppo tranchant di Vivekananda, al perché il male esiste : “no, il male non esiste” “no, non esiste la imperfezione, noi siamo Dio”. Tali risposte senza dubbio urtano la nostra mentalità cartesiana : “Come, mi è stata uccisa la figlia, che era il mio unico sostegno, e il male non sussiste?”. Eppure le risposte di Vivekananda (tenuto anche il debito conto dell’intento provocatorio che le animavano) sono giuste e sono giuste perché sono le uniche risposte utili per permetterci di superare il male. Perché? Perché sono energetiche, ci danno forza; ed è appunto di forza, di riacquistare la fiducia in noi stessi ( nel senso in cui ne parlava Emerson), che abbiamo bisogno per superare il male .

6)Emilia Rossi ( Atei all’alba , La Fiaccola, 1973, p.43 ) : “Ovviamente non mancavano discepoli del Buddha che cercavano di investigare presso il Maestro il problema metafisico : se il mondo é eterno o no, se é limitato o infinito, se l’anima é una cosa sola col corpo o no, se un Buddha sopravvive dopo la morte. Ma il Buddha si rifiutò sempre di dare una risposta a queste domande paragonando l’uomo che si perde in simili questioni a colui che, ferito da una freccia, si rifiuta di lasciarsela estrarre prima di sapere il nome di chi l’ha ferito, a quale famiglia appartenga, se era alto o basso di statura e simili. Naturalmente arrischierà di morire della sua ferita prima di venir risanato. Dobbiamo quindi constatare come il rifiuto sistematico di ogni problema metafisico sia una vera caratteristica del Buddha”.

7) “Senza la grazia di Dio i nostri dubbi non potranno mai dissiparsi” – così Ramakrishna ( Alla ricerca di Dio, cit., p. 252 ). Ed è naturale che la conquista della Verità non dipenda da noi: se Dio è onnipotente, noi non possiamo nulla, neppure ricercare la Verità. Ed è solo compiendo un salto logico, che possiamo pensare di riservare a noi un lavoro preparatorio alla venuta della Grazia divina.

In che consiste tale lavoro preparatorio ? Consiste nel dire la verità ( e non solo agli altri, ma anche e soprattutto a noi stessi!) : Dio infatti “è l’anima stessa della verità”: “ Se non dite sempre la Verità non troverete Dio che è l’anima stessa della Verità” ( Alla ricerca di Dio , cit., p. 202 ).

In buona sostanza il meccanismo è lo stesso di quello che si verifica quando cerchiamo di ricordare qualcosa. In tal caso, non è che noi ci mettiamo a cercare nei cassetti del nostro cervello, nella speranza di trovarvi quel che abbiamo dimenticato. No, ci limitiamo a fare un lavoro preparatorio: cioè, a fare il vuoto nella nostra mente e…ad aspettare che il ricordo emerga in noi. Lo stesso non può non avvenire quando ricerchiamo la verità ( quella verita che non sappiamo che cosa sia, dove sia, di cui, insomma, non sappiamo nulla): anche in tal caso, non possiamo far altro che liberare la nostra mente dalle sterpaglie ( le nostre idee viziose, le associazioni di idee che riceviamo dall’esterno in modo acritico….) e….aspettare, che la Grazia di Dio ci illumini.

8) Mi si permetta un’auto-citazione su Gurdjieff ( tratta dal mio, Vita privata di grandi personalità alla luce di astrologia, grafologia e storia, p.235, pubblicato nel sito, http://www.sapervivere.net ) – autocitazione che mi pare utile per chiarire il contenuto della precedente nota 7 : “ Nel 1914, all’età di 46 anni, Gurdjieff riappare in Occidente, a Pietroburgo. Dopo circa 20 anni di vagabondaggio spirituale, ormai senza preoccupazioni materiali, perché é più che ricco, vuole trasmettere al pubblico un messaggio.

E’ questo, però, un messaggio piuttosto sconcertante : pochissimi di noi sono degli Uomini: la stragrande maggioranza non sono che delle macchine, e per di più delle macchine che assurdamente tendono sempre a rifare lo stesso percorso, in quanto essi si muovono ( meglio sarebbe dire, sono mossi ) in base ad associazioni di idee in loro indotte dall’esterno e che, appunto, tendono a ripetersi continuamente.

Occorre rompere questo perverso meccanismo, occorre “svegliarsi” dall’ipnosi di cui siamo vittime. Occorre guadagnarsi con una durissima lotta un “Io”: quell’Io che ora non possiamo dire di avere, dato che, avere un “Io” e non esserne consapevoli, é come non averlo ( e di questo “Io” non siamo consapevoli in quanto continuamente ci identifichiamo con le idee, i sentimenti che ci vengono dall’esterno e che, per così dire, ci “aspirano”, ci “risucchiano” : io sono continuamente “aspirato” dal cibo che mangio, dalla sigaretta, che fumo, dall’amore, che faccio, dalla pioggia, da quel quadro, da questo libro….).

Gurdjieff non ama né blandire né illudere le persone : “Un uomo può smettere di essere soltanto una macchina. Ma in questo caso deve rendersi conto di essere una macchina, soltanto una macchina e nient’altro, una macchina irresponsabile. Conosci te stesso. Un uomo é responsabile. Una macchina non lo é. Voi non siete ancora esseri responsabili”.

E insiste, ancora, duramente : “L’illusione suprema dell’uomo é la sua convinzione di poter fare . Ma in verità nessuno fa niente, nessuno può fare niente. E’ la prima cosa che bisogna comprendere. Tutto accade. Tutto ciò che avviene nella vita di un uomo, ….tutto ciò, accade”.

9) Addirittura siamo pieni di gioia, per il fatto di poter viaggiare, godendoci il passaggio, senza compiere la fatica della guida. Ma, chiaro, che la gioia che proveremo quando saremo perfettamente consapevoli di poterci abbandonare a Dio, la gioia cioè del samadhi, è inconcepibilemnete più alta : è la “stessa gioia – dice Ramakrishna nel tentativo di descriverla – che prova il pesce ancora vivo gettato di nuovo nell’acqua, dopo esserne stato tratto per qualche tempo” ( Alla ricerca di Dio, cit., p.340 ).

10) Ma come possiamo essere felici, se non siamo liberi? Sciocchezze! L’esigenza primaria dell’uomo è quella della felicità, non della libertà : l’uomo vuole essere libero, in quanto essere libero gli dà la sicurezza di poter acquisire le cose che lo rendono felice: io oggi ho desiderio di bermi del buon spumante: se non fossi libero, ma dipendessi, per soddisfare le mie esigenze, dalla volontà di un terzo, avrei ragione di temere che questo terzo, per incapacità o per non essere in grado di capire le mie necessità, mi metta sulla tavola una bevanda da me non desiderata : della birra, anziché dello spumante. Che dire, però, se potessi essere assolutamente certo che il terzo, da cui dipende il mio benessere, per l’onniscienza che ha, per l’onnipotenza che ha, è perfettamente in grado di comprendere le cose che mi necessitano e di procurarmele ?

Il vero problema dell’uomo, non è quello della libertà, ma di saper se il suo IO è, o no, onnisciente e onnipotente e quindi in grado di renderlo, anzi di rendersi felice.

11) Sul punto ci permettiamo di riportare il passo di un nostro libro (Critica ai valori della Costituzione, Europa edizioni, p.58 ss ) :

“Il giovane – “Dopo aver parlato tanto di “giustizia”, dimmi, ma quand’é che ci si comporta giustamente”.

Il vecchio: “ Quando si persegue uno scopo con un comportamento ad esso adeguato”

Il giovane : “Quindi senza cedere a quelle simpatie o antipatie, che ci porterebbero inevitabilmente ad adottare un comportamento inadeguato allo scopo”

Il Vecchio : “Chiaramente, sì”

Il Giovane: “ Quindi, chi si comporta incoerentemente rispetto allo scopo, che deve perseguire ( metti, perché é un pubblico ufficiale ) o comunque che ha dichiarato di voler perseguire, si comporta ingiustamente. Non per nulla i Pitagorici ritenevano che la giustizia fosse armonia, cioé coerenza”.

Il Vecchio : “Io direi piuttosto che l’incoerenza é un sintomo, un elemento rivelatore dell’ingiustizia. Se chi ha il dovere di retribuire i lavoratori di un campo secondo il loro lavoro, dà cento a chi, venuto a lavorare di buon mattino, ha sgobbato per 12 ore e dà ancora cento a chi, venuto solo alla sera, ha lavorato solo per due ore, ben deve aspettarsi di essere accusato dai lavoranti di comportarsi ingiustamente”.

Il Giovane : “Così come fu accusato di comportarsi ingiustamente, il padrone della parabola evangelica. Ma il padrone della parabola rispose a chi lo criticava : non sono forse io il padrone dei miei soldi, non posso quindi io darli a chi mi pare e piace ?”.

Il vecchio : “Sì, rispose così. Quod deus vult, ipsa iustitia est, questo in definitiva é il senso della parabola evangelica, detto con le parole di SantAgostino”.

Il Giovane: “Ciò però fa pensare a Dio, non come a un essere sommamente giusto, ma come a un capriccioso tiranno. E in realtà non sono pochi i passi del Vangelo che ci rimandano a tale idea di Dio. Ad esempio in San Marco si legge “ Dio fa piovere sui giusti e sugli ingiusti “ ( 5, 44 ) e in Luca si legge ( 15, 7 9 ) “Ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti”. Bella giustizia, viene da pensare!!!”.

Il Vecchio : “ Detta così come la dice SantAgostino, in effetti é un po’…..cruda : fa effettivamente pensare a Dio come a un capriccioso tiranno. Non é naturalmente così. Dobbiamo sempre ricordarci che una persona si comporta con giustizia quando il suo comportamento é perfettamente adeguato allo scopo, che deve o dice di voler realizzare. Quindi per giudicare, se sia giusto o ingiusto un comportamento, noi dobbiamo sapere lo scopo, che vuole o deve perseguire chi l’ha adottato. Ad esempio, il comportamento del padrone di evangelica memoria sarebbe senz’altro da ritenersi ingiusto, se il suo scopo fosse stato quello di retribuire i lavoranti secondo il loro lavoro, mentre sarebbe da ritenersi perfettamente giusto, se il suo scopo fosse stato quello di retribuire i lavoranti secondo i loro bisogni ( dato che il lavorante, venuto a fine giornata, potrebbe aver avuto più bisogno di pane – metti perché gravato da una numerosa famiglia – del lavorante giunto di buon mattino, scapolo e senza figli )”.

Il Giovane : “ Cosa per cui, tu mi vuoi dire, siccome non conosciamo gli scopi che Dio persegue, neanche possiamo giudicarlo in base all’apparente incoerenza delle Sue decisioni”.

Il Vecchio : “Hai capito perfettamente”.

12) Accettare le cose così come sono, rinunciando all’inutile tentativo di sapere perché così sono, fù ed é insegnamento di una grande Scuola giapponese, lo Zen. Scrive (in, Cavalcare la tigre, ed Scheiwillar, 1961, p.181 ) Julius Evola al proposito: “Il cedro nel cortile, una nuvola che proietta la sua ombra sulle colline, la pioggia che cade, un fiore che si apre, il monotono rumore di una risacca : tutti questi fatti “naturali” e banali possono suggerire l’assoluta illuminazione, il satori : proprio in quanto fatti senza un senso, senza una finalità, una intenzione, proprio in quanto tali hanno un senso assoluto. Così appare la realtà, nella pura qualità dello “essere-cose-così-come-sono”. La controparte morale é accennata da detti, come questo: “L’asceta puro e incontaminato non entra nel nirvana e il monaco che viola i precetti non va all’inferno”.

13) Il tormento della Teologia islamica fu ed é quello di conciliare l’onnipotenza di Dio, che porta a negare il libero arbitrio, con la giustizia di Dio : come spiegare che un Dio giusto danni all’inferno chi ha agito come suo semplice strumento ? Alcuni teologi islamici pertanto sono venuti ad attribuire all’uomo in misura maggiore o minore la libertà di decidere la sua condotta, alcuni altri, al contrario, sono giunti a negare l’eternità dell’inferno. Nell’area cristiana non minori difficoltà incontra chi ( come Calvino ) sostiene la teoria della predestinazione.

Vero é che mentre i Vangeli lasciano parecchi spazi per chi sostiene la libertà del volere umano, sono numerosissimi i detti coranici che chiudono ogni possibilità di sostenere il libero arbitrio. Si pensi solo alla seguente sura “ Dio travia chi vuole e guida chi vuole” ( 74,31) e a quest’altra “Ma non lo vorrete se Dio non lo vuole” ( 81 : 29 ) ( confr. Storia della Religione– vol VI, L’Islam, 324 ).

E in definitiva a noi – facendo tutte le riserve imposte dalla nostra limitata conoscenza della teologia islamica – ci sembra di poter dire che l’insegnamento prevalente nell’Islam é quello ( di compromesso ) rappresentato dal verso 33 di quell’Opera fondamentale del Pensiero islamico che é “Il perfetto credente ” : “Dio non approva il male, anche se lo ha voluto” ( cfr Storia della religione, cit., p.324).

Bisogna, però, sempre ricordare che l’Islam, accanto a un essoterismo, ha conosciuto e conosce un esoterismo, come risulta dal seguente passo di Storia della religione

( cit. p. 348 ) : “Numerose sono le allusioni a una dimensione interiore e riservata, non comunicabile a tutti indistintamente ma sicuramente essenziale. Spesso si ricorda che il Profeta parlava ad ognuno il suo linguaggio, a seconda della capacità di comprensione di anche parecchi Compagni ; fra tutte basta la celebre testimonianza di Abu Hurayra, che affermò di aver ricevuto dal Profeta due scienze, una delle quali talmente riservata che gli avrebbero certamente tagliato la gola se l’avesse rivelata”.

E nei circoli esoterici si insegnavano e si insegnano cose che , per non turbarlo, al volgo si tacevano e si tacciono.

14) -Ma forse una migliore spiegazione del fenomeno la dà Julius Evola ( in, Cavalcare la tigre, edit. Scheiwiller, 1961, p.106 ). L’Evola partendo dal presupposto che la persona umana ospiti in sé una molteplicità di tendenze ( che, suo compito, é di unificare ), ci dice : “A parte le reazioni puramente esterne, sociali, si può soffrire, sentire rimorso, colpa o vergogna quando si agisce in contrasto con la tendenza che malgrado tutto prevale in fondo a sé ( per l’uomo comune, si tratta quasi sempre delle sue condizionalità ereditario-sociali agenti nel suo subcosciente) e che solo apparentemente é stata tacitata da altre tendenze e dall’arbitrio dello “io fisico”; si avrà invece un senso di soddisfazione e di appagamento quando é quella tendenza che si segue. Infine la “sanzione interiore” negativa può intervenire fino a provocare un crollo nel caso già accennato, quando partendo dalla vocazione che si é ritenuta essere la più profonda e autentica, si era eletto un dato ideale e una data linea di condotta, ma si é ceduto ad altre tendenze e si constata passivamente la propria debolezza e il proprio fallimento, lasciando sussistere la dissociazione interna dovuta alla pluralità non coordinata delle tendenze”.

Chiaramente Evola pensa che – “nel presupposto di un alto grado di unificazione dell’essere” – il fenomeno del rimorso e del senso del peccato non si può verificare. Ma che questa “unificazione” avvenga, non é facile, e quindi non é facile, ahimé, trovarsi davanti a un uomo in “pace con sé stesso”.

Volendo allargare il discorso, ci si può domandare, perché non si deve fare il male. E la risposta é quella che si legge nel Corano : “Chi fa il male, lo fa soltanto a sé stesso” ( cfr Evola, Cavalcare la tigre , cit., p.104 ).

E questo perché innumerevoli sono i “canali” che connettono il nostro “ego” ( non, il nostro IO ) agli altri ego : é come per i fratelli siamesi : se si tocca l’uno, anche l’altro sente.

Questa “catena inconsapevole”, anche se lega tutti gli uomini, si rivela soprattutto tra persone che hanno lo stesso sangue . A questo proposito sono interessanti le osservazioni che Iagla ( chiaramente, uno pseudonimo ) fa ( in,Introduzione alla magia come scienza dell’io, vol.III, p.136 ): “Nelle antiche tradizioni possiamo rinvenire tre principi, che dimostrano la forza di quella concezione : il principio di diffusione, il principio di concentrazione, il principio di sostituzione. In forza del primo, una “colpa” ( cioé : la causa di una reazione ) commessa da un membro della comunità o della famiglia, poteva far ricadere la sua “maledizione” su tutti gli altri : tutti dovevano espiare. (…..) Per il principio di concentrazione, invece, il “carico” che incombe su una comunità o catena può essere raccolto e risolto da un singolo membro, che “riscatta” tutti gli altri. Sono gli “espiatori”, volontari o designati – ovvero sono i “vendicatori”. Tutti sanno quanto era diffusa questa tradizione nei tempi antichi, specialmente nel riguardo dei sacrifici. Spesso il sacrificio si presentava come il correttivo di una “diffusione”: la “maledizione” caduta sopra una comunità o famiglia per colpa di un singolo, viene rimossa per tutti da un altro singolo individuo, espiatore o redentore. Nel mito ebraico-cristiano, Gesù, col suo sacrificio riscatta l’eredità di Adamo, gravante su tutti i discendenti del “primo uomo”. Il principio di sostituzione vuole, infine, che una “offesa” fatta da, o a, un singolo membro, possa essere riscattata da un altro membro che sostituisce il primo. L’uno può essere sacrificato per l’altro, l’uno risponde per l’altro, o l’uno vendica l’altro. L’effetto é lo stesso, la causa creata si scarica.

Ho ricordato queste tradizioni antiche – continua Iagla – che si riferiscono allo stato di catena dato naturalmente dal sangue in altri tempi, perché esse si estendono a varie analoghe unità che, per altre vie, ancor oggi si possono stabilire. Tutti i termini, come “colpa”, “oltraggio”, “benedizione”, “maledizione”, “vendetta”, “riscatto”, “redenzione”, ecc., in questo contesto debbono essere separati da ogni significato morale e compresi positivamente come dinamismi di forze sottili, obbedienti alla legge degli enti e rispondenti ad un determinismo preciso, che gli Antichi mostravano di conoscere.”

(15) Altro esempio: le cose del “non-io” possono essere nullificate, scacciate via, così come io posso scacciare un pensiero con un altro pensiero: io sono preso dal pensiero di cessare di studiare e di mettermi a guardare la televisione; però richiamo alla mente le belle cose, che mi permetterà il superamento degli esami, e…..lascio spenta la televisione. Questo esempio può mettere in risalto il lato positivo di “Maia” ( che – ed è cosa molto interessante – ha anche il significato di “magia” ) : il fatto che il mondo sia “Maia” comporta anche che l’IO ha il potere di modificare il mondo, il non-io.

(16) Entrò cioè in una dimensione spirituale in cui gli altri esseri, non già cessano di esistere, ma in cui, l’IO – privo delle lenti deformanti che prima portava, privo di ogni attaccamento sfuorviante ( quell’attaccamento che fa vedere, alla madre, il figlio come bellissimo, mentre é…bruttissimo ) – può guardarli nella loro realtà, “così come sono” ( e non , come avviene nella vita e… nella commedia di Pirandello, “così come ci pare”) : cioé nella loro gloria di Figli della Divinità .

(17)-Ecco come Ramakrishna racconta la sua esperienza del samadhi: “Dopo l’iniziazione, Tota Puri, “l’uomo tutto nudo” mi insegnò le diverse conclusioni dell’Advaita Vedanta, e mi chiese di astrarre completamente il mio spirito da ogni oggetto terrestre immergendolo nell’Atman. Nonostante tutti i miei sforzi, non riuscivo a passare al di là del regno del nome e della forma e a instaurare nel mio spirito la condizione dell’incondizionato. Non provavo alcuna difficoltà a ritirarlo dagli oggetti di quaggiù, salvo da uno solo che era la forma anche troppo conosciuta della Madre Beata, essenza della Coscienza Pura. Essa mi appariva come una realtà vivente e non mi permetteva di oltrepassare la barriera che mi tratteneva nel regno del nome e della forma. Cercai per lungo tempo di concentrare il mio spirito sugli insegnamenti dell’Advaita, ma sempre la Madre mi sbarrava il cammino.

Disperato dissi all’ “uomo nudo”: “ E’ inutile, io non arrivo a fissare il mio spirito nello stato incondizionato e a immergerlo nell’Atman” . Indignato, mi rispose severamente: “Come, non puoi arrivarci! Ma é assolutamente necessario che tu vi pervenga !”. Fece come se cercasse qualcosa intorno a sé, raccolse un pezzo di vetro e, appoggiandone la punta fra le mie sopracciglia, disse : “Concentra il tuo spirito in questo punto”. Io mi sedetti, pieno di ferma volontà, e ripresi la mia meditazione. Quando la forma graziosa della Madre si sollevò dinanzi a me, impiegai il mio discernimento come una spada, e la divisi in due.

Allora cadde ogni barriera nel mio spirito, che si alzò immediatamente al di là del piano della relatività; e mi persi nel samadhi”.

18) Krishna ( in cui ha preso forma, Dio ) dice, sul campo della prossima battaglia, ad un Suo devoto, Arjuna ( riferendosi all’IO ) : “Mai ci fu tempo in cui non esistevamo, Io, tu e tutti questi re, e mai nessuno di noi cesserà di esistere” ( Bhagavad Gita, cap.II, verso 12 , come riportato in La Bhagavad Gita così com’è . di Swami Bhaktivedanta, p.67 ).

19) Anzi dovrebbe essere sentita come “tragica” l’idea della reincarnazione, così come ritenuta da certi teosofi. Per il che valgano le seguenti considerazioni di Varia ( uno pseudonimo che occulta l’autore di “Ancora sulla sopravvivenza, sui patti, la paura e altro ancora”, in Introduzione alla magia quale scienza dell’io” vol. III, 209 ) : Se volessimo metterci ad ironizzare, potremmo chiedere se, a ben pensarvi, sia proprio allettante l’idea che ogni persona sopravviva, per l’eternità, con tutto ciò che è, che corrisponde positivamente al suo Io, alla sua personalità reale individuale, magari con quei commerci fra “piriti” riprendenti nell’aldilà le routines sociali terrene (….)”.

20) Krishna ( riferendosi allo “ego”) : “Come l’anima incarnata passa, in questo corpo, dall’infanzia alla giovinezza e poi alla vecchiaia, così l’anima passa in un altro corpo all’istante della morte. La persona riflessiva non è turbata da questo cambiamento ( Bagavdd Gita, cap.II, verso 13, come riportato da La Bhagavad Gita così com’è, citato, p.69 )

7-Il male come ombra del bene.

Ci avverte il Filosofo che le cose, in sé e per sè, non sono né buone né cattive: il fuoco che ci riscalda, ci può anche bruciare; l’acqua che ci disseta, ci può anche annegare (1). E quel che si può dire per le cose e gli eventi della Natura, può essere ripetuto per le azioni dell’uomo: Enrico VIII fa rotolare la testa di Anna Bolena? Male per questa, ma forse la terra ringrazia per il concime ( umano) che le vien dato. Insomma le azioni non sono né buone né cattive: sono e basta. Ciò non toglie che noi, buone o cattive, le possiamo sentire; e che il compimento di un’azione, che sentiamo “cattiva”, possa determinare nella nostra psiche un nodo ( chiamiamolo, rimorso ) che ci costerà fatica e dolore sciogliere.
Come può avvenire ciò? Come può accadere che noi si venga a sentire come cattiva e riprovevole un’azione e se ne senta rimorso? Può accadere, accade, perché l’uomo é un essere in evoluzione: egli é in cammino, un cammino talvolta lento talvolta faticoso, per realizzare nella sua anima la grande idea: l’idea che tutti : uomini, animali, piante, insomma tutti gli esseri dell’universo sono “Uno” ( Uno con Lui, con il suo “Io”) (2); e man mano che a tale Idea si avvicina, sempre più chiaramente ne percepisce il disegno (3) e ad esso adegua i suoi ideali: di conseguenza la sua anima traccia intorno a sé circoli sempre più ampi (4) e l’ideale nuovo offusca e fa sentire ripugnante l’ideale antico (5), come un nuovo vestito ci fa indossare mal volentieri quello antico e logoro.
All’inizio del cammino, appena uscito dalla notte dei tempi, egli sa rinunciare alla sua vita per far salva quella dei figli neonati, ma trova giusto con la clava assalire il fratello della caverna accanto; fatto un passo avanti, egli é pronto a sacrificarsi per il suo clan, e si sente maledetto da Dio come un Caino se leva il braccio armato verso l’occupante della capanna accanto alla sua,con tutto ciò non esita ad assalire la tribù vicina; ancora un passo avanti, ed é pronto a morire per chi parla la sua lingua e veste il suo costume, e con orrore guarda chi uccide il concittadino ma loda ed emula chi al barbaro fa guerra….fino a che, circolo dopo circolo, passo dopo passo, egli, come il saggio indù davanti al soldato europeo che lo trafigge, estatico può dire al suo nemico Tat tuam asi,Tu sei Lui, Tu sei Dio, Tu sei Io che sono Dio. Giustamente dunque i saggi cultori della Cabala potevano definire il male come l’ombra del bene (6): invero il male esiste perché ( e questa é la benedizione! ) esiste il bene, perché l’uomo nella sua costante evoluzione sviluppa idee e concetti che gli fanno sentire male le azioni compiute in base alle vecchie idee e ai vecchi concetti: sono le nuove vette scalate, i nuovi traguardi raggiunti che ci fanno sentire basse e vili le cime dianzi raggiunte, i traguardi dianzi tagliati.
Quale la conclusione da trarre da ciò? Quella di agire verso i nostri simili con comprensione e senza fanatismo. Tu non ti devi scandalizzare se il tuo vicino non ha la tua stessa sensibilità morale, se egli agisce in una maniera che tu giudichi immorale: ciò che é male allo stadio evolutivo in cui tu ti trovi, non é detto che sia male e può essere addirittura bene allo stadio evolutivo in cui lui si trova ( e viceversa!): i doveri dell’uno non sono i doveri dell’altro: per dirla con le parole dell’antica sapienza vedica , ognuno ha il suo dharma (7).
Tu giovane “progressista” (8), se così ti aggrada, lotta pure per il “progresso morale” della società, ma…senza fanatismo: sapendo che mai esisterà una società senza “male” e senza “malvagi” ( perché? il perché l’ho spiegato: perché il male non é che l’altra faccia del bene).

Note

(1) Vivekananda ( Jnana Yoga , p. 57 ): “ Non esiste in questo mondo nessuna cosa su cui sia lecito apporre l’etichetta di buona, solamente di buona, oppure di cattiva, solamente di cattiva. Il fenomeno che oggi ci appare buono può apparirci domani cattivo. La stessa cosa che produce miseria nell’uno può produrre felicità nell’altro. Il fuoco che brucia il bambino può cuocere un buon pasto per un affamato. I medesimi nervi che producono le sensazioni di miseria producono altresì quelle di felicità”.

(2) Ramacharaka (
Corso superiore di filosofia yoga e di occultismo orientale, Milano, 1950, p. 89 ): “ Gli yogi ritengono che gli odierni ideali di morale, di condotta e di etica indichino che gli uomini stanno per abbandonare l’idea e l’illusione della separatività, e che la conoscenza dell’Unità sta sorgendo nelle loro menti. Questa albeggiante coscienza é la causa per cui molte cose che erano in passato considerate un “bene” vengono ora ritenute un “male”.

(3) Un’altra bella immagine tratta da Vivekananda ( Jnana Yoga, p.39 ):”Supponete che tra me e voi vi sia una parete nella quale sia stato praticato un piccolo foro, dal quale io possa scorgere alcune facce che stanno dinanzi a me. Ora supponete che il foro diventi progressivamente più grande e, stando così le cose, la scena davanti a me si riveli sempre maggiormente, finché, quando la parete sia scomparsa, io mi trovi al cospetto del tutto”.

(4) Traiamo l’immagine del “circolo” da Emerson (
Saggi, p. 218 ): “ La nostra vita é un apprendistato di quella verità secondo la quale intorno ad ogni circolo é possibile disegnarne un’altro; per cui nella natura non c’é fine, ma ogni fine é un principio; c’é un’altra aurora che sorge sempre dopo il tramonto, e sotto ogni profondità un’altra profondità più profonda si apre”.
Ancora Emerson (
Op. u.c., p. 229 ): “ Non c’é virtù che sia definitiva, tutte sono iniziali. Le virtù della società sono i vizi dei santi”.

(5) Ramacharaka ( in,
Corso superiore di filosofia yoga e di occultismo orientale, Milano, 1950, p.98 ) spiega che “ la tentazione o l’impulso a fare il “male” proviene dalle regioni inferiori della mente, quella parte della Mente Istintiva che concerne le passioni animali, le tendenze “innate”, le emozioni, ecc. le quali sono nostra eredità del passato. Esse non sono “cattive” in se stesse, ma fanno parte della storia dell’anima che ci siamo lasciati alle spalle e dalla quale ci stiamo liberando. Possono essere state il più alto “bene” che la nostra mente poteva concepire in qualche epoca della nostra evoluzione (….) Ma ora che abbiamo oltrepassato lo stadio in cui quei sentimenti, quelle passioni, quelle attività costituivano il più alto bene, e che il nostro attuale grado di sviluppo ci consente di trarre profitto da più elevate concezioni di verità, quelle vecchie esperienze ci appaiono decisamente “cattive” ed “errate”.

(6) Confr. R. Ambelain ,
La cabala operativa, passim

(7) Ramachraka ( nel suo Corso superiore di filosofia yoga e di occultismo orientale, p. 75 ) definisce il Dharma come “ la regola d’azione e di vita che meglio si adatta alla necessità dell’anima individuale e che meglio aiuta quella particolare anima nell’ulteriore passo del suo sviluppo”. Il Ramacharaka riconosce, però, con umiltà, che la definizione da lui data non giunge a cogliere completamente l’esatta e profonda essenza del Dharma.
Forse a tale scopo più si avvicina il seguente passo tratto da Evola (
Yoga della potenza, p. 119 ):”Dharma (…) designa la natura propria di una cosa o di una persona: é ciò che, sul piano samsarico, la definisce e fa sì che sia quella e non un’altra (…) Così, ad esempio, il dharma del fuoco é bruciare, il dharma del pesce é nuotare, il dharma dell’essere di una data casta é la legge corrispondente ad essa, e via dicendo. Natura propria, dunque, e, simultaneamente, legge fondamentale di un dato essere condizionato”.
Però “ una tale legge può essere più o meno riconosciuta e seguita, dal che – continua a spiegare Evola ( ibidem ) – procedono effetti corrispondenti, secondo ciò che nella terminologia indù si chiama il karma. Il karma fa sì che ogni essere riceva proprio quel che é conforme alla qualità delle sue azioni, in forma immediata o differita. Non si tratta, però, qui, di una sanzione comunque estrinseca o legata a valori morali, bensì di una legge immanente: l’azione stessa partorisce un dato effetto. Epperò é karma che, ingerendo una sostanza contraria alla natura di un dato organismo, questo si ammali; lo stesso – secondo rapporti di pura causalità – vale per ogni dominio, quello spirituale compreso. Dharma e Karma sono , per tal via, strettamente connessi: certi effetti procedono dal karma per il fatto di avere un dharma e non un altro. Essi non sono uguali ove il dharma sia diverso. Per cui per es. ciò che per l’uomo é velenoso, per alcuni animali può non esserlo”.
E’ noto che nell’India vedica i membri della società erano suddivisi in varie categorie ( brahmana, ksastriya, vaisya, sudra…); e che per gli appartenenti a ciascuna di tali categorie era dettato un dharma diverso: ad esempio, per un brahmana era male reagire con violenza ad un’aggressione, lo ksastriya invece aveva il dovere di farlo. Ciò era senza dubbio più intelligente che il rendere, come la nostra Costituzione fa, tutti i cittadini eguali di fronte alla legge.

(8) Il seguente episodio della vita di Ramakrishna dimostra bene il poco conto e spazio che aveva, in una visione tradizionalista, quel tipo del “riformatore sociale”, che é tenuto, invece, in tanta auge nella attuale civiltà occidentale.
“Rivolgendosi ad un gruppo di riformatori sociali entusiasti, Shri Ramakrishna disse loro :” Voi parlate molto di far del bene al mondo! Praticate prima la religione e realizzate Dio! Allora soltanto vi saranno dati l’ispirazione e il potere e potrete parlare di far del bene; non prima”. “Signore , chiese un brahmo, volete dire che dobbiamo rinunciare ad ogni lavoro fintanto che non abbiamo visto Dio?” – “Certamente no”, rispose il Maestro. “Perché rinunciare a lavorare? Occorre continuare a praticare la meditazione, il canto degli inni ed altri esercizi religiosi”. – “Intendo, precisò il brahmo, il lavoro che si riferisce al mondo. Occorre cessare completamente di occuparci di tutto ciò che é secolare?”
“ Potete occuparvene, rispose Shri Ramakrishna , nella misura indispensabile per vivere. Ma occorre nel medesimo tempo che preghiate Dio con fervore perchè vi invii la Sua grazia e la forza di adempiere al vostro dovere senza sperare una ricompensa, né temere una punizione in questo mondo o nell’altro”( da
Alla ricerca di Dio, p. 304 ).

8- Non pazienza ma vittoria sul dolore

Noi restiamo ammirati ( e giustamente ) quando vediamo un uomo che, pur patendo un gran dolore, non se ne lascia turbare, ma sa conservare il cervello lucido e l’animo sereno; noi restiamo ammirati di Epitteto, che, schiavo di un padrone crudele che si diverte a torcergli il piede, sa mantenersi nel dolore calmo, limitandosi a far osservare al sadico padrone che , così facendo , rischia di trovarsi uno schiavo storpio (1).

Però la questione, la cui soluzione positiva preme allo spiritualista, non é se si possa diventare tanto forti ( nell’animo ) da sopportare il dolore, ma se si può riuscire a non soffrire pur in situazioni che in altri, dolore, provocherebbero: di più, se si può riuscire a trasformare in piacere ( in, ananda ), quel che in altri provoca dolore.

Perché, é senza dubbio bella e buona cosa rendersi tanto forti da portare sulle spalle un quintale e camminare; ma ancor meglio é, poter andar liberi e sciolti per le strade del mondo. E ben s’intende di questo mondo ( di Malkhut, la più bassa Sephirot dell’Albero cabalistico, da cui il pellegrino mistico muove i suoi passi per risalire a Kether che, in cima all’Albero, a sua volta gli apre la contemplazione dello Ain Soph Aur, dell’Infinito Splendore di Dio); e non del mondo celeste , di un immaginario o reale Paradiso. Perché é in questo mondo che il Cielo ci ha mandato per provare la nostra virtù ( intesa come capacità di vincere il “non-io”, trasformandolo da fonte di dolore in fonte di gioia e di ananda); é questo mondo il banco di prova in cui va dimostrato che lo Spirito ( lo “Io”) é in grado di vincere la Natura ( il “Non-Io” ) (2).

Fatta questa premessa, noi ci proponiamo di seguito di confortare – non già di chiare e irrefutabili prove ( questo supererebbe la nostra intelligenza e forse quella di ogni altro essere umano ) – ma di palpabili indizi la tesi che sono vincibili ( nel senso sopra chiarito ) sia il dolore psicologico sia quello fisico.

Cominciamo dalla tesi più facile a sostenere: quella che il dolore psicologico può essere superato.

E’ una tesi facile, in quanto la vita stessa ci offre innumerevoli esempi di persone che, gettate nel dolore da un dato evento che le ha duramente colpite, hanno, una volta portate a riflettere su un concetto o ad adottare una nuova concezione di vita, ritrovato il sorriso.

Una madre ha perduta la figlia; a lei, che é in lacrime e si dispera, viene a parlare il buon Prete che le dice: “Perché piangi, tua figlia é in Paradiso, ora vede i Santi e la Santissima Vergine: non dovresti tu essere felice, invece che triste, per ciò?!”. La madre ascolta, l’idea di sua figlia tra i beati la consola e ritrova addirittura il sorriso al pensiero che la figlia non é più con lei, in questa valle di lacrime, a soffrire.

Altro esempio: c’é Epulone e c’é Lazzaro ( quelli della parabola evangelica ). L’animo di Lazzaro soffre le torture dell’invidia e i morsi della rabbia: perché Epulone é a banchettare e lui deve contentarsi delle briciole? Ma viene un teosofo e gli parla della reincarnazione e della Legge del Karma: “Epulone é ricco perché in una precedente vita fece del bene, tu, Lazzaro, sei povero perché in una precedente vita facesti del male. Ora Epulone si sta comportando male, per cui se tu, Lazzaro, ti comporti ora bene, nella prossima vita le parti si invertiranno: tu mangerai e sarà lui a digiunare.

Lazzaro ascolta, si convince e il dolore, per l’ingiustizia che credeva di subire, l’abbandona.

Non importa qui stabilire se le parole del prete e del teosofo, alla verità, corrispondono: sia quel che sia, consideriamole pure false; quel che importa é che le immagini mentali, da tali parole, indotte, hanno fatto sparire il dolore; così dimostrando in via di principio, che non v’é dolore ( psicologico ), che un’adeguata immagine mentale non possa cancellare.

Ma, quel che é vero per il dolore psicologico, é vero anche per quello fisico? Noi a tale domanda rispondiamo di sì; riteniamo, infatti, che anche il dolore fisico abbia alla sua radice una concezione erronea della vita, un pensiero deforme e difettoso: per cui, sradicato questo, anche il dolore fisico é destinato a scomparire.

Cerchiamo di dimostrare l’assunto ( senza l’ambizione di convincere qualcuno, ma solo contando di insinuare in qualcuno il dubbio salutare, che é anche una speranza, della non ineluttabilità del dolore, anche in questa terra ). Nel muovere i primi nostri passi, possiamo farci forti delle parole ( non di un esoterista, ma ) di uno scienziato: un medico che scrive per altri medici. Si tratta del dott. Silvio Valseschini, autore di un pregevole libro dal titolo Il malato e la sofferenza (3).

In tale libro l’Autore – dopo aver spiegato a medici e a infermieri come ci si rapporta col malato sofferente – tratta ( in un’appendice ) delle “basi morfologiche e funzionali del dolore”. E che ci viene a dire ? Ci viene a dire: che noi siamo dotati di “ricettori periferici”, che raccolgono gli stimoli provenienti dall’ambiente e li convogliano verso il sistema nervoso centrale; che quando uno di tali ricettori viene stimolato, si determina quella che la scienza medica chiama una “afferenza sensoriale”; che tali “afferenze sensoriali” non sono delle vere sensazioni, ma delle cose neutre, se così ci é permesso di esprimerci, né dolorose né piacevoli: insomma delle semplici “attività elettriche”.

E allora la sensazione di dolore o di piacere da che cosa deriva ? Deriva – ci spiega sempre la scienza medica per bocca del dott. Valseschini – dal sistema nervoso centrale: é questo che attribuisce alle “afferenze” il significato di dolore o di piacere. Però come ciò avvenga la scienza medica non lo sa; e il dott. Valseschini molto correttamente lo riconosce.

Dovremmo anche noi, come la scienza medica, qui arrestare il passo? No, di certo, perché, pur nutrendo verso di essa gran rispetto, noi, non in essa vediamo la nostra vera guida, ma nella intuizione e nel buon senso.

Che ci dicono questo e quella? Ci dicono che, se le sensazioni dipendono dal sistema nervoso centrale, diventa anche ben verosimile che esse dipendano dalle idee, dalle immagini mentali, dalle concezioni di vita che, in tale sistema nervoso, sono, per così dire, immagazzinate.

E tale dettato dell’intuizione e del buon senso ci appare tanto più accettabile in quanto dà la spiegazione di fenomeni, che altrimenti resterebbero insolubili: perchè, ad esempio, uno stesso cibo sembra ghiotto o ripugnante a popoli di cultura diversa? La carne di cane arreca le stesse “afferenze” sia al palato di un europeo che a quello di un cinese, ma al primo provoca disgusto, al secondo, piacere: perché? Perché una diversa cultura ( una cultura sostanziata da diverse idee, immagini ecc. ) interpreta in maniera differente la stessa sensazione ( melius, afferenza ) . Perché, altro esempio, se dò da bere dell’acqua a una persona facendole credere con appropriate suggestioni che trattasi di stricnina, la vedo torcersi dal dolore e addirittura stramazzare a terra ? La bevanda che le diedi era acqua e arrecava al suo sistema nervoso quelle solite “afferenze” che appunto l’acqua apporta, ma esse venivano, dalle idee da me, nel suo sistema nervoso centrale, immesse, interpretate in modo che il risultato era un dolore e non un piacere.

Ma, giunti alla conclusione che le sensazioni ( le sensazioni in genere, sia quelle di dolore che di piacere ) dipendono dalle idee, che popolano il cervello di chi ha subito lo stimolo della “afferenza sensoriale”, facciamo un passo avanti, poniamoci la domanda: da quale idea dipendono in particolare le sensazioni di dolore?

Dipendono, in radice – ecco la risposta che dà lo spiritualista a tale domanda – – dalla idea che la distruzione dell’apparato corporeo implichi e determini la distruzione del nostro “io”: é perché ci identifichiamo col nostro corpo e sentiamo la sua distruzione come la nostra stessa distruzione, che diventano per noi dolorose le “afferenze sensoriali”, che ci segnalano il rischio di una lesione di questo.

In altri termini, all’origine del dolore c’é un sentimento di paura (4). E se noi fossimo in grado di non dar corso a tale sentimento negativo ( di paura ), ma di sostituirlo con uno positivo di adesione e di consenso alla forza ( lesiva ) che agisce nel nostro corpo, noi proveremmo una sensazione, non di dolore, ma di piacere (5).

E di questa possibile trasformazione del dolore in piacere la vita ci offre molteplici esempi. Si pensi alla deflorazione che può risultare, sì, dolorosa, se appunto la donna la sperimenta con apprensione, ma che é causa per essa di un potenziato piacere se essa é esaltata da una passione amorosa ( che non lascia spazio al timore )(6). Si pensi alle ferite che sogliono procurarsi i seguaci di certi culti ( come quelli che nell’antichità si celebravano in onore di Cibele ): ferite che non provocavano in essi dolore ma piacere (7)-

Note

(1) Ramakrishna , colpito da un cancro alla gola, una delle malattie più dolorose, seppe mantenere sereno ed equanime il suo animo fino alla fine. Di più, si dice che fino alla fine i suoi occhi esprimessero gioia: la gioia di chi vive nell’ananda , nel piacere. Soleva dire: “ Che il corpo e il dolore prendano cura di se stessi, ma che il mio spirito resti pieno di gioia” ( da Alla ricerca di Dio , p. 155 ).

(2) E’ una caratteristica dell’insegnamento del grande filosofo e pedagogista Mikhael Aivanhov , l’invito a non rifugiarsi nel Cielo, ma a prendere ispirazione dal Cielo per migliorare la terra: “L’epoca viene in cui non si dovrà più cercare la propria salvezza rifugiandosi nel Cielo. Questa attitudine ha potuto essere buona in un certo momento, essa ha permesso di scoprire aspetti importantissimi della vita interiore. Ma ora non si tratta più di volersi salvare, si tratta di impegnarsi in un lavoro glorioso per portare il Cielo in terra ( Le veritable enseignement du Christ, Prosveta. 1984, 117 – traduzione nostra ).

Ma Aivhanov anche avverte: “ Ciò non vuol dire voltare le spalle al Cielo, ma, al contrario occorre restare legati al Cielo per potere in seguito donare agli altri. Perché se voi non siete legati al Cielo, voi non siete ricchi, e allora che potreste voi distribuire?” ( Op.u. cit., p. 119 – traduzione nostra )

(3) Edito da Riza Libri-Endas nel 1982.

(4)E il Nietzsche, nella sua opera Volontà di potenza ( paragrafo 304 ), alla paura, appunto, riconnette il dolore, vedendovi “La ripercussione di uno shock provocato dalla paura nel focolare centrale del sistema nervoso, con una lunga sensazione che va poi a proiettarsi nella sede di un organo determinato” – ( confr., Ea, Sulla metafisica del dolore e della malattia,in Introduzione alla magia quale scienza dell’Io. Vol.II, p. 183 ed. Mediterranee, 1971.)

(5) Più precisamente la paura blocca, determinando così una sorta di ingorgo psichico, forze che, se lasciate scorrere liberamente, darebbero una sensazione di piacere. Questo, almeno, ci pare l’insegnamento, che dà Ea ( pseudonimo dietro cui si occulta l’Autore di Sulla metafisica del dolore e della malattia cit., p. 183 ). Ma riportiamo tale insegnamento diffusamente: “ Dal punto di vista esoterico, ecco di che si tratta. La fissità , che caratterizza gli esseri viventi come individui – e questa fissità é da interpretarsi sia in senso generale, come tendenza a mantenere il proprio stato, sia in senso speciale, come coscienza che ha una relazione fissa con una data struttura organica – detta fissità fa sì che tutte le volte che si verifica un contatto con una forza trascendente si produce qualcosa di paragonabile ad una lesione – ad una lesione interiore. In quell’istante la coscienza, sorpresa, é messa in uno stato di orgasmo, di paura per il proprio essere individuale di cui sente oscillante la base; e questa reazione o contraccolpo animico-emotivo – come un contrarsi, un ansioso stringersi in sé della coscienza di fronte alla forza intervenuta – reazione che, naturalmente, soppianta la percezione di questa forza stessa – é il senso più profondo dell’esperienza del dolore e della sofferenza”. “In una coscienza aperta, libera rispetto alla propria individualizzazione – continua Ea – il dolore non esisterebbe come tale. Esso produrrebbe piuttosto il passaggio ad un’altra forma di coscienza, a quella corrispondente alla forza intervenuta, e poggiante, nel corpo, sopra un organo diverso dall’organo su cui il senso di sé si appoggia abitualmente. Invece, l’Io, che ha paura, che si ritrae agitato e si aggrappa a sè reagendo, ed ostruendo così la comunicazione, sperimenta il dolore. Il quale, oggettivamente, può considerarsi come un’esperienza puramente negativa dell’azione della forza extraindividuale manifestatisi”.

Noi troviamo una conferma alla giustezza dell’insegnamento di Ea ( e cioé che il dolore nasce dal bloccaggio di una forza in noi destatasi ) in una stessa banale esperienza, frequente nell’amore profano ( e oggetto di libri famosissimi, come “Orgoglio e pregiudizio”, e simili ) : in una donna si accende una passione amorosa verso un uomo, che pregiudizi vari ( di casta, di religione…) le impediscono di amare: essa soffoca il suo sentimento ( di amore ) e pertanto….soffre. Se invece fosse capace di “denudare” tale sentimento da ogni scoria profana, se fosse capace di dar corso a tale suo sentimento, ma purificandolo, essa troverebbe la soluzione ottimale al suo problema esistenziale.

(6) Molti studiosi dell’esperienza sessuale hanno messo in luce “il piacere per la sofferenza” che anima molti amanti. E proprio sulla base di tali osservazioni si é creato il neologismo “algolagnia” ( da algo= dolore, e lagneia= essere eccitato sessualmente ). Sul punto cfr., Evola ( Metafisica del sesso, cit. , p. 113 ), il quale peraltro fa notare ( ivi, p. 114) che “ se il dolore viene vissuto come piacere, esso evidentemente non é più dolore”.

Apprezzabili sono alcune osservazioni che, sulle potenzialità insite nella deflorazione, fa Evola ( Op. u. citata, p.115 ): “Nello stesso contesto ( id est, nel contesto di fenomeni di trascendenza del dolore, n.d.a ) potrebbe rientrare una considerazione speciale di quel che in determinate circostanze può offrire il momento della deflorazione. Sia per le angosce inconsce e le inibizioni della donna, sia per la primitività carnale e impulsiva che prevale quasi sempre nell’uomo, alcune possibilità eccezionali e irripetibili che, soprattutto per la donna, sarebbero offerte dall’esperienza della deflorazione in rapporto a quanto si é detto sull’algolagnia vanno irrimediabilmente perdute nelle normali relazioni sessuali umane. Anzi, questo atto di iniziazione della donna alla vita sessuale completa, quando esso é brutalmente condotto, ha spesso ripercussioni negative che, esercitando anche successivamente la loro influenza, possono pregiudicare perfino quanto é da attendersi da una relazione normale. Vi é invece da pensare che se venisse anzitutto destato lo stato di ebbrezza in quella sua forma acuta, che ha già in sé un elemento distruttivo, il dolore della deflorazione, insieme a tutti i fattori sottili che vi si legano in termini di fisiologia iperfisica, potrebbe dar luogo ad un subitaneo, estremo innalzamento del potenziale estatico di quella stessa ebbrezza, secondo una congiuntura quasi irripetibile, potrebbe intervenire perfino un trauma, nel senso di una apertura della coscienza individuale sul sovrasensibile”.

(7) A proposito delle ferite, che si fanno in riti frenetici gli appartenenti ai Rufai, setta islamica legata al sufismo derviscio, uno sceicco dichiarò che esse sono fatte in uno stato, in virtù del quale non producono dolore ma “una specie di beatitudine che é esaltazione sia del corpo che dell’anima” e che tali pratiche in apparenza selvaggie non sono da considerarsi in sé, bensì solo come “mezzo per aprire una porta” – confr. W.B. Scabrook, Adventures in Arabia, New York, 1915, p.283; e Evola Metafisica del sesso ,cit., p. 111.

Anche la “sofferenza” connessa ad una malattia può dar luogo in certe situazioni al “piacere”. Si legga quanto al proposito scriveva Aurobindo ad un suo discepolo:

La vostra teoria sulla malattia é una convinzione piuttosto pericolosa, perché la malattia é una cosa da eliminare, non da accettare o da godere. C’é qualcosa nell’essere che gode della malattia; é anche possibile trasformare i dolori della malattia, come qualsiasi altro dolore, in una forma di piacere; perchè dolore e piacere sono entrambi degradazioni d’un ananda originale e possono essere ridotti l’uno nell’altro oppure sublimati nel loro principio originale di ananda. E’ anche vero che bisogna essere capaci di sopportare la malattia con calma, equanimità, resistenza e anche, giacchè é venuta, di riconoscere che fa parte delle esperienze da attraversare. Ma accettandola e godendone la si aiuta a durare, e ciò non deve

succedere(…)- ( da Guida allo yoga , p. 118 ).

9-Il vero significato della rinuncia

Il Giovane – “Rinuncia”, io detesto questa parola : io voglio vincere, voglio affermarmi,

Il vecchio – E allora devi rinunciare alla debolezza. Se ti ritieni debole, carente, bisognoso come Penia ( Penia – ricordi ? – nel Simposio di Platone é la personificazione di chi, povero e bisognoso, può solo generare Eros, cioé un desiderio la cui soddisfazione dipende da altri ), se ti riduci a mendicare, da mendicante sarai trattato dalla vita. Se tu dalla vita vuoi essere ubbidito, se tu vuoi vivere la “tua vita” ( e non quella che inconsce suggestioni vorrebbero importi ), se tu vuoi forgiarti un glorioso destino, se vuoi essere trattato e ubbidito da re, non le vesti del mendicante, ma quelle del re devi indossare : devi comportarti da re, soprattutto essere convinto tu stesso di essere un re. Quindi la rinuncia che la vera Spiritualità, la Spiritualità solare, da te pretende é una rinuncia gloriosa, perché é l’altra faccia dell’affermazione coraggiosa del tuo potere sul non-io.

Rinuncia, quella alla debolezza, necessaria, inevitabile, se non vuoi cadere in una tragica contraddizione : quella di piatire ai piedi della Donna l’elemosina di un bacio , sentendoti debole, carente e di Lei bisognoso, e, poi, di pretendere dalla vita le cose, che la vita solo ai Forti dà.

E, bada, quello che ora ti ho detto non é l’insegnamento di chi, come me, può essere giustamente sospetto di ignoranza e superficialità, ma é l’insegnamento di un grande Santo, di più, di un Avatar, Sri Ramakrishna – insegnamento da Lui dato sul letto di morte a un discepolo ( con parole, che un altro discepolo, Mahendranath Gupta, riporta in un bellissimo libro “ Les entretiens de Ramakrishna, editore Cerf, e che io di seguito mi permetto di tradurre ) :

“ Noren – Alcuni si arrabbiano con me, quando io parlo di rinuncia.

SR Ramakrishna ( dolcemente ) – E’ necessario rinunciare. Il Maestro indica le membra del suo corpo, e dice : Mettiamo che ci sia una cosa là e un’altra sopra di essa, se tu vuoi la prima, bisogna bene che tu sposti la seconda. Se tu non levi questa , non potrai avere quella”.

Il giovane – Volesse il cielo che io fossi un re; che cioé potessi farmi ubbidire dal non-Io, in primis dai miei pensieri, dai miei sentimenti ! Così purtroppo non é : io sono servo di questi e di quelli.

Il vecchio – No, tu ne sei il re ; semplicemente sei un re addormentato che sogna di essere un servo, un mendicante : un re che sogna di aver bisogno, per essere felice, di ottener quel certo impiego, che quella certa donna gli sorrida, sogna insomma di aver bisogno di cose il cui possesso non dipende da lui. Non é così, basta che Tu voglia e il mondo si piegherà alla tua volontà.

Il giovane – Ma “volere” richiede uno sforzo di cui io non sono capace.

Il vecchio – Che sciocchezza! “Volere” non costa nessunissimo sforzo: é semplicemente che tu – e come tu, anch’io – ti sei autoipnotizzato, ci siamo autoipnotizzati di essere deboli e , convinti della nostra debolezza, non osiamo volere. E finché continueremo a essere convinti di essere deboli, di essere periferia e non centro, non saremo effettivamente capaci di volere . Però noi non siamo periferia, siamo centro e quindi per noi vale l’incoraggiante insegnamento che ti riporto di seguito ( trascrivendolo dal bellissimo libro, già citato, di Ramacharaka Yogi “ Raja Yoga” , p.7, editore F.lli Bocca ) : “Quando l’anima percepisce se medesima come un centro circondato dalla circonferenza; quando il sole sa di essere sole, circondato da pianeti, roteanti intorno; allora é il tempo della sapienza e del potere del Signore”.

Sì, la vita é come un sogno ( ti ricordi il famoso dramma di Pedro Calderon de la Barca, La vida es sueno ? ) e, una volta guariti dall’autoipnosi in cui siamo caduti, ci libereremo dai brutti sogni della vita con la stessa facilità e naturalezza con cui al mattino ci liberiamo dagli incubi della notte.

Il giovane – Tu mi vuoi ora ammannire l’insegnamento che il mondo non esiste, é solo un’illusione, é maya ? Io voglio lottare, combattere e non mi piace pensare che le cose per cui combatto in realtà non esistono, sono solo frutto di una illusione, come i mulini a vento contro cui, lancia in resta, si lanciò il don Chisciotte di Cervantes.

Il vecchio – Ma non é questo il vero insegnamento su Maya . Il vero insegnamento é che, come i sogni che facciamo di notte hanno una base reale, di cui però essi danno un’immagine deformata ( la caduta dell’orologio dal comodino, che si trasforma in un colpo di cannone e ci trasporta nel mezzo di una terrificante battaglia ), così anche i sogni che facciamo di giorno, hanno una base reale, di cui però essi ci danno una deformata visione . Del resto le cose della vita non ci ingannerebbero così facilmente se non contenessero una parte di verità, così come l’orefice disonesto non riuscirebbe ad ingannare facilmente il cliente, se nell’orologio che vuol vendergli come d’oro, non ci fosse d’oro almeno la verniciatura.

Costante sforzo dell’uomo saggio é quello di sceverare, distinguere l’oro dal vil metallo, quel che di vero c’era in quella vicenda che lo aveva illuso, da quel che di falso essa aveva. Amalia ti abbracciava e ti giurava con false parole amore eterno; e…tu le credevi ? False erano le parole di Amalia, però forse che tu puoi dire falso l’intenso piacere che provavi tra le sue braccia ? No, di certo. Ancora. Quella monaca santa, crede di vedere Gesù nelle sue estasi . L’apparizione di Questi alla monaca può ben essere frutto di una illusione, ma quel piacere fortissimo che la strappa dal corpo , é frutto, sì , di un illusione, ma in sé e per sé non può dirsi un’illusione. Tutto ciò per dirti che quel piacere infinito e trascendentale, quella ananda, di cui parlano i saggi , effettivamente esiste e che per raggiungerlo e gustarlo val la pena di lottare e vincere.

Lottare, sì, perché sapere che il mondo é sotto l’incantesimo di Maia non ti deve portare alla passività, ma alla lotta . Sì, é vero, c’é dell’illusione nella muliebre bellezza che ti incanta. Ma é anche vero che tale bellezza ti incanta in quanto contiene dell’oro. E tu dalla prima constatazione non ti devi lasciar trasformare in un arido cinico, ma devi essere capace di trovare nella seconda ( constatazione : esservi oro dentro all’illusione ) gli elementi che ti diano coraggio ( come il ritrovamento di una pepita dà coraggio al cercatore d’oro ) per raddoppiare gli sforzi e così giungere finalmente a cogliere il tesoro che agogni : l’ananda, la infinita beatitudine.

E giungere a coglierlo non sarebbe per te difficile se solo ti convincessi che tu non sei un mendicante ma un re ; e di conseguenza cambiando il tuo modo di pensare cambiassi con ciò stesso la tua personalità, scacciandone i viziosi modi di fare ( del mendicante) per sostituirli con quelli virtuosi ( del re che tu sei ). Il mondo infatti é come uno specchio che riflette le nostre virtù e i nostri vizi : noi vediamo il male ( il vil metallo ) negli altri perché il male é in noi; se fossimo interamente buoni, non vedremmo nessun male negli altri ( omnia munda mundi ), e anche in una Amalia troveremmo tutto oro e il mondo tutto ci apparirebbe come un paradiso.

Ecco quel che poteva dire Swami Vivekananda del suo Maestro , Sri Ramakrishna : “Le labbra del mio Maestro non hanno mai maledetto nessuno, non hanno mai criticato nessuno. I suoi occhi non avevano più la possibilità di vedere il male, il suo spirito non era più capace di percepire il male. Egli non vedeva altro che bene.” ( ho tradotto dal francese del bel libro “Swami Vivekananda – Entretiens et causeries” p. 325, editore, Albin Michel ).

E ci ammonisce ancora Vivekananda (in La suprema sapienza, Fratelli Bocca editore, p. 268 ) :

“ Come potreste vedere il male, se il male non fosse in voi ? Come potreste vedere il ladro ammenochè questi non risiedesse nel fondo del vostro cuore ? Come potreste vedere l’assassino ammenochè non foste voi l’assassino ? Siate buoni e il male scomparirà”. E tutto l’universo sarà così cambiato per noi in un Paradiso.

Mi si lasci finire con ancora un insegnamento del grande Swami. In mezzo a tutte le nostre lotte e nonostante esse – ecco il Suo insegnamento – noi sentiamo una voce che ci dice che noi siamo liberi, che noi siamo divini. E noi seguendo tale voce “ come i bambini del villaggio attratti dalla musica del flautista ambulante” “corriamo tutti verso la libertà”. E, sempre seguendo tale voce, a poco a poco notiamo che il mondo sotto i nostri occhi si trasforma. “ Il mondo che fu il terribile campo di battaglia di Maya, é ora congiunto a qualche cosa di buono e di bello. Non malediciamo più la natura né diciamo che il mondo é orribile e che tutto é vano; non abbiamo più motivo di piangere e di lamentarci. Appena comprendiamo – stiamo sempre riportando le parole del grande Swami – il significato di tale voce, vediamo la ragione per cui questa lotta, questo combattimento, questa difficoltà, questa crudeltà, questi piccoli piaceri e queste piccole gioie, debbono avere luogo quaggiù; ci accorgiamo che essi sono nella natura delle cose, perché senza di questi non ci potremmo avvicinare alla “voce” di cui abbiamo parlato, non potremmo conseguire ciò a cui siamo destinati, ne abbiamo, o no, nozione” ( le parole tra virgolette sono passi tratti dalle pagine, 91,92,93 de “La Suprema Sapienza”, già citato ).

10 – Fatalismo

Sia l’ateo che il credente sono, dalla Logica e dalla Ragione, costretti ad ammettere che il futuro sia già determinato.

Infatti, l’ateo, che ritiene che l’universo sia un insieme di elementi dovuti al caso, deve però pensare che tali elementi, ricevuto come che sia un input, tra di loro interagiscano in base a leggi inflessibili, che non possano non portare inevitabilmente ad un dato risultato: nel biliardo della vita la boccetta A colpisce la boccetta B, questa muove C e D e, una mente che fosse capace di calcolare tutte le possibili interazioni delle varie boccette, potrebbe dire che la boccetta Z ad un certo punto schizzerà verso una data direzione.

Il credente, a sua volta, che attribuisce a Dio una volontà onnipotente, deve ammettere che, tutto quel che accade, avviene secondo il Suo disegno e che tale disegno non può subire modifiche nel corso del tempo ( dato che niente e nessuno ha il potere di influire, condizionare e far deviare dai suoi originari propositi la Volontà che lo ha partorito).

Il fatto che il futuro sia già determinato, non dovrebbe, però, farci sentire meno liberi e non dovrebbe turbarci: forse che ci toglie il piacere di leggere un romanzo giallo , il fatto che il suo autore ne abbia già scritta, nell’ultimo capitolo, la conclusione ? L’importante é che noi questa non si conosca già dalle prime pagine; ma fortunatamente, provvido, un velo a noi umani occulta il futuro.

C’é però chi tenta di sollevare, di tale velo, i lembi e gettare lo sguardo negli anni a venire: che pensare di lui?

Quel che insegnava il profondo pensiero di Emerson (1): “che é cosa salutare per l’uomo non guardare al Fato ma in altra direzione”. E questo, non già per timore di essere costretti a vedere un futuro per noi tragico e doloroso: la mente umana non é così acuta da penetrare i definitivi disegni del Cielo: l’uomo non può conoscere il futuro. Egli, però, può conoscere quel progetto di futuro, che le forze possenti del Fato stanno per lui elaborando (2), e la sua volontà, morbida e debole, invece di agire, come potrebbe, per modificare almeno in parte tale progetto (3), può lasciarsi prendere da una vile rassegnazione (4) così contribuendo a realizzare la sua cattiva fortuna.

Ma vi sono uomini che non sono di vil creta impastati: essi non vogliono, con imbelle curiosità, vedere il futuro, ma vogliono conoscere in che direzione si muovono le Forze e le Energie che stanno forgiando il futuro. Essi sanno che tali forze non sono cieche, ma mosse dalla volontà Divina, e, sapendo anche che l’uomo può ottenere un esito felice e fortunato nelle sue imprese solo a Quella conformandole, per conoscerLa interrogano con arte sapiente certi fenomeni della natura ( gli astri, il volo degli uccelli, le viscere degli animali….). Con non diverso spirito, quindi, di quello che muove un giovane – che deve scegliere la facoltà universitaria a cui iscriversi – a interrogarsi e a cercare nel suo sé profondo la sua vocazione ( il compito che sulla terra Dio gli ha dato ), ben sapendo che, se sceglierà una professione a questa vocazione ( a questo compito ) confacente, gli arriderà il successo, ma che se la sceglierà cedendo al capriccio, lo aspetterà il fallimento (5)

Chi opera così non fa male. Però il saggio per agire non ha bisogno di interrogare gli astri: gli basta domandare alla sua coscienza quale sia la volontà del Cielo: conformandosi ad essa sa di non sbagliare: sa che, per compiere una buona azione, ogni giorno é fausto, e, per commetterne una cattiva, ogni giorno, é infausto (6).

Note

(1) In La guida della vita ( ed. Paravia, p.1 ),Emerson ( Op. cit.,p. 15 ) dopo aver ricordato anche il detto dell’oracolo “Non guardare la Natura, poiché il suo nome é fatale”, aggiunge che “la troppa contemplazione” dei limiti di questa “induce nella grettezza: e coloro che parlano molto del destino, della loro stella, e così via, sono su un piano inferiore e pericoloso e invitano i mali che temono”.

(2)Ma queste forze possenti, che forgiano il nostro futuro, che altro sono se non le forze dei nostri desideri? Noi diventiamo quel che desideriamo diventare, gli eventi felici o funesti che incontriamo nel percorso della vita sono quelli che noi stessi, col nostro desiderio, abbiamo evocati. Perché é vero che tutto avviene secondo la volontà di Dio, ma Dio vuole, per ammaestrarci, che i nostri desideri si realizzino.

E Ramakrishna paragonava Dio al “Kalpatazu” , l’Albero che nelle sfere celesti “esaudisce tutti i voti e dà tutto ciò che gli si chiede”. Perciò, ammoniva, bisogna stare attenti a ciò che si desidera: “ Se durante la vostra sadhana pregate per aver denaro, amici, o terrestri onori, i vostri desideri saranno senza dubbio almeno in parte realizzati. Ma attenzione! Sotto i doni che riceverete, si nasconderà la minaccia della tigre. Le bestie feroci che si chiamano: malattie, lutti, perdite di denari e di onori, ecc. fanno soffrire chi le subisce più ancora di una tigre in carne ed ossa”

( Alla ricerca di Dio, p. 163 ).

Secondo la concezione orientale, in base ai nostri desideri si formano le azioni e gli eventi della nostra vita ( melius, delle nostre vite ); secondo una legge ( Legge di causa ed effetto – Legge del Karma ), che agisce oggettivamente ( a prescindere cioé da ogni idea di premio e di castigo ), ma non in maniera inesorabilmente meccanica: la Grazia Divina può distruggere le conseguenze cattive dei nostri cattivi desideri. “Quando, per grazia di Dio, scende in noi lo spirito di immediata rinuncia, possiamo – sono parole di Ramakrishna ( Op.cit. p. 251 )- sbarazzarci dell’attaccamento alla donna e all’oro e così liberarci di ogni schiavitù a questo mondo”.

Proprio perché, in definitiva, noi siamo gli autori del nostro destino, noi possiamo impedire che il progetto di destino che si sta formando a nostro danno, si realizzi. Ciò dipende dalla nostra volontà ( dalla nostra capacità di sostituire certi desideri, certe aspirazioni, con altri desideri e altre aspirazioni). E’ chiaro, però, che quanto più il “progetto” é in stato di avanzamento, tanto più difficile riesce modificarlo.

(3) E in effetti “ vi sono previsioni ( del futuro ) esatte; ma ve ne sono altre, e numerose, a cui i fatti non hanno corrisposto”. Constatato ciò Ea ( uno pseudonimo dietro cui si occulta l’autore di Libertà, preveggenza e relatività del tempo, in Introduzione alla magia quale scienza dell’io”, vol. I, p.333) si domanda: “Bisogna interpretare ciò come il semplice errore di una imperfetta facoltà dei soggetti, ammettendo dunque che quel che é stato previsto in modo sbagliato poteva, però, in via di principio, essere anche previsto in modo giusto?” ( e che pertanto il libero arbitrio non sussiste ).

E a tale domanda Ea così risponde: “Questa é un’interpretazione possibile; ma ve ne é anche un’altra: si può cioé ritenere che molte delle previsioni “errate” fossero state “vere” in un primo momento, cioé corrispondenti ad un concerto di cause ( eventualmente con pre-visualizzazione dei loro effetti ) più probabili e tale, quindi, che in via normale avrebbe senz’altro prodotto quel fatto; e “false” siano divenute solo in un secondo tempo, per l’intervento o il risveglio imprevedibile di altre cause. Ammettendo questa veduta – continua Ea – , vi é di nuovo un margine per la libertà. E che sia così, in certi casi lo si potrebbe verificare in via perfino sperimentale. Perfino nel caso-limite che si tratti, non di predizione, ma di pre-visione, cioé dell’evento futuro non annunciato ma visto in precedenza, con me stesso agente così e così, bisognerebbe che al momento dell’avvenire del fatto io fossi colto da una specie di amnesia totale, tanto da seguire automaticamente il corso delle cose. Se invece ci si ricordasse subito e si sapesse: “Ecco che accade proprio ciò che ho visto”, in molti casi si potrebbe anche intervenire e tentare di determinare un corso diverso di cose. E quando ciò riuscisse, per essere stato dimostrato, anche se in piccolo, il potere di far divenire “falsa” la previsione, verrebbe evitata la tesi dell’assoluto fatalismo”.

(4) Mentre Emerson ci mostra un modo virile di guardare al Fato: “Se volete mettervi dalla parte del Fato e dire che il Fato é tutto, noi allora diremo: una parte del Fato é la libertà stessa dell’Uomo : dall’Anima continuamente scaturisce l’impulso a scegliere ed agire. L’intelletto annulla il Fato: in quanto l’uomo pensa é libero” ( La guida della vita , p.15 ).

E ancora ( ibidem ): “La migliore utilità del Fato é di insegnarci un fatale coraggio. Andate ad affrontare il fuoco in mezzo al mare, o il colera nella casa del vostro amico, o il ladro notturno nella vostra, o quale che sia il pericolo che si frappone sulla via del dovere: dovete essere consci che siete sotto la custodia dell’angelo del Destino. Se credete nel Fato pel vostro danno, credetevi almeno anche pel vostro vantaggio. Chè, se il Fato prevale, l’uomo pure ne fa parte e può affrontare Fato contro Fato”.

(5) Potrà chiarire lo spirito con cui nell’antica Roma si prendevano gli auspici, il seguente passo ( tratto da Evola j. L’arco e la clava, Milano, 1971, p. 46): “Se l’idea di una legge universale e di un volere divino non annullavano la nozione della libertà umana, pure fu costante preoccupazione dell’uomo antico formare la sua azione e la sua vita in modo che esse continuassero l’ordine generale, rappresentassero, per così dire, un prolungamento o un ulteriore sviluppo di esso. Partendo dalla pietas, ossia, romanamente, dal riconoscimento e dalla venerazione delle forze divine, ci si pose come compito di presentire la direzione di queste forze divine nella storia in modo da potervi accordare opportunamente l’azione, tanto da renderla massimamente efficace e piena di significato.. Da qui la parte importantissima che nel mondo romano, fin nel dominio della cosa pubblica e dell’arte militare, ebbero l’oracolo e l’auspicio. Fu ferma persuasione del Romano che le peggiori sciagure,comprese le disfatte militari, non fossero tanto dipese da errori, debolezze o deviazioni umane quanto dall’aver trascurato gli auspici, cioé, riportando la cosa alla sua essenza, dall’aver agito disordinatamente e arbitrariamente, , seguendo i meri criteri umani, rompendo i contatti col mondo superiore ( romanamente, ciò voleva dire aver agito senza religio, ossia senza collegamento), senza tener conto delle “direzioni di efficacia” e del “momento giusto” condizionanti un’azione “felice”.

Certo si può anche agire – continua Evola – non tenendo conto del “fatum”, della direzione in cui muovono le forze cosmiche, però ( e qui torniamo ad usare le parole di Evola, in Op. u.c., p.48 ) “Chi non tiene conto del fatum é quasi sempre destinato ad essere passivamente trasportato dagli eventi; chi lo conosce, lo assume e vi si innesta viene invece guidato verso un superiore compimento, ricco di un significato non soltanto individuale. Tale é il senso del detto antico secondo il quale i fata nolentem trahunt, volentem ducunt”

(6) Per riferirci ad un noto detto di Seneca.

Appendice

Pagine tratte da Raja Yoga di Yoghi Ramacharaka ( da pag. 16 )

Avvertenza : la lettura potrà richiedere un certo sforzo a causa di errori di sintassi ( probabilmente dovuti al traduttore ), ma é uno sforzo , crediamo, che vale la pena di fare.


REGOLE ED ESERCIZI DESTINATI AD AIUTARE IL CANDIDATO NELLA SUA INIZIAZIONE

La prima istruzione secondo la linea di iniziazione è destinata a risvegliare la mente alla totale realizzazione e consapevolezza della individualità dell’Io. Si insegna al candidato come rilasciare il corpo, calmare la mente e meditare sull’Io finchè si presenti chiaramente, nettamente alla consapevolezza. Con ciò diamo insegnamenti per produrre quelle condizioni fisiche e mentali per mezzo delle quali la meditazione e la concentrazione si ottengono più facilmente. Anche nei successivi esercizi, deve esser costante questo stato di meditazione, perciò lo studioso deve divenirne perfettamente familiare.

STATO DI MEDITAZIONE- Se è possibile conviene ritirarsi in camera o luogo tranquillo, dove non si abbiano a temere interruzioni, di modo che la mente possa riposare tranquilla. Certo questa condizione ideale non si puè sempre ottenere, e allora fate come meglio è possibile.

L’intento è di render possibile d’astrarsi al massimo grado da distrazioni esteriori, in guisa da essere solo con voi stesso, in comunione col vostro Io reale. Sarebbe bene sdraiarsi comodi. in modo da poter rilasciare i muscoli e liberare i nervi da ogni tensione. Dovete dimenticare interamente il mondo esteriore rilasciando ogni muscolo, fin che un senso di perfetta calma e di pace riposante pervada ogni fibra del vostro essere. Che il corpo riposi e la mente sia calma. Questa condizione è indispensabile nei primi periodi dell’apprendimento; dopo il candidato acquisterà un tal grado di padronanza da poter ottenere rilasciamento fisico e calma mentale in qualunque tempo e luogo desideri. Ma egli deve guardarsi bene dall’acquistare apparenza di sognatore assorto in meditazione anche quando deve attendere agli affari della vita. Ricordatevi questo: lo stato di meditazione deve essere interamente sotto il controllo della volontà e si deve ottenerlo soltanto deliberatamente ed a tempo opportuno. La volontà dev`essere padrona di questo come di qualunque altro stato mentale. Gli iniziati non sono dei sognatori diurni, ma uomini o donne con pieno controllo di se medesimi e dei loro atteggiamenti. La consapevolezza dell’Io, quando è sviluppata per mezzo della meditazione, diventa ben presto uno stato immutabile e non ha più bisogno di essere prodotto da meditazioni. In tempo di lotte, dubbi o turbamenti la consapevolezza può rinforzarsi per mezzo di volontà (come spiegheremo nelle lezioni seguenti) senza ricorrere allo stato di meditazione.

LA REALIZZAZIONE DELL’ “IO” – Il candidato deve per primo familiarizzarsi colla realtà dell’ “Io” prima di poterne conoscere la vera natura: questo è il primo passo. Che lo studioso si metta nello stato di meditazione prima descritto; poi deve concentrare tutta la sua attenzione sull’Io individuale escludendo ogni altro pensiero del mondo esteriore o d’altre persone. Che gli si formi nella mente l’idea di sè stesso come di cosa reale, di essere attuale, di entità individuale; di sole attorno cui graviti il mondo. Che nè falsa modestia nè senso d’inferiorità ostacolino questa idea, poichè voi non negate per ciò ad altri il diritto di considerare se stessi come altri centri. Voi siete infatti un centro di consapevolezza, fatto cosi dall’Assoluto e voi state per percepirne la realtà. Finchè l’Ego non riconosce sè stesso come un centro di pensiero, d’influenza e di potere, non può manifestare questa qualità: via via che viene riconosciuta questa sua posizione come un centro di manifestazione, per queste sue qualità non è necessario di paragonarsi con altri o di immaginarsi più grandi e migliori di altri, anzi simile paragone sarebbe biasimevole e indegno di un Ego progredito; sarebbe segno di mancanza di progresso piuttosto che del contrario. Nella meditazione deve rimanere ignorata semplicemente ogni considerazione delle rispettive qualiltà di altri, e deve esser procurato il riconoscimento del fatto che voi siete un gran centro di consapevolezza, di potere, d’influenza e di pensiero. E come i pianeti gravitano attorno al sole cosi il vostro mondo si svolge intorno a Voi che ne siete il centro. Non sarà necessario di pensare su ciò o di convincervi di questa verità con ragionamenti intellettuali: la nozione non viene così, ma in forma di avveramento di verità che gradualmente spunta nella consapevolezza per mezzo di meditazioni e di concentrazione. Raccogliete in voi questo pensiero, di voi centro di consapevolezza, di potere e di influenza, poichè questa è una verità occulta e via via che sarete capaci di realizzarla, diventerete capaci di manifestare queste qualità. La vostra posizione può essere mediocre, la vostra sorte dura, la vostra istruzione scientifica scarsa; voi non cambiereste il vostro “Io” col più fortunato, saggio e grande individuo del mondo. Potrete dubitare di ciò, ma pensate un momento e vedrete che abbiamo ragione. Quando dite che “vi piacerebbe di essere” questi o quegli, veramente pensate che vi piacerebbe averne il grado di intelligenza, di potere, di ricchezza, di posizione sociale ecc. Ciò che desiderate è qualche cosa che è di loro o qualche cosa di simile. Ma voi non desiderereste neppur un istante di confondere la vostra identità colla loro, o cambiarvi in loro. Rifletteteci un momento: per essere l’altro voi dovreste morire, ed allora solo invece di voi sareste l’altro. Il vero Voi verrebbe cancellato dall’esistenza, e voi non sareste affatto più voi, ma sareste l’altro. Se potete afferrare questo concetto vedrete che non vi verrebbe voglia di fare un tale cambio nemmeno per un momento. Certo tale cambio è impossibile. Il vostro “Io” non può essere cancellato; è eterno e progredirà avanti, avanti, avanti, salirà a stadi sempre più alti, ma sarà sempre lo stesso Io. Precisamente come voi che, sebbene ora siate individuo ben differente di quando eravate fanciullo, riconoscete lo stesso “Io” in voi, come sempre in voi è stato. E sebbene possiate acquistare nell’avvenire sapere, esperienza, potere e saggezza, lo stesso lo sarà sempre con voi. L’Io è scintilla divina e non può mai estinguersi.

La maggioranza degli individui all’attuale stadio di sviluppo della razza, ha soltanto fievoli concetti della realtà dell’Io. Accettano la constatazione di questa esistenza, ma sono consci di se stessi come di creatura che mangia, dorme e vive, un essere poco più alto di vita animale; non sono convinti della entità o realtà dell”Io, che deve destarsi in chiunque diventi reale centro d’influenza e di potere. Vi è chi si è imbattuto in questa consapevolezza o in un grado di essa, ma senza comprenderlo. Hanno sentito questa verità e sono usciti dal rango della gente ordinaria e sono divenuti potenze per il bene o per il male. Ciò fino ad un certo punto, è una disgrazia, poichè questa coscienza, cui manca la conoscenza ed il sapere che dovrebbero accompagnarla, può apportare del male all’individuo e agli altri.

Il candidato deve meditare sull’Io, riconoscerlo, sentirlo, essere un centro. Questo è il primo intento. Imprimete nella vostra mente la parola “Io” in questo senso e significato e fate che penetri profondamente nella vostra consapevolezza cosi da diventar parte di voi stesso. E quando dite “Io” dovete accompagnare la parola coll’immagine del vostro Ego, come di un centro di consapevolezza, di pensiero, di potenza e d’influenza. Vedetevi cosi circondato dal vostro mondo; ovunque voi andiate, va il centro del vostro mondo. Voi siete il centro e tutto quello che è al di fuori di voi gravita attorno a questo centro. Questa è la prima grande lezione sulla strada dell’iniziazione: imparatela!

I maestri Yoghi insegnano agli studiosi che si può affrettar la reallizzazione dell’Io come centro, ritirarsi nel silenzio, o in meditazione e ripetendo il loro nome con lentezza, deliberatamente, solennemente, un certo numero di volte. Questo esercizio tende a concentrare la mente sull’Io e molti casi di aurora di iniziazione sono risultati da questa pratica. Molti pensatori individuali sono giunti, per caso, a questo metodo senza che nessuno lo avesse loro insegnato. Un noto esempio è quello di Lord Tennyson il quale ha scritto di aver raggiunto un certo grado d’iniziazione in questa guisa. Egli avrebbe ripetuto il suo nome proprio più e più volte, nello stesso tempo meditava sulla propria identità, e racconta che così sarebbe divenuto consapevole e cosciente della sua realtà ed immortalità: in breve, avrebbe riconosciuto se stesso come un reale centro di consapevolezza.

Crediamo di avervi dato la chiave del primo stadio di meditazione e di concentrazione. Prima di andare oltre lasciateci citare un antico maestro Hindu; a proposito di ciò. egli diceva: “Quando l’anima riconosce se stessa come un centro di circonferenza: quando il Sole riconosce di essere Sole circondato dai pianeti che li gravitano attorno, allora essa è pronta per la sapienza e il potere del maestro“.

CONCEZIONE DELL’INDIPENDENZA DELL’ “IO” DAL CORPO- Molti candidati trovano un impedimento alla piena realizzazione dell’ “Io” (anche dopo aver cominciato a intuirlo), nella confusione della realtà dell’ “lo” col senso del corpo fisìco. Ma questo è un incaglio che facilmente è superato per mezzo della meditazione e concentrazione, poichè la indipendenza dell’ “Io” viene spesso rivelata allo studioso d’un subito, quando si prenda quale oggetto di meditazione un pensiero adatto.

L’esercizio è dato come segue: Mettetevi in stato di meditazione e pensate di esser Voi, il vostro Io reale, indipendente dal corpo, che usi del corpo come di involucro e di istrumento. Pensate del corpo come pensereste di un vestito e vedrete che voi potete lasciare il corpo ed essere ancora lo stesso Io. Raffiguratevi di far ciò e di considerare il vostro corpo come una buccia dalla quale potere uscire senza alterare la vostra identità. Raffiguratevi come padrone di questo corpo che occupate poichè voi potete controllarlo, usarlo per miglior vantaggio e renderlo sano, forte e vigoroso, pur restando esso sempre un guscio o involucro del vostro vero Io. Considerate questo corpo composto di atomi e di cellule che cambiano di continuo, ma tenuti assieme dal vostro Ego e che voi potete migliorare a volontà. Persuadetevi che voi siete semplicemente un abitante del corpo e ne usate solo per convenienza, proprio come potreste servirvi di una casa. In meditazioni ulteriori cercate d’ignorare completamente il corpo; situate il pensiero sul reale “Io” che cominciate a sentirre come il “Voi”, e troverete che la vostra identità, il vostro “Io” è qualche cosa una cara di totalmente distinto dal corpo. Voi potete ora dire ” il mio corpo” con un significato nuovo. Respingete l’idea di essere un ente fisico e verificherete di essere al disopra di esso. Ma che questo concetto e avveramento non vi faccia ignorar il corpo. Dovete considerare il corpo come tempio dello Spirito e curarlo e farne una sede adatta al vostro “Io”. Non spaventatevi se durante la meditazione vi avvenga di provare la sensazione di sentirvi fuori del corpo per qualche momento e di ritornarvi alla fine dell’csercizio. L’Ego è capace (nei casi di avanzata iniziazione) di emergere oltre i confini del corpo ma non ne stacca la connessione in quegli istanti. È come se uno guarda fuori dalla finestra della stanza quello che avviene e ritrae la testa quando desidera. Non deve lasciar la stanza, quantunque possa mettere fuori il capo per osservare ciò che avviene nella via. Non consigliamo il candidato di cercare di coltivare questa sensazione, ma se viene naturalmente durante la meditazione, non abbiate timori.

CONCEZIONE DELL’IMMORTALITÀ ED INVINCIBILITÀ DELL’ “EGO” – Mentre la maggioranza accetta, per fede, il credo della immortalità dell’anima, pochi sono consci che ciò può essere dimostrato dall’anima stessa. I maestri Yoghi insegnano al candidato la seguente lezione: Lo studioso deve mettersi nello stato di meditazione o almeno di grande riflessione e sforzarsi di immaginare sè stesso come morto, ossia deve tentar di farsi un concetto mentale di sè stesso morto. Ciò dapprima pare una cosa molto facile da immaginarsi, ma in realtà è una cosa impossibile da farsi poichè l’ “Ego” rifiuta di concepire questo fatto e gli è impossibile immaginarlo. Provatelo voi stesso. Troverete che potrete immaginare il vostro corpo giacente immobile e privo di vita, ma lo stesso pensiero prova che per tal modo siete “Voi” che guardate il corpo. Così è chiaro che “Voi” non siete morto per nulla, neppure nella immaginazione, sebbene il corpo possa esserlo. Oppure, se rifiutate di staccarvi colla fantasia dal vostro corpo, potete pensare il vostro corpo morto, ma il Voi che rifiuta di lasciarlo è sempre vivo e riconosce il corpo morto come una materia distinta dal vostro vero Io. In qualunque caso voi tentiate considerare la cosa non potrete mai immaginare voi stesso come morto. L`Ego insiste nel rimaner vivo in ognuno di questi pensieri e cosi trova in se stesso il senso e la sicurezza dell’immortalità. In caso di sonno o stupore risultante da un colpo o da narcotici o anestetici, la mente è apparentemente assente, ma l`Io è conscio di una continuità di esistenza. E così uno può immaginarsi in uno stato di incoscienza o di sonno nel modo più facile e vedere la possibilità di tale stato. ma quando vuole immaginare l’Io come morto la mente si rifiuta assolutamente di farlo. Questo fatto meraviglioso che l’anima porta in se stessa la prova della immortalità è magnifico, ma bisogna aver raggiunto un certo grado di sviluppo prima di poterne concepire il pieno significato. Si avverte il candidato di riflettere per proprio conto queste affermazioni con meditazione e concentrazione, cioè che perchè l`”Io” possa conoscere la propria essenza e le. proprie facoltà, deve verificare di non poter essere distrutto od ucciso. Deve conoscere ciò che veramente è prima di poter manifestare la propria natura. Cosi non lasciate questa parte dell’insegnamento finchè non ve ne siate bene impadroniti. Ed è anche bene all’occasione di ritornarvi sopra, per poter imprimere bene nella mente il fatto della vostra natura immortale ed eterna. Il solo bagliore di questo concetto di verità vi darà un senso accresciuto di forza e di potere, e troverete che il vostro Io si è espanso ed accresciuto e vi sentirete più potente e più Centro di quanto avevate fino allora concepito.

I seguenti esercizi sono utili per giungere alla rivelazione dell’invincibilità dell’Ego, della sua superiorità sugli elementi.

Mettetevi in atto di meditazione ed immaginate che l’ “Io” sia sottratto dal corpo. Lo vedete passare attraverso le prove d’aria, di fuoco e di acqua, incolume. Essendo escluso il corpo, si vede che l’anima può a volontà passare traverso l’aria, volare come un uccello, tuffarsi sotto le acque, o viaggiare per l’etere. Si può vederla passare tra il fuoco senza danno nè sensazione di nessun genere, perchè gli elementi possono tangere solo il corpo fisico e non l’Io reale. Parimenti si può considerarla passare tra le acque senza disagio, nè pericolo, nè danno. Questa meditazione vi darà un senso di superiorità e di forza e vi svelerà qualcosa della natura del vostro “lo” reale. È vero che voi siete confinati nel corpo e che il corpo può essere influenzato dagli elementi, ma la nozione che l’Io reale è superiore al corpo, che non può essere in nessuna guisa nè offeso nè ucciso, è meravigliosa e tende a sviluppare la piena nozione dell’Io. Poichè Voi – l’Io reale – non siete corpo; siete Spirito. L’Ego è immortale ed invincibile e non può essere nè ucciso nè danneggiato. Quando sarete penetrato di questa persuasione e conoscenza, sentirete un aumento di forza e di potere impossibile a descrivere. Il timore vi abbandonerà come un vestito logoro e sentirete che siete rinato. La concezione di questo pensiero mostrerà che le cose di cui abbiamo sempre avuto timore non possono tangere l'”Io” superiore, ma devono limitarsi ad offendere il solo corpo fisico; esse poi possono essere tenute lontane dal corpo fisico per mezzo di una adatta intelligenza ed applicazione di volontà.

Nella prossima lezione vi sarà insegnato come separare l’ “Io” dal meccanismo mentale; come poter realizzare la padronanza della mente precisamente come avete verificato la ìndipendenza dal corpo. Questa nozione vi sarà impartita per gradi, poichè dovete metter ben fermi i piedi sopra uno dei gradini della scala prima di far un altro passo.

La parola d’ordine di questa lezione è l’ “Io” e il candidato deve comprenderne pienamente il significato prima di poter progredire. Egli deve riconoscere la sua reale esistenza, indipendente dal corpo; deve considerarsi invincibile ed intangibile da danno, ferita o morte. Egli deve considerarsi come un grande centro di conoscenza, un sole intorno al quale gravita il suo mondo. Allora gli verrà nuova forza, sentirà una dignità calma e un potere che diverrà evidente a coloro coi quali sarà in rapporto. Egli potrà guardare in faccia il mondo senza titubanza e senza paura, poichè egli realizzerà la natura ed il potere dell’ “Io”. Riconoscerà di essere un centro di potenza, d’influenza; realizzerà che nulla può danneggiare l` “Io” e che qualunque tempesta della vita imperversi sulla personalità, il reale “Io” superiore, l’individualità è intangibile. Come una roccia che non crolla nella bufera, cosi l’ “Io” supera ogni tempesta della vita della personalità, e saprà che quanto più progredirà in questa verifica, tanto più potrà padroneggiare queste tempeste e di imporre loro d’acquietarsi. Nelle parole di un maestro Yoghi: – L’Io è eterno. Passa incolume traverso fuoco, aria e acqua, Nè spada nè lancia possono ucciderlo o ferirlo. Non può morire. Le prove della vita fisica non sono per lui che sogni. Riposando sicuro nella nozione dell’ “Io”, l’uomo può sorridere delle peggiori calamità che la vita offra, ed alzando la mano può ordinar loro di sparire nella nebbia da cui sono emerse. Beato colui che può dire, con piena comprensione, “lo”.

Cosi, caro candidato, vi lasciamo compenetrare questa lezione. Non scoraggiatevi se i vostri progressi sono lenti; non scoraggiatevi se indietreggerete di un passo dopo averlo mosso; ne guadagnerete due la volta prossima. Il successo e la verità saranno vostri: il dominio vi sia dinanzi: lo raggiungerete : riuscirete.

Pace sia con voi.

Continuiamo a riportare ( da pag. 33 ) Raja Yoga, di Yoghi Ramacharaka:

ESERCIZIO MENTALE

Mettetevi in condizioni di calma e tranquillità per poter meditare sui soggetti che sottoporremo alla vostra considerazione; che questi soggetti possano trovare una accoglienza favorevole da parte vostra e serbate un’attitudine mentale favorevole a ricevere ciò che vi può attendere nelle regioni superiori della mente.

Desideriamo richiamare la vostra attenzione a diverse impressioni e condizioni mentali una dopo l’altra affinchè possiate verificare che sono qualcosa di puramente accidentale e non costituiscono affatto il vero “Io”; che potete scartarle e considerarle allo stesso modo che potreste fare di qualsiasi cosa di cui vi foste servito. Non potreste scartare l’ “Io” per considerarlo per tal modo, ma le varie forme del “non Io” possono essere cosi distinte e fatte oggetto di esame.

Nella prima lezione avete acquistato la nozione dell’ “Io”, indipendente dal corpo e soltanto quasi uno strumento da adoperare. Ora siete arrivati allo stadio in cui l’Io vi appare come una creazione mentale, un assieme di pensieri e di sentimenti, di stati d’animo ecc. Ma dovete ancora progredire. Dovete saper distinguere l’ “Io” da queste condizioni mentali le quali sono degli strumenti precisamente come il corpo e le sue parti.

Cominceremo dal considerare i pensieri più strettamente connessi col corpo e dopo progrediremo agli stati mentali superiori.

Le sensazioni del corpo come fame, sete, dolore, sensazioni piacevoli, desideri fisici ecc., non possono più esser scambiate per qualità essenziali dell “lo” da molti candidati, perchè essi hanno già superato questo stadio, ed hanno imparato più o meno a secernere queste sensazioni per forza di volontà; non ne sono più schiavi.

Non già che essi non le sentano queste sensazioni, ma si sono abituati a riguardarle come “incidenti” della vita fisica, buoni al loro posto, ma utili all’uomo progredito soltanto quando questi se ne è reso padrone al punto da non considerarli più come attinenti all’Io. Ancora, per alcuni queste sensazioni sono cosi strettamente identificate colla loro concezione dell’Io, che quando pensano di loro stessi, pensano soltanto come un assieme di queste sensazioni. Non sanno separarle e considerarle come cose a parte, da usare quando è necessario ed opportuno, ma come sensazioni non pertinenti all’ “Io” . Quanto più un uomo è progredito tanto più queste sensazioni gli sembrano estranee. Per esempio, non già che egli non senta la fame; egli invece avverte la fame e vi soddisfa ragionevolmente sapendo che il corpo fisico reclama l’attenzione ed ha bisogno di nutrimento, e che questa domanda deve essere ascoltata. Ma, notate la differenza, invece di sentire che l’ “Io” ha fame, egli sente che “il suo corpo” ha fame, così come potrebbe avvertire se il suo cane o il suo cavallo reclamassero insistentemente il cibo. Comprendete bene ciò che vogliamo dire? L’uomo non identifica più se stesso, l'”Io” col corpo; per ciò i pensieri che sono strettamente uniti alla vita fisica sembrano comparativamente “separati” dalla concezione del suo “Io”. Un tal uomo pensa: “i mio stomaco questo” o “la mia gamba quest’altro” o “il mio corpo così” ; invece di “io questo” “io quest’altro” “io cosi”. Può, quasi automaticamente pensare del corpo e delle sensazioni come di cose “sue”, che “appartengono” a lui, che richiedono attenzioni e cure, piuttosto che parti reali dell’ “Io”. Egli può formarsi un concetto dell’ “Io” esistente senza alcuna di queste cose, senza corpo nè sensazioni, e cosí fa il primo passo sulla via del riconoscimento dell’ “Io”.

Prima di progredire noi chiediamo agli studiosi di fermarsi pochi momenti e di riandare mentalmente a queste sensazioni del corpo. Formatevi una immagine mentale di esse e riconoscete che sono semplici “incidenti” allo stato presente di sviluppo e di esperienza dell’ “Io” e che non ne formano parte reale: esse possono essere e saranno distinte nei piani superiori di sviluppo dell’Ego. Potete aver raggiunto benissimo questa concezione mentale da molto tempo, ma ora vi chiediamo questo esercizio mentale per fissare bene nella vostra mente questo primo passo.

Riconoscendo che potete segregare, mentalmente, queste sensazioni, che potete tenerle a relativa distanza, e considerarle come cosa estranea, voi le determinate mentalmente pertinenti al “non Io”, e sistemate queste sensazioni nella collezione del “non Io”, per prime . Proviamo a spiegarci ancor più chiaramente anche a costo di stancarvi a forza di ripetizioni (poichè dovete fissare salda questa idea nella mente). Dicendo che una cosa fa parte del “non Io” riconoscete che nella questione vi sono due punti: 1° il “non Io”, 2º l’ “Io”, il quale sta considerando il “non Io” proprio come considererebbe una zolla di zucchero o una montagna. Vedete quello che vogliamo dire? Studiatelo fin o a chè non vi sia chiaro.

Ora considerate qualche sentimento, come collera, odio, amore nelle forme ordinarie, gelosia, ambizione e le altre cent’una emozioni che ci passano per il cervello; troverete che potrete distinguere ognuna dì queste emozioni o sentimenti, studiarli, sezionarli. analizzarli, considerarli. Potrete intuire l’inizio, il progresso e la fine di ciascuno di questi sentimenti: come sono sorti in voi e come potete ridestarli nella memoria o immaginazione proprio come potreste osservarne lo svolgimento nella mente di un amico. Li troverete tutti immagazzinati in qualche scompartimento della mente e potrete (per usare una frase moderna del gergo americano) “farli trottare innanzi a voi e vederne i passi”. Vedete dunque che non sono “Voi”, ma soltanto qualche cosa che portate con voi in un bagaglio mentale. Potete immaginarvi di vivere senza questi sentimenti rimanendo sempre “lo”, non è vero? Il solo fatto che potete segregarli, esaminarli e considerarli, é prova che appartengono al “non Io” poichè ci sono due soggetti in argomento: lº il “Voi” che sta esaminando e considerando e, 2° la cosa stessa, che è l’oggetto del vostro esame e della vostra riflessione a vostra portata. Cosi vanno nella collezione del “non Io” queste emozioni desiderabili e non desiderabili. La collezione va fortemente aumentando e in breve raggiungerà formidabili proporzioni .

Però non dovete immaginare che questa sia una lezione destinata a insegnarvi come allontanare queste emozioni, ma se vi rende possibile di liberarvi da quelle non desiderabili tanto meglio. Non è questo l’intento attuale. Vi consigliamo per ora di collocarle tutte insieme; poichè il nostro pensiero è di portarvi al riconoscimento che l` “lo” è superiore e indipendente da queste mentalità: quando poi avrete riconosciuto la natura dell`Io potrete tornare ad usare da padrone, di quelle emozioni che vi hanno asservito. Così non temete di collocare queste emozioni (buone e cattive) nella collezione del “non Io”. Potrete ritornarci ed usare delle buone quando l`esercizio mentale è finito. Non importa che pensiate di essere strettamente legato da qualcuno di questi sentimenti. Riconoscerete, con analisi accurata, che appartengono tutti al ” non Io”, poichè l’Io esisteva prima che l’emozione entrasse a far parte attiva e vivrà molto dopo che l’emozione sarà svanita. La prova principale ne è che voi potete considerarla ad una tal quale distanza ed esaminarla questa emozione: e ciò prova che è “non Io”.

Ripensate l’intera lista dei vostri sentimenti, emozioni, stati d’animo ecc., precisamente come fareste con quelli d’un amico o parente ben noto e vedrete che ciascuno -proprio tutti- sono del “non Io” e saprete distinguerli almeno per gli intenti dell’esperimento scientifico. Passando all’ìntelletto potrete considerarne obbiettivamente, per esaminarlo, ogni processo o principio mentale. Potete dire di non crederlo: e allora leggete e studiate qualche buon lavoro di psicologia ed imparerete a sezionare e analizzare ogni processo intellettuale, a classificarlo e sistemarlo nella propria casella. Studiate psicologia su qualche buon trattato e troverete che , uno per uno, ogni processo intellettuale è classificato, descritto e sistemato, precisamente come si potrebbe fare di una collezione di fiori. Se ciò non vi basta ancora svolgete le pagina di qualche opera di logica ed allora ammetterete che potete tenere questi processi intellettuali a relativa distanza, esaminarli e parlarne ad altri. Cosi questi meravigliosi strumenti dell’uomo, i poteri intellettuali, possono essere collocati nella categoria del “non Io” poiché l’Io è capace di stare da parte a considerarli e staccarli insomma da sè.

ll più meraviglioso è che nell’ammettere tale fatto, verificate che l’Io usa queste facoltà intellettuali per oltrepassarle. Chi è il padrone che costringe queste facoltà a ciò verso se stesso? Il padrone della mente, l`”Io”. E raggiungendo le regioni superiori della mente, perfino quelle della mente spirituale, sarete costretti ad ammettere che i soggetti sono venuti alla conoscenza e studiati precisamente come qualunque altro soggetto mentale, e cosi anche quei soggetti superiori devono essere collocati nel “non Io”. Potreste obbiettare che ciò non prova che tutte le facoltà della mente spirituale possano essere trattate cosi; potrebbero esserci elementi dell’Io da non esser trattati così. Non vogliamo discutere questa questione, poichè non sapete nulla della mente spirituale, eccetto quello che essa stessa vi ha rivelato, e le regioni superiori di questa mente sono simili alla mente di un Dio paragonato a ciò che voi chiamate mente. Ma la testimonianza degli Illuminati, di coloro in cui la mente spirituale è meravigliosamente evoluta, ci dice che perfino nelle forme più alte di sviluppo, gli Iniziati e, già, perfino i maestri riconoscono che al di sopra degli stati mentali supremi vi è sempre quell’eterno Io che li sovrasta come il sole sopra il lago, e che la più alta concezione dell’Io, nota alle anime avanzate, non è se non un debole riflesso dell’Io filtrante attraverso la mente spirituale, sebbene questa mente spirituale sia limpida come il cristallo più chiaro paragonata ai nostri stati mentali relativamente opachi. Lo stato mentale più elevato non è altro se non un arnese o istrumento dell’ “Io” e non I’ “Io” medesimo.

Eppure I’ “Io” si trova anche nelle forme più deboli di conoscenza, ed anima perfino la vita incosciente. L’ “Io” è sempre il medesimo, ma il suo sviluppo apparente é il risultato dello sviluppo mentale dell’ individuo. Come lo abbiamo descritto in una delle lezioni del Corso superiore, è come una lampada elettrica avvolta molteplicemente di panno. Quando questi avvolgimenti uno dopo l’altro vengono rimossi, sembra che la luce si espanda e si intensifichi sebbene non sia affatto cambiata; il mutamento è avvenuto soltanto nella rimozione degli schermi che la limitavano ed oscuravano. Non possiamo aspettarci di farvi riconoscere l’Io in tutto la sua pienezza, ciò è troppo oltre alle più elevate cognizioni dell’uomo odierno, ma speriamo di portarvi alla realizzazione del più alto concetto dell’Io possibile ad ognuno, compatibilmente con lo stato presente di evoluzione, e progredendo, speriamo di potervi occasionare la caduta di molti ostacoli e che l’evoluzione ve lo consenta. I viluppi son pronti a cadere e tutto ciò che si richiede è il tocco di una mano amica che ve li faccia saltar via. Desideriamo portarvi al massimo riconoscimento possibile per voi dell’Io, per far di voi una individualità; perchè possiate comprendere ed avere il coraggio di prendere gli arnesi e strumenti che avete a portata di mano e lavorare all’opera che vi sta dinanzi.

E ritorniamo all’esercizio mentale. Dopo di esservi persuaso che quasi tutto quello che potete pensare è pertinente al “non Io”, arnese e strumento per vostro uso, ci chiederete: E ora che cosa resta che non debba essere posto nella collezione del “non Io”? A questa domanda noi rispondiamo: l’ “Io” per se stesso. E quando ne domandate la prova vi diremo : “Provate a mettere da parte l’Io per meditarlo”. Potreste provare da ora sino all’infinito, ma non riuscirete mai a mettere da parte l’ “Io” reale per esaminarlo. Potete credere di farlo, ma un po’ di riflessione vi mostrerà che state segregando solo qualcuna delle vostre qualità o facoltà mentali. E in questo processo qual’è l’opera dell’Io? Semplicemente di distinguere le cose per rifletterci sopra. Non vedete che l’Io non può insieme essere il consideratore e la cosa considerata, l’esaminatore e la cosa esaminata? Può il sole risplendere sopra sè stesso per mezzo della propria luce? Potete riflettere sull’Io di un’altra persona, ma è il vostro Io che è l’autore della riflessione. Non potete come un “Io” segregarvi a considerarvi da voi stesso come un Io. Allora qual prova abbiamo di possedere un nostro Io? Questa: siete sempre consci di essere il consideratore e l’esaminatore, in luogo dell’essere esaminato e considerato, ed inoltre avete la prova della vostra consapevolezza. E che nozioni può offrirci la nostra conoscenza? Semplicemente questo e null”altro: “Io sono”. Di ciò solo l’Io è cosciente a riguardo del suo vero sè. “Io sono”, ma questa nozione vale tutto il resto, poichè il resto è soltanto “non Io”, strumento che l’ “Io” può usare.

E cosi, in ultima analisi, trovate che vi è qualche cosa che si rifiuta di essere distinto ed esaminato dall’ “Io”e questo qualche cosa è l'”Io” stesso, questo “Io” eterno, immutabile, questa goccia del grande oceano spirituale, questa scintilla della fiamma sacra. Come trovate impossibile immaginare l'”Io” morto, così, troverete impossibile di segregarlo per esaminarlo; tutto quello che vi avviene testifica: “Io sono”.

Se vi fosse possibile mettere da parte l’Io per esaminarlo, chi ne sarebbe l’esaminatore? Chi potrebbe esaminare, se non l’ Io stesso? e se questo “Io” è là come può essere quì? L'”Io” non può essere il “non Io” neppure nel volo più audace dell’ immaginazione: l’immaginazione in tutta la sua vantata libertà e nella sua potenza si confessa vinta quando è richiesta di fare ciò. Oh studiosi, possiate giungere al riconoscimento di ciò che siete! Possiate presto svegliarvi alla convinzione che voi siete DEI dormenti, che avete dentro di voi il potere dell’universo che attende la vostra parola per manifestarsi in azione. Vi siete affaticati durante lunghi anni per giungere a questo punto e dovrete ancora camminare molto prima di raggiungere soltanto il grande tempio; ma ora state entrando nello stadio cosciente di evoluzione spirituale. I vostri occhi non saranno piu chiusi mentre camminate per il sentiero: da ora in poi comincerete ad ogni passo a veder più e più chiaro nell’aurora della conoscenza.

Voi siete a contatto con tutta la vita e la separazione del vostro “Io” dal grande “Io” universale è soltanto apparente e temporanea. Parleremo di queste cose nella terza lezione, ma prima dovete essere persuasi che dovete sviluppare entro di voi la conoscenza dell’Io. Non trascurate ciò come cosa di poca importanza. Non respingete la nostra debole spiegazione come “parole, sole parole”, come molti sogliono fare. Stiamo segnalandovi una grande verità. Perchè non seguire l’indirizzo indicatovi dallo Spirito che anche nel momento in cui leggete, vi istiga a percorrere il cammino del Conseguimento? Meditate gli insegnamenti di questa lezione e praticate l’esercizio mentale finchè la mente non ne abbia ben sviscerato il significato, poi lasciatelo penetrare profondamente nell’intimo della vostra conoscenza; e allora sarete preparati per la lezione prossima e per le seguenti.

Praticate questo esercizio mentale fin che non siete completamente convinti della realtà dell’ Io e della relatività del “non Io” con la mente. Quando avrete afferrata questa verità, vedrete di essere capaci di usare di una mente molto più potente ed efficace, poichè la riconoscerete come arnese o istrumento fatto al vostro comando. Dovete padroneggiare gli stati d’animo e le emozioni quanto è necessario ed elevarvi dalla condizione di schiavo a quella di padrone.

Le nostre parole sembrano meschine quando si consideri la grandezza della verità che ci siamo sforzati di apportare per mezzo di esse; perchè chi può trovare parole che esprimano l’inesprimibile? Tutto quello che possiamo sperare è di risvegliare da parte vostra interesse acuto e viva attenzione per praticare l’esercizio mentale ed ottenere la prova di verità dalla vostra propria mente. La verità non sarà tale per voi finchè non l’abbiate provata colla vostra propria esperienza, ed una volta provata non potrete più esserne defraudato, nè potrà esservi tolta per discussioni.

Dovete riconoscere che dietro ad ogni sforzo mentale sta il vostro Io. Voi comandate alla mente di lavorare ed essa obbedisce alla volontà. Voi siete il padrone, non lo schiavo, della vostra mente: siete il conduttore e non il condotto. Liberatevi dalla tirannia della mente che vi ha oppresso per sì lungo tempo. Affermatevi, siate libero. Vi aiuteremo a questo intento durante il corso di queste lezioni, ma voi dovete dapprima affermarvi come padroni della mente. Formate la dichiarazione mentale di indipendenza dai vostri stati mentali d’animo, dalle vostre emozioni e dai pensieri incontrollati, ed affermate il vostro dominio sopra di essi. Entra nel tuo regno, o tu manifestazione dello Spirito!

Questa lezione si propone principalmente di portare chiaramente nella vostra cognizione il fatto che l’ “Io” è una realtà separata e distinta dai suoi strumenti mentali, mentre il controllo esercitato delle facoltà mentali dalla volontà, forma una parte delle future lezioni. Tuttavia pensiamo che questo sia un punto giusto per dimostrarvi i vantaggi derivanti dalla verifica della natura propria dell’ “Io” e della costituzione relativa alla mente.

Molti suppongono che la mente sia padrona nostra e ci lasciamo spesso tormentare e angariare da pensieri turbinanti che ci trascinano e si presentano in tempo inopportuno. L’iniziato è già libero da questa noia, poichè impara ad affermare la sua padronanza sulle diverse parti della mente e ne controlla e regola i processi mentali allo stesso modo che farebbe coi delicati congegni di una macchina. Sa controllare le sue coscienti facoltà pensanti e ne dirige il lavoro migliorandolo; impara anche a trasmettere l’ordine alle regioni mentali sub-coscienti e farle lavorare per lui mentre dorme o anche quando sta usando in altre guise della mente cosciente.

Prenderemo in esame questi soggetti a tempo opportuno durante il corso di queste lezioni. A questo proposito può esser molto interessante leggere quanto dice Edoardo Carpenter sui poteri dell’individuo nel controllare il processo del pensiero. Nel suo libro From Adam’s Peak to Elephanta, descrivendo le sue impressioni di una visita ad un Gnani Yoghi indiano, dice:

“E se abbiamo poca voglia di credere in questa padronanza interiore sul corpo, siamo forse nella stessa guisa poco assuefatti all’idea di padronanza sui nostri pensieri e sentimenti più intimi. Che un uomo debba esser preda di qualunque pensiero che per caso prenda possesso della sua mente è usualmente ritenuto inevitabile. Può sembrar penoso che egli debba rimaner sveglio tutta la notte per l’ansia dell’esito di un processo da discutersi domani; ma che costui possa avere il potere di determinare se debba rirnaner sveglio o no, sembra una pretesa stravagante.

“L’immagine di una calamità imminente è senza dubbio penosa, ma è questa pena per l’appunto, diciamo, che tormenta la mente persistentemente ed è inutile cercar di scacciarla”.

“Eppure è assurdo che l’uomo, erede di ogni era, sia preda delle creazioni evanescenti del cervello.

“Se un sassolino ci tormenta dentro la scarpa lo leviamo: ci togliamo la scarpa e la scuotiamo per estrarnelo. Una volta ben compreso l’argomento, diventa altrettanto facile espellere dalla mente un pensiero importuno e dannoso. Intorno a ciò non vi può essere errore, non vi possono essere due opinioni: la cosa è ovvia, chiara, indiscutibile. Dovrebbe essere altrettanto facile espellere un pensiero penoso dalla mente quanto espellere un sassolino dalla scarpa; e fino a che l’uomo non può fare questo, è un non senso parlare del suo predominio sulla natura, ecc. Egli è soltanto schiavo, preda dei fantasmi che svolazzano, come pipistrelli, entro al cervello. Pure le faccie stanche e preoccupate che incontriamo a migliaia, anche tra le classi privilegiate dei popoli civili, testificano fin troppo chiaro come raramente sia ottenuta questa padronanza. Com`è difficile davvero incontrare un uomo! e come è facile invece imbattersi in creature perseguitate da pensieri, preoccupazioni o desideri tirannici, oppresse, curve, sotto la sferza: oppure inorgoglite di correre gaie, guidate da un auriga che scuotendo le redini ne assevera la libertà; gente con cui non possiamo parlare in un tête à-tête senza preoccupazioni, perchè quella presenza estranea è sempre sull’attenti.

“Una delle principali dottrine di Raja Yoga è che il potere di espellere i pensieri o, se vi è bisogno, di ucciderli addirittura, deve essere raggiunto. Naturalmente quest’arte richiede pratica, ma come tutte le altre arti, acquisita che sia, non presenta più mistero nè difficoltà. E vale la pena di praticarla poichè si vuole dire bellamente che la vita comincia solo quando quest’arte è acquisita.

“Per certo, se invece di essere governati da pensieri individuali, l’intera turba di essi nella loro moltitudine e varietà e capacità è in nostro potere di dirigerla e inviarla e usarla dove e come vogliamo (poichè Egli fa i venti suoi messaggeri ed il fuoco ardente suo ministro), la vita diventa così vasta e grandiosa, paragonata a quella di prima, che le sue condizioni precedenti possono considerarsi quasi “antenatali”

“Se potete uccidere un pensiero esistente potete pur fare qualunque altra cosa che vi piaccia; e perciò questo potere è così importante. Non solo libera l’uomo da tormenti mentali (che sono i nove decimi dei tormenti della vita) ma gli dà un potere concentrato di eseguire il lavoro mentale, prima assolutamente sconosciuto; le due cose sono correlative. Come è già detto, questo è uno dei principi di Raja Yoga.

“Mentre state lavorando il pensiero deve essere concentrato, non distratto da nessuna cosa estranea alla materia trattata, e funzionare come una grande macchina di potere gigantesco e d’economia perfetta, in cui non vi sia dispersione, nè consumo o spostamento di parti per forze differenti che lavorino contemporaneamente. Quando il lavoro è finito, se non vi è più bisogno di adoperare una macchina, essa deve essere fermata in modo adeguato, assolutamente , non rovinata (come farebbe una brigata di ragazzi cui fosse permesso di mettersi a giocare con una locomotiva appena rientrata nel deposito) e l’uomo deve ritirarsi nella regione della conoscenza ove egli dimora veramente.

“Dico che il potere della macchina mentale è enormemente accresciuto per questa facoltà di lasciarla stare da canto quando non serve, e di adoperarla singolarmente e con concentrazione, dall’altro. Essa diventa un vero strumento, che un capomastro depone dopo di averlo adoperato, ma che solo un fannullone porta in giro con sè tutto il giorno per mostrar di esserne il possessore”.

Chiediamo allo studioso di leggere con molta attenzione le parole sopra riportate dal libro del Carpenter, perchè sono piene di suggestioni che possono esser raccolte con vantaggio da coloro che stanno emancipandosi dalla schiavitù della mente non dominata per metterla sotto controllo dell’Ego per mezzo della volontà. La nostra prossima lezione prenderà in esame le relazioni dell’ “Io”” coll’ “Io” universale e sarà chiamata “Espansione dell’Io”. Il soggetto sarà trattato non da un punto di vista teorico, ma da quello del maestro che si sforza di rendere veramente manifesta ai suoi studiosi, la giusta loro conoscenza della verità della proposizione enunciata. Con questo corso noi non tentiamo fare dei maestri di teorie, ma ci sforziamo di mettere i nostri studiosi in grado di conoscere e possedere per conto loro e per propria esperienza le cose che loro insegnamo. Per questo insistiamo che non vi contentiate di leggere queste lezioni, ma che le studiate, invece, e meditiate sugli insegnamenti dell'”Esercizio mentale” finché le distinzioni appaiano chiare nella mente e fino a che non solo voi ben le crediate verità, ma siate veramente consci dell'”Io” e dei’ suoi mezzi mentali, Pazienza e perseveranza. Il compito può essere difficile, ma la ricompensa é grande. Per diventare convinti della grandezza, della maestosità, della forza e del potere del vostro essere reale, occorrono anni interi di studio. Studiate dunque ed applicate gli insegnamenti con fiducia, diligenza e serietà. Pace sia con voi.